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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO (2).  (Letto 39363 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Marzo 11, 2008, 05:48:59 pm »

Il candidato premier del Pd a Vicenza contestato dai gruppi no-dal molin

Veltroni: scarsi nel Nord-est? La colpa è dell'Unione che ha creato un muro

«Non so se ciò si tradurrà subito in un risultato elettorale, ma ora non siamo più costretti a mediare»

 
VICENZA - È caduto il «muro» tra il Nord-est e il centrosinistra riformista. Lo ha decretato Walter Veltroni a Vicenza, dove è stato contestato anche da alcuni manifestanti dei gruppi no-Dal Molin (un fermo). Il candidato premier del Pd non è sicuro che «la caduta del muro, colpa del vecchio centrosinistra, si tradurrà subito in un risultato elettorale, ma ciò che importa è che sia caduto». Veltroni non nasconde le colpe dell'Unione nelle difficoltà tra il centrosinistra e gli elettori locali. «Nel Nord-est c'è delusione verso la destra, perché le cose non sono cambiate anche se hanno governato per cinque anni. Inoltre c'è stato il nostro cambiamento, con una separazione consensuale della sinistra che permette a tutti di non essere più costretti a mediare».

«BERLUSCONI È STANCO» - «Tutti i sondaggi dicono che ogni giorno le cose vanno meglio e c'è una crescita costante per noi. Posso dire, avendo guardato i dati su Vicenza, che anche qui si può fare». Una conferma, secondo Veltroni, sono le recenti dichiarazioni di Silvio Berlusconi: «Quando dice "non mi candido la prossima volta", ammette che il suo obiettivo non è cambiare l'Italia ma vincere le elezioni. Ttutto è già visto, con un elemento di evidente stanchezza».

SALARI - Veltroni si è trovato d'accordo sui salari con il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco. «Il cardinale ha ragione ad affermare che il problema dei salari e degli stipendi deve essere un tema di larghe convergenze. L'impoverimento delle famiglie e l'aumento di salari e stipendi sono un tema sul quale il governo Prodi aveva già proposto un intervento immediato. Ma questa proposta non è stata accolta da altri». Veltroni ha rilanciato il programma del Pd che prevede interventi «a sostengo delle pensioni, dei salari e degli stipendi, sostegni a favore delle famiglie, il bonus di 2.500 euro per figlio, interventi a favore dell'occupazione femminile e contro la precarizzazione».

CONTESTAZIONI NO-DAL MOLIN - Una cinquantina di manifestanti dei gruppi no-Dal Molin ha contestato Veltroni sulla decisione di allargare la base militare americana a Vicenza. Un giovane manifestante è stato fermato dalla polizia dopo aver tentato di salire a forza sul pullman di Veltroni, che invece se ne era già andato in auto dopo il comizio elettorale all'auditorium.


11 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #61 inserito:: Marzo 12, 2008, 01:15:51 pm »

Veltroni: gli sbagli dell'Unione nel Nordest

di Lina Palmerini


Vicenza, due anni dopo. Da quel convegno di Confindustria che vide l'arrivo a sorpresa di Silvio Berlusconi – improvvisamente guarito da una lombosciatalgia – accolto da un'ovazione di tutta la platea di industriali vicentini sono passati, appunto, quasi due anni. Siamo ancora in campagna elettorale ma quello che è cambiato – decisamente – si riassume con un flash: la foto della stretta di mano e dell'abbraccio tra Massimo Calearo e Paolo Nerozzi.

Nessuno l'avrebbe immaginato nel 2006. Nè l'imprenditore di Vicenza, ex presidente di Federmeccanica ed ex sostenitore del centrodestra, nè il sindacalista della Cgil che oggi condivide con Calearo un posto nelle liste del Partito democratico. Una novità, certo, che fa dire a Walter Veltroni che «un muro è caduto nel Nord Est», che un «patto tra produttori è possibile» e che il salto ideologico del Pd è l'essere passati dal conflitto sociale a un'alleanza tra lavoratori e imprese. Il fatto è che tutto è troppo recente, troppo fresco per aver già convinto una parte del Paese che ha ancora tanto da rinfacciare al centro-sinistra. Insomma, non sembra che, come Calearo, siano in molti ad aver attraversato il confine verso il Pd. Veltroni sembra saperlo.

«Ci sono le colpe del vecchio centro-sinistra. Mi ricordo lo slogan anche "i ricchi piangano" a cui io ho opposto le parole di Olof Palme: combattiamo la povertà, non la ricchezza. Io ho avuto il coraggio di chiudere una stagione con la sinistra. Ho avuto il coraggio di dire che il re è nudo». È su questo passaggio che il segretario del Pd – ieri febbricitante – fa la campagna elettorale da queste parti.

Era stracolmo l'Auditorium Canneti di Vicenza e c'erano una cinquantina di imprenditori al Jolly Hotel Tiepolo raccolti ad ascoltare il primo discorso di Calearo con Veltroni. Oltre a Paolo Marzotto (che era all'Auditorium) e Massimo Carraro si sono visti anche Gianni Zonin (imprenditore del vino e presidente della Banca Popolare di Vicenza), Maltauro (impresa di costruzioni), Sergio Dalla Verde presidente dell'Api, Giancarlo Ferretto, Sergio Rebecca dell'Ascom.

E poi nomi meno noti di piccoli imprenditori che erano lì incuriositi ma ancora con qualche diffidenza. «Io sono capolista. Questo vuol dire che ci metto la faccia. Ho cambiato idea perchè ho sentito un'aria nuova. E comincio a divertirmi », dice Calearo ai suoi colleghi prima di passare la parola a Veltroni. Per loro, il segretario del Pd suona uno spartito che si intona a un paesaggio sociale fatto di 90mila imprese sparse in tutta la provincia: un imprenditore ogni otto abitanti. Lo spartito veltroniano parla di una democrazia «leggera», di uno Stato che «incoraggi il rischio che non è una parolaccia ma l'energia vitale di una società ». Note che Veltroni suona in scioltezza ma che sono precedute da una storia – passata e recente – poco coerente. Lo ammette Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro nato da queste parti, che però vede un cambiamento: «C'è un interesse che cresce perchè è un linguaggio nuovo: c'è un salto rispetto al Governo Prodi».

Dunque, comincia una traversata in terra di Nord- Est. Mancano molti chilometri da percorrere per voltare pagina ma Veltroni si assume l'impegno di lavorare su un terreno che era stato lasciato incolto, abbandonato. E riprende una a una le critiche che gli arrivano sia pure da una platea amichevole come quella incontrata al Jolly Hotel. Parla di come sia necessario includere nel patto tra produttori le banche «che devono assumersi la loro parte di rischio e agevolare la spinta imprenditoriale», parla di questo periodo di recessione che ha bisogno di «risposte anticicliche » e qui si aggancia al cardinale Bagnasco sulla «necessità di incrementare il potere d'acquisto di salari e pensioni». E indicaanche due settori che possono diventare il cuore dell'economia europea: il biomedico e riconversione ecologica dell'industria.

A Padova c'è il primo test con la piazza. La prima volta che fa un comizio a Nord-Est. C'è molta gente a Piazza dei Signori – non il pienone – che lo ascolta in un pomeriggio di un giorno feriale. E qui può di nuovo sfogarsi contro il Pdl, rinfacciare la candidatura di Ciarrapico «fatta solo perchè i suoi giornali sono amici della Pdl». E poi cita Roberto Baggio che «quando sbagliava il rigore ai Mondiali, Berlusconi era già premier. Ora Baggio fa altro, lui invece è di nuovo candidato ». Non un cenno alla base Usa dal Molin anche se alcuni contestatori, a Vicenza, fanno un blitz in pullman. E non un cenno al federalismo che ormai, dice, è un argomento «consumato pure per la Lega».

da ilsole24ore.com
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« Risposta #62 inserito:: Marzo 23, 2008, 07:09:16 pm »

Ridurre i costi della politica

Walter Veltroni


Chi l’ha detto che politica e società debbano esser lontani. Nel viaggio che sto compiendo in giro per l’Italia avverto il bisogno di realizzare una sintonia nuova tra il Paese e la politica. Una sintonia che chiede alla politica la ricerca di una sobrietà, di uno spirito di servizio. Da qui anche la necessità della riduzione reale dei costi della politica che appaiono spesso come frutto di privilegi ingiustificati. È un tema vero, che è dentro il Dna del Partito democratico: noi abbiamo sempre parlato della necessità di una profonda riforma della politica che accompagni quella delle istituzioni.

Io parto da una semplice constatazione: abbiamo la possibilità e la necessità di riportare molti di questi costi sotto controllo. Come? Ad esempio riducendo drasticamente il numero dei parlamentari che possono esser sostanzialmente dimezzati. La nostra proposta di riforma istituzionale parte dall’esigenza di dare efficienza e rapidità ai lavori dei legislatori, ma ha come effetto per nulla secondario anche quello di toccare costi che appaiono alla grande maggioranza dei cittadini come eccessivi. Così passando ad una Camera di 470 deputati e ad un Senato di 100 membri scendono i costi diretti e indiretti. Lo stesso vale per il dimagrimento secco del governo che ­ grazie ad una legge già approvata dal centrosinistra ­ dovrà essere composto da 12 ministri e da un numero totale che non supera le 60 persone. A tutto questo ­ ho sostenuto nel mio contestatissimo intervento ­ va aggiunto anche un elemento “personale”: gli stipendi dei parlamentari italiani sono tra i più alti d’Europa, mentre salari e pensioni sono tra i più bassi del continente. Un equilibrio nuovo va trovato, così come il trattamento pensionistico dei parlamentari deve uniformarsi a quello di tutti i cittadini, passando dal sistema retributivo a quello contributivo. Potrei anche aggiungere il fatto che la limitazione del numero dei gruppi parlamentari (abbiamo proposto di modificare i regolamenti per impedire la frammentazione assurda cui si era arrivati in queste legislature) è un altro utile contributo a risparmiare.

A sentire i commenti di qualcuno staremmo parlando di piccole cose. Credo che non sia così. Anche se le misure di cui ho parlato sinora sono solo l’inizio. Esse contengono un messaggio politico rilevante che non è il cedimento all’antipolitica ma al contrario la prova che la Politica (stavolta con la P maiuscola) ha la capacità di riformarsi e di rispondere con autorevolezza alle domande dei cittadini. Certo, poi ci sono altri capitoli su cui intervenire, come ad esempio certe norme sui rimborsi elettorali che sembrano scritte apposta per favorire i micro-partiti e che rischiano persino di essere all'origine di tanta frammentazione. Ma credo che esista un legame più radicale tra il tema dell’efficienza della politica e i suoi costi. Nel programma che abbiamo presentato candidandoci alla guida del Paese abbiamo parlato di una “democrazia che decide”. È qui una delle grandi insidie e dei nodi profondi che riguardano la nostra democrazia perché è nella indeterminatezza delle responsabilità, nella farraginosità dei passaggi politico-amministrativi che si nasconde l’inefficienza. La semplificazione è una delle chiavi per affrontare il problema. E semplificare significa anche eliminare uffici e strutture che pesano e costano e che insieme determinano inefficienza. Perché non eliminare quelle comunità montane a livello del mare? E che senso ha mantenere le provincie nelle aree metropolitane con una duplicazione di ruoli e di costi? Sono cose che vogliamo fare subito.

Ma credo ci sia anche un capitolo più largo che riguarda complessivamente il ruolo della politica rispetto alla cosa pubblica. Penso ad esempio alle società pubbliche dove vanno tagliati drasticamente i componenti degli organismi societari (e qui forse sarebbero da tagliare anche i gettoni di presenza), penso alla moltiplicazione sul territorio di organismi legati alla gestione dei servizi pubblici da semplificare e diminuire complessivamente.

Mettere insieme un pacchetto complessivo di misure come quelle che ho sinora sommariamente descritto significa produrre un risparmio percepibile che può essere trasformato invece in servizi migliori con un doppio effetto positivo: i cittadini vedrebbero con chiarezza lo sforzo della politica per eliminare eccessi, privilegi e sprechi e avrebbero in cambio qualcosa di immediatamente utile.

Una cosa deve essere certa per tutti: se vince il Pd il taglio ai costi della politica ci sarà davvero. Se vince la destra siamo avvertiti: al di là delle speculazioni politiche non farà nulla.

Pubblicato il: 23.03.08
Modificato il: 23.03.08 alle ore 8.08   
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« Risposta #63 inserito:: Marzo 28, 2008, 05:20:13 pm »

28/3/2008 - CONFRONTI TELEVISIVI
 
Cavaliere si faccia coraggio
 
MATTIA FELTRI

 
Ora resta da stabilire se Walter Veltroni sia straordinariamente impegnato oppure una simpatica canaglia: il resto è chiaro. Mercoledì (versione Bruno Vespa) o al massimo una settimana prima (versione del loft) il capo del Partito democratico ha declinato l’invito di Porta a Porta per la trasmissione di stasera; in omaggio alla par condicio, la Rai ha dovuto cancellare anche la puntata prevista per ieri con Silvio Berlusconi. Posto il dilemma iniziale, l’interpretazione diabolica è che Veltroni abbia escogitato il sistema per farla pagare al carissimo rivale: non vuoi affrontare il confronto con me? E io ti oscuro; se in tv non ci andiamo insieme, non ci va nessuno dei due. Berlusconi la mette giù anche più dura e meno sofisticata: quelli del Pd sono i soliti prepotenti, antidemocratici e comunisti.

Di sicuro, Veltroni da settimane chiede a Berlusconi di incrociare opinioni e proposte davanti alle telecamere, e da settimane Berlusconi fischietta noncurante. E poi si diverte a fare il ganassa, come si dice a Milano: io in televisione straccio chiunque. Sarà, ma la storia non è nuova. Già nel 2001 il leader del centrodestra si negò a Francesco Rutelli con la giustificazione che il contendente di turno non era altro che un burattino nelle mani di Massimo D’Alema; tuttavia si guardò bene dal concedersi al burattinaio.

La cosa si ripete oggi, sette anni più tardi, e la costante è che Berlusconi conduce, secondo i sondaggi, con parecchi punti di vantaggio.

Nel 2004, invece, il Cavaliere inseguiva. Le inchieste demoscopiche consegnavano a Romano Prodi un margine di gran sicurezza, ed era ovviamente l’inseguitore a sollecitare il duello con le alte e nobili ragioni della democrazia eccetera eccetera. Alla fine Prodi acconsentì e Berlusconi dovrebbe ricordare - e forse ricorda benissimo - che la sua spettacolare rimonta, madre della fragilità del governo dell’Unione, cominciò da lì. Le scuse proposte da Berlusconi per rifiutare a Veltroni quello che ebbe da Prodi sembrano piuttosto friabili. Siccome stavolta i pretendenti a Palazzo Chigi sono dodici, e non due, gli toccherebbe poi di sottostare ad altri dieci match, avviando uno spettacolare girone all’italiana, come nel campionato di calcio, per un totale di centodieci sfide. A parte che non ce ne sarebbe nemmeno il tempo, questo accadrebbe magari in un Paese un po’ più maniaco del nostro in fatto di regole, e probabilmente un Paese un po’ più maniaco del nostro avrebbe studiato un’altra legge elettorale e mai un mostro ridicolo e costantemente violato come la par condicio. Volendo - se è il rigore legalitario la recentissima moda - il problema sarebbe aggirabile con un confronto pubblico, in piazza, in uno stadio, in un palazzetto dello sport, in un teatro. Ma non è nemmeno questo il punto. Piuttosto, alla vigilia e successivamente alla caduta del governo, Berlusconi e Veltroni avevano annunciato una nuova epoca di fair play, in cui scompariva il nemico e subentrava l’avversario, dove si contrastavano i progetti e non si vilipendeva il progettista. I due si davano cordialmente appuntamento a dopo il voto per un lavoro in comune, chiunque fosse il vincitore, sui temi sommi del funzionamento del Paese, dell’economia e della sicurezza. Gli eccellenti propositi - apprezzati anche da questo giornale - sono andati a farsi benedire a suon di insulti ed è difficile immaginare che Silvio e Walter si incontreranno in Parlamento se non riescono a incontrarsi in seconda serata.

Ecco, nel nascondersi Berlusconi sbaglia per diversi motivi, l’ultimo dei quali è la giustificazione. Tutti sanno che non ci sta per rifiutare al rivale, incagliato nei sondaggi, la minima possibilità di recupero, e cioè la medesima possibilità che gli concesse l’arcinemico Prodi. E quando uno è una simpatica canaglia, e fa una canagliata, si aspetti di essere ripagato con la stessa moneta.
 
da lastampa.it
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