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Autore Discussione: Folco Portinari Se una notte d’inverno, tanti viaggiatori...  (Letto 2800 volte)
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« inserito:: Maggio 08, 2008, 06:37:13 pm »

Se una notte d’inverno, tanti viaggiatori...

Folco Portinari


Mio padre fu, per me, un grande pedagogo e ne ho le prove. Quando arrivai all’età di quattordici anni, per esempio, mi regalò una bicicletta Legnano, quella di Bartali, e mi disse: «Ricorda che la geografia è una materia importante, ma sappi che la si impara coi piedi. Ciascuno con i propri». Dopo di che mi lasciò partire, con quel viatico, per il mio primo lungo viaggio. Viaggio iniziale e iniziatico. Da allora ho seguito per quasi settant’anni la lezione paterna. A parte i siti archeologici che ho visitato dall’Europa all’Asia all’Africa, dove cercavo oggetti reali, storici, per quanto siano storiche e reali le mura di Troia - ho rincorso i luoghi trasfigurati e inventati dall’immaginazione (come la maison Tellier a Fecamp per un me peccatore o la signora Emma all’ospedale di Rouen) - con gran fatica sono stato a Itaca e, lì accosto, a Zacinto, Omero e Foscolo, classico e neoclassico - ho costretto le figlie bambine a seguirmi nella Mancha soffocante estiva sperando di trovare Sancho uscito dal Don Quijote. E ho nuotato nell’Amur siberiano per imitare Mao, ricevendone un diploma - infine ho assecondato una mania necrofila affatto personale, che mi ha portato a conoscere i grandi uomini nelle loro tombe, Goethe e Schiller vis à vis a Weimar, Beethoven in un’ammucchiata di grandi musicisti a Vienna, Dostoiewskij a Lenigrado, Stalin a Mosca, Kafka a Praga, Valéry nel cimetière marin di Sète, Antonetto Ungaretti a San Paolo in Brasile... Mio padre il metodo, ma chi mi ha insegnato a essere curioso?

Non è per vanità che ho messo in vista qualche straccio della mia memoria di pellegrino, ma perché mi posso offrire come una incarnazione, parziale, del metodo esplicativo usato da Luca Clerici nella sua sapientissima esaustiva introduzione al «Meridiano» Mondadori sugli Scrittori Italiani di viaggio, tra il 1700 e il 1861. Infatti le motivazioni del viaggio sono molteplici, la scienza, la fede, l’avventura, l’esplorazione, a volte tra loro mescolare e legate, soprattutto, agli stimoli della storia. Botanici, mineralogisti, missionari, soldati o semplicemente curiosi. Sono queste approssimativamente le categorie di persone che hanno lasciato testimonianza dei loro viaggi verso i quattro punti cardinali, con mete prossime o lontane. Che è un punto di vista, quello del viaggiatore, forse di maggiore interesse, necessario. Al quale aggiungerei quello del lettore, sicuramente più complesso, perché pretende una partecipazione (un accompagnamento), un suo particolare intervento manipolato dall’immaginazione, quasi sempre deformante.

Mi spiego meglio: il lettore nel momento in cui legge sostituisce, in buona misura, il suo punto di vista al punto di vista dello scrittore. Se lo scrivente descrive un fiore o un animale incontrato in Sudamerica o in Lapponia, una scoperta, coloro che leggono daranno una loro interpretazione di quella scoperta. Certo, può darsi che un giorno la vedano per riscoprire a loro volta un fiore o un animale. In altri termini, i viaggi di De Foe, di Swift, di Verne o di Wells sono altrettanto veri, storicamente veri, dei viaggi di Ilarione da Bergamo in Messico. Qui mi pare che stia il loro bello, di De Foe e di Ilarione.

Ammetto una mia deformazione che io faccio risalire alla lezione paterna di cui sopra. Per esempio, mi toccò di rispondere una volta a un’inchiesta abbastanza idiota: se doveste finire in un’isola deserta potendovi portare un solo libro, quale portereste? Risposi: Navigazioni e viaggi di Ramusio, che potrei sostituire solo con Erodoto. Testi «storici», cioè, che sono romanzi, non meno dei romanzi che sono testi storici Tale è la ragione per la quale ho accolto l’uscita di questo «Meridiano» quasi con gioia, ficcandomi subito nelle centocinquanta pagine introduttive di Luca Clerici. E nella seconda pagina trovo una citazione da Hegel che mi conforta: «L’arte si mescola dappertutto con le sue piacevoli forme,dal rozzo abbigliamento dei selvaggi fin al fasto dei templi adornati con ogni ricchezza», integrando il Clerici: «infatti la componente estetica non è estranea dagli interessi naturalistici, etnografici e collezionistici di molti viaggiatori». Che sono appunto quelli che più amo. Siamo dunque d’accordo sui fondamentali ed è già un buon inizio.

Per leggere questo volume di millesettecentocinquanta pagine si devono avere a disposizione alcune settimane o un paio di mesi sabbatici, non solo per i testi raccolti ma per le note che accompagnano ciascun autore e che per lo più non si possono davvero tralasciare, anche perché ignoti o scarsamente noti al lettore medio. Chi sono? A fronte di Mascheroni, Casti, Pananti, Bertola, Verri, Algarotti, Percoto, Volta, Rajberti, tutti conosciuti in vario modo e per vari motivi, l’elenco si estende in una lunga fila di personaggi che vale la pena finalmente di conoscere (mi spiace solo di non aver trovato un viaggiatore instancabile e avventuroso come Vittorio Alfieri, né il pirata sudamericano Giuseppe Garibaldi, mentre scusati sono Goldoni e Casanova che scrissero entrambi in francese). Così, grazie all’antologia di Clerici, ho conosciuto don Giovanni Gnifetti da Alagna, prete e alpinista, che diede il suo nome a una delle vette del Monte Rosa, l’unica montagna tra i sopra i 4000 visibile dalla pianura padana. Allo stesso modo, dopo aver letto le pagine di Alfonso Bonfioli Malvezzi che descrivono Brusselles per gli eventuali turisti,dalla Grande Place, «una delle più eleganti e delle più superbe d’Europa», alla chiesa di Santa Gudula, ho pensato con tristezza, essendo egli vissuto cento anni prima, di non aver egli visto, alla periferia della città, il campo di battaglia di Waterloo, o di non essersi fermato a mangiare, sulla piazza, al Cygne, dove Marx leggeva ogni giorno un capitolo del Capitale a Engels, né i cioccolatieri che avrebbero fatto la gioia di Alfieri. Però io tutte queste cose ce le ho messe perché la componente estetica non è estranea agli interessi naturalistici, come ha detto poco più sopra il Clerici. C’è il mio punto di vista, sotto forma di memoria, che si insinua e si mescola con quello del viaggiatore. Ho letto il Malvezzi e ci ho aggiunto una stecca di cioccolata. Di memoria, di esperienza.

Chi sono allora i postiglioni che guideranno la nostra diligenza in giro per il mondo? Clerici li ha raggruppati secondo i loro itinerari. Quelli che vanno alla scoperta d’Italia (Vallisneri, Donati, Paternò,Giuliani, Andreani,Galanti, Amoretti, Cossu, Gamba, Tenore ecc...), quelli che salgono al nord (Negri, Quercini, Gualandra, Luini, Ciampi ecc...), quelli che scendono al sud (Germelli Canal, Pinchia, Delfini, Brocchi Rosellini ecc...), quelli che vanno all’est ( Legrenzi, Laureati, Marsili, Marini, Fortis, Scorfani, Sestini ecc...), quelli che vanno all’ovest (Castiglioni, Mazzucchelli, Moccia, Osculati, Castrucci ecc...). Di ciascuno il curatore dà notizie, li tira fuori dall’anonimato in cui la storia, specie la storia letteraria, li ha relegati in attesa di questa antologia: sono tutti testimoni di una grande avventura com’è quella della scoperta del mondo. Frammenti di gloria, Eppure non resisto alla tentazione di citare il poeta che seppe veleggiare verso l’infinito e naufragare in quel mare. Io quei versi ce li avrei messi, magari solo in esergo, in dialettica controsintesi: «Ignota immensa terra al tuo viaggio / Fu gloria e del ritorno / Ai rischi. Ahi ahi ma conosciuto il mondo / Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / L’etra sonante e l’alma terra e il mare / Al fanciullin, che non al saggio appare». Per dire, quale postilla all’iniziale Hegel-Clerici, che tra le componenti della sindrome da viaggio, oltre al fascino del rischio e della scientifica curiosità, un posto non piccolo va lasciato alla vanitas. Alla fine, insomma, si naufraga.

Mi sembra opportuno, prima di concludere, considerare lo scarto che si genera tra il punto di vista del viaggiatore e le nozioni del moderno lettore, soprattutto quando riguardano giudizi culturali e non descrizioni di paesaggi. Penso, per esempio, al missionario Samuele Mazzucchelli, per il quale gli indiani vivono in tribù di «selvaggi», benché si riconosca loro un’indole pacifica e una sostanziale onestà, Non hanno il dio dei cristiani, ma non sono i soli. Ebbene, più o meno negli stessi anni Leonetto Cipriani (del quale non sono qui raccolte le memorie) definisce quei «selvaggi» indiani «cannibali» ma più onesti dei comandanti americani dei forti, delle cui gravi truffe rimarrà vittima. Morale, meglio i cannibali indiani che gli ufficiali americani. D’accordo, compito di Mazzucchelli era la conversione alla fede cattolica, mentre il Cipriani attraversava da est a ovest il continente con mandrie di bovini. Per concludere: posso fingere di dimenticare tutto ciò che centinaia di film western mi hanno raccontato? No, e questa è la funzione della splendida antologia di Luca Clerici.

Pubblicato il: 08.05.08
Modificato il: 08.05.08 alle ore 11.44   
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