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Autore Discussione: ELUANA. Salutiamola e ricordiamola con l'amore per le ragazze sempre belle ...  (Letto 7381 volte)
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« inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:03:14 pm »

L'altro ultimo giorno di Eluana

di Tommaso Labate


18 gennaio 1992. Che cosa succedeva in Italia nelle ore prima dello schianto fatale a Lecco. Fini difendeva il Colle, Napolitano riuniva i suoi, la Sardegna tratteneva il respiro e Moana incantava Milano.

 ©Lapresse cronaca 15-10-2007 Lecco
Caso Englaro Ragazza in stato vegetativo causato da un incidente ...

La mattina del 18 gennaio 1992, sabato, Eluana Englaro è sola in casa, a Lecco. I genitori, Saturna e Beppino, si trovano in provincia di Bolzano. A Sesto, Val Pusteria. Sono in settimana bianca. L'Alto Adige, i coniugi Englaro, l'hanno raggiunto con una piccola utilitaria. La loro macchina grande, una Bmw, è rimasta parcheggiata sotto la loro abitazione. A Lecco.

La verità su Ustica. La mattina del 18 gennaio 1992, nel momento in cui Eluana apre gli occhi, il Giornale radio del primo canale Rai trasmette uno speciale sul Dc9 dell'Itavia abbattuto sui cieli di Ustica dodici anni prima. Il servizio contiene rivelazioni scottanti sul procedimento giudiziario nei confronti dei generali dell'Aeronautica. Due in particolare, Corrado Melillo e Zeno Tascio. L'inchiesta del Gr1 toglie il velo anche sulle accuse dei pm nei confronti di Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, che all'epoca dei fatti erano al vertice dell'Aeronautica militare. Il «golpe dei generali» è smascherato dalla radio. E gli uomini dell'Ucigos si preparano al blitz nella redazione diretta da Livio Zanetti. Che quel giorno, però, è fuori città.

Il governo contro il Colle. Nel momento in cui Eluana si prepara per uscire di casa, a Roma il ministro della Difesa Virginio Rognoni smentisce l'ipotesi, avanzata il giorno prima dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga, di fornire assistenza militare alla Slovenia. «L'eventuale intervento diretto nelle vicende jugoslave - spiega il ministro - non rientra nelle opzioni a disposizione di ogni singolo paese». Anche la Farnesina prende le distanze dal capo dello Stato. Fonti vicine al ministro Gianni De Michelis chiariscono che «non c'è alcuna possibilità che l'Italia possa mettersi da sola a fornire armi».

L'impeachment. Achille Occhetto è a Cagliari, all'assemblea di fondazione dell'Unione della sinistra sarda. In vista delle elezioni del 5 aprile, il segretario del Pds lancia la sfida ai socialisti e chiama a raccolta «le forze del cambiamento» contro la Dc. Il suo partito, intanto, va avanti nella richiesta di mettere in stato d'accusa il presidente della Repubblica per le note «esternazioni» di qualche tempo prima. Nello stesso istante Gianfranco Fini prepara il discorso per la manifestazione del suo partito al Teatro Lirico di Roma. Il Movimento sociale italiano è schierato invece con Francesco Cossiga. Lo vuole alle guida di una «nuova Repubblica», di un «Fronte degli Italiani». Lo propone per un bis al Colle più alto. «Il magistero politico di Cossiga - annota Fini nel suo intervento - è stato utile all'Italia e lo sarà ancora di più nel futuro». È il portavoce del segretario missino, Francesco Storace, ad anticipare una parte del discorso alle agenzie. E a preannunciare che, all'indirizzo di Fini, è stata recapitata una lettera in cui il capo dello Stato ringrazia «il Movimento sociale» per il sostegno alla sua causa.

L'assemblea di Napolitano. Nel frattempo, a Roma, l'area dei riformisti del Pds, guidata da Giorgio Napolitano, riunisce l'assemblea nazionale per discutere degli scenari post-voto. Si presentano un po' tutti. Dal socialista Martelli al repubblicano La Malfa, passando per il diccì Piccoli e i sindacalisti Lama, Carniti, Trentin e Del Turco. Occhetto invia il fedelissimo Massimo De Angelis, al quale tocca prender nota dell'ipotesi delineata da Napolitano («Un governo sganciato dalle designazioni partitiche») e della prospettiva indicata dall'area migliorista: «Una sinistra unitaria, socialista e riformista, che non rinunci alle sue esperienze». Quale esito avranno le elezioni del 5 aprile? L'espresso in edicola il 18 gennaio 1992 offre ai suoi lettori un sondaggio della Doxa. Più della metà degli intervistati prevede una flessione della Dc rispetto al 34,3% dell'87, il crollo del Pds al 17% e esprime la certezza che la Lega Lombarda di Umberto Bossi supererà la soglia dell'8%. Stabili, secondo la rilevazione demoscopica, sia il Psi di Craxi che il Pri di La Malfa.

La folla per Moana. Mentre a Lecco Eluana si prepara per la giornata, a Milano una folla oceanica interrompe la raccolta di firme per la presentazione delle liste del Partito pensionati. Al banchetto di corso Vittorio Emanuele II, infatti, è stata annunciata la presenza della capolista Moana Pozzi. Centinaia di passanti si accalcano per vedere da vicino la pornostar che, temendo per la sua incolumità, si ripara in un teatro nei paraggi. I promotori decidono di sospendere la raccolta delle sottoscrizioni rinviandola al pomeriggio. Nel frattempo, la città di Brescia si interroga sulla nascita di una giunta comunale «a tempo», che porti quantomeno alla discussione del bilancio 1993 prevista in autunno. Nella maggioranza dovrebbero entrare Dc, Psi, Pri, Pds, la Rete e i Verdi. All'opposizione, invece, rimarrebbero la Lega, Rifondazione comunista, Msi, casalinghe e pensionati. Il Pli e l'indipendente Maria Fida Moro, eletta nelle liste di Rc, sono titubanti. Anche Torino vive ore d'ansia. A venti giorni dalle dimissioni di Valerio Zanone ci sono quattro partiti che rivendicano la poltrona del primo cittadino. Dc, Pri e Pli corrrono con un proprio candidato. Il Psi, con il responsabile enti locali Giusi La Ganga, dice di considerare ancora valido «l'accordo firmato nel 1990 per un sindaco laico».

Farouk prigioniero. Eluana è a pranzo quando, dalla Sardegna, il capo della Criminalpol Luigi Rossi dichiara che la prigionia del piccolo Farouk Kassam, sequestrato dall'Anonima sarda, sarà «lunga». «A occhio e croce - conferma il capo della Polizia Vincenzo Parisi - non si possono prevedere sviluppi e tempi rapidi». Gli inquirenti smentiscono che il riscatto possa essere pagato all'estero, magari con la mediazione dell'Aga Khan. La primula rossa Matteo Boe finisce in cima all'elenco dei ricercati.

Sofri, Salvatores, la Bellucci. A sera, Indro Montanelli e Adriano Sofri, insieme a Mario Cervi e Giuliano Ferrara, intervengono alla registrazione di Babele, il programma di Corrado Augias sulla terza rete. «Io non credo che non ci siano prove. Comunque auguro a Sofri la revisione del processo per l'omicidio Calabresi. In ogni caso, una sentenza sfavorevole condannerebbe un uomo che non c'è più», dice Indro. «È vero, sono molto cambiato. Mi dispiace perché sono più affezionato al Sofri di allora che al Sofri di oggi», risponde Adriano. Intanto a Palm Springs, California, il Festival cinamatografico internazionale premia Mediterraneo di Gabriele Salvatores come «miglior film europeo». L'ex modella Monica Bellucci, chiamata da Francis Coppola per il suo Dracula, viene incoronata regina della kermesse. Martin Scorsese si trova a Roma, per ritirare il riconoscimento «Maestri del cinema», mentre a Torino Günter Grass si aggiudica il premio internazionale del «Grinzane Cavour» regolando in volata Jorge Amado, Elias Canetti, Eugéne Ionesco e Milan Kundera.

Milan-Foggia. A Milano Fabio Capello prepara i rossoneri per la sfida dell'indomani contro il Foggia a tre punte di Zdenek Zeman. Ad Ascoli il calcio è passato in secondo piano, complice una squadra ultima in classifica e una bomba carta esplosa qualche giorno prima sotto l'abitazione del tecnico Giancarlo De Sisti detto Picchio. «Con tutti gli schiaffoni che abbiamo preso, anche una mummia si sarebbe risvegliata», sorride l'allenatore della Sampdoria Vujadin Boskov, reduce da una crisi lasciata alle spalle con a tre vittorie di fila. Non si placano, invece, le polemiche sulla morte di Miran Schrott, il giocatore della serie B di hockey deceduto dopo essere stato colpito dal bastone di un avversario. Forse, dicono a Courmayeur, un defibrillatore avrebbe potuto salvarlo. Ma il defribillatore più vicino, purtroppo, stava ad Aosta. Agli Australian open di tennis avanzano gli uomini Curier, Stich, Krickstein, Krajicek, Rosset e le donne Capriati, Maleeva, Monami, Sabatini, Fernandez e Garrison.

La Bmw sotto casa. A sera, da Londra, arriva la notizia che una bambina di cinque anni ha ottenuto da un Tribunale il risarcimento record di due milioni e mezzo di sterline, che in lire fanno cinque miliardi. A causa di un errore dei medici, la piccola Alexandra Mulligan ha subìto dalla nascita danni cerebrali che la costringono su una sedia a rotelle. La bimba “reagisce” solo quando ascolta Nessun dorma cantata da Luciano Pavarotti. Fuori è buio. Eluana Englaro, da Lecco, spegne la tv e si prepara per la serata. È sabato sera. A dire il vero è stanca. Non le va di uscire. Ma gli amici insistono. Al Kalcherin di Garlate c'è una festa. La Bmw di papà Beppino è parcheggiata sotto casa.

Lunedì, 9 febbraio 2009 
da ilriformista.it
« Ultima modifica: Febbraio 10, 2009, 05:40:58 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:07:50 pm »

"Ha rotto l’incantesimo. La vita buona è solo quella consapevole"

di Maurizio Mori


Eluana ha rotto un incantesimo. Per questo il caso suscita tanto scalpore e sentimenti tanto forti. Ha rotto l’incantesimo della sacralità della vita. Quello secondo cui la vita è un mistero sempre nuovo e imprevedibile, è un dono sempre buono in sé e positivo. «Mistero» chiama sentimenti di venerazione e soprattutto di rispetto per i fini che vengono intravisti in filigrana indicanti una sorta di volontà della natura. «Dono» suppone la bontà di quanto ricevuto ed esige una reciprocità che impone rispetto assoluto per rendere grazie per la preziosità ricevuta.

Eluana ha mandato in frantumi la sfera di cristallo della sacralità. Oggi la vita non è più un mistero imprevedibile perché sappiamo che Eluana è in stato vegetativo permanente e non si risveglierà mai più.
Ne abbiamo tutta la certezza che ci è dato di avere in base alle esperienze acquisite: da ultimo lo dimostra l’autopsia di Terri Schiavo il cui cervello è risultato essere distrutto nelle parti preposte alla sensazione e relazione. Solo i giornali impregnati di ideologie faziose continuano a dar credito a chi ripete che Terri sorrideva e capiva.

Dopo il caso Eluana la vita non è più sempre buona in sé.
Già Piergiorgio Welby aveva sollevato il problema, quando diceva di non farcela più, che ormai era giunto per lui il tempo di andarsene.

Ma la vita di Welby, pur travagliata e difficile, fino ad allora era stata ricca e grande. Ancor più che Welby, Eluana ci ha messo di fronte al fatto che la vita non è sempre un dono (buono e prezioso).

La coscienza di Eluana era «out of action» (fuori gioco), i suoi centri sensitivi distrutti, la sua capacità simbolica e di parola dissolta per sempre. Se è vero che «la parola è il segno umano per eccellenza, l’espressione distintiva dell’umanità dell’uomo. L’uomo perviene alla propria umanità col giungere alla parola» (Monsignor Mariano Crociata, segretario della Cei, Avvenire 5 dicembre 2008), allora è solo uno slogan ripetere che lo stato vegetativo permanente è una «grave disabilità»: uno slogan per edulcorare una realtà ben diversa, per mascherare che la vita di Eluana è sprofondata nell’indifferenza, non è più né buona né cattiva. Forse per questo si dice che la sua è una «non-vita», termine per indicare una situazione inedita, mai vista prima nella storia.

La sfera di cristallo della sacralità attraverso cui guardavamo il mondo ci faceva vedere la vita come buona in sé. Invece, Eluana ci ha mostrato che buona non è la «vita in sé», ma la «vita buona», ossia la vita con contenuti buoni. Non sempre la vita è buona: per Eluana, a un certo punto, non lo più stata. E la consapevolezza di questo è diventata pubblica, ufficiale. Beppino è un eroe civile perché con la sua tenacia ha rotto l’incantesimo pubblicamente, per tutti. Prima molti (forse i più) lo pensavano in privato, sussurrandolo di nascosto e quasi vergognandosene. Ora lo si può dire in pubblico, forte e chiaro. Anzi, ci si accorge che i presunti argomenti della sacralità evaporano nel nulla rivelandosi vuoti slogan che appaiono seri solo perché ripetuti fino all’ossessione.

Ogni volta che si rompe un incantesimo o si viola un tabù alcuni cadono in preda al terrore. Prevedono così un futuro buio e terrificante. Oggi presagiscono che ormai tutte le vite fragili sarebbero a rischio: tesi priva di ogni consistenza visto che il caso Eluana riguarda al massimo solo i vegetativi permanenti come lei. Il pericolo paventato sta, se mai, nel fatto che - dopo Beppino - anche altri comincino a riflettere razionalmente sul «bene» vita. Ma questo è positivo, non un disastro!

Chi guarda la realtà senza lasciarsi prendere dal panico può rilevare che la liberazione di Eluana dallo stato vegetativo permanente segna una crescita morale e civile. Qualcosa di analogo alla breccia di Porta Pia che ha sbriciolato la sacralità del potere politico. Anche allora per alcuni parve un crollo foriero di sciagure. In realtà è stato un passo per uscire dallo stato di minorità infantile in politica. Dissolvendo la sacralità della vita Eluana ci ha fatto compiere oggi un altro passo per uscire dalla minorità in medicina. Come ogni crescita, anche questa comporta nuove responsabilità e nuovi problemi. I soliti misoneisti oppongono resistenza e ostruzionismo, ma la breccia è aperta e nuovi orizzonti si sono spalancati. Grazie Eluana, grazie Beppino: crescere comporta difficoltà, ma è anche esaltante.


10 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:09:37 pm »

La battaglia di Beppino. Senza lacrime con onestà

di Emma Dante


«Io e Beppino, quante cose mi ha insegnato»
Non conosco nessuno fatto come lui. Non conosco nessuno che gli sia simile anche solo nei tratti. Come scrive Erri De Luca, gli uomini speciali, non si somigliano tra loro, non somigliano a nessuno.

Beppino Englaro è un individuo di quelli che si distinguono loro malgrado.
È un uomo dai modi cortesi, un signore fortemente provato ma forte e onesto, come la richiesta fatta per e con sua figlia Eluana. Un uomo giusto ma non docile: Eluana da qualcuno doveva pur aver preso. Ed è un uomo fedele. Alla propria famiglia e ai propri valori, da difendere anche contro il resto del mondo se - come in effetti avvenne in principio - fosse servito.
Non si può capire chi è Beppino se non in riferimento al legame con la sua famiglia: il trigono Sati-Eluana-Beppino è una relazione imprescindibile per comprendere i fatti, i pensieri, la sua vita. L’amore marchiato Englaro è di quelli incondizionati, che sono capaci di lasciare liberi, liberi di essere come si è, liberi di decidere di andare. Eluana, la «purosangue della libertà», come l’ha definita Beppino, non poteva avere alleati migliori.

Affiancarlo in questi anni mi ha permesso di guardarlo da vicino, di scrutarlo a fondo, di assistere alle sue reazioni nel quotidiano e nello straordinario - elementi che spesso, nella sua vita, coincidevano. Gli sono debitrice di molti insegnamenti, sono testimone dell’amore senza riserve di un padre molto leale. Ho avuto un maestro di trasparenza e rigore.

Quando ho fatto mia la tesi degli Englaro - secondo la quale l’individuo non può perdere il diritto di decidere per sé riguardo la fine della propria vita, anche se è caduto in una permanente condizione di incapacità - mi parve opportuno rivendicare le ragioni morali di tale scelta, l’universalità dei loro argomenti che possono essere condivisi indipendentemente dal loro personale, viscerale amore per Eluana. Era giusto abbracciare la loro battaglia non al fine di ottenere un atto di pietà, non per dare termine al travaglio familiare, ma perché erano chiamati in causa i più alti valori morali che l’individuo può far propri e che meriterebbero di essere onorati fino al momento ultimo della vita.

La posizione di Sati e Beppino si è posta in difesa del rispetto dovuto al giudizio di ogni singolo sulla propria esistenza e sulla possibilità di prolungarla o meno tramite i presidi terapeutici disponibili. Beppino Englaro ha usato tutte le sue parole per spiegarlo: le amorevoli cure, se indesiderate, sono una forma di violenza, di imposizione. Obbligare Eluana a rimanere in tali condizioni di deprivazione e violazione permanente di lei, del suo corpo e delle sue passate idee, era inaccettabile. Io mi chiedo come hanno fatto quelli che si sono prodigati fino all’ultimo nel reclamare il diritto alla vita di Eluana a non capire. Se dopo 17 anni di impegno, di parole, ricorsi e spiegazioni, ancora non è chiaro a tutti che Eluana voleva proprio essere lasciata andare, significa forse che, in chi si è opposto a quella volontà non c’era l’innocenza dell’ignoranza, di chi sbaglia perché non ha ben compreso.

Forse c’era dell’altro, di molto più sottile, sofisticato, spaventoso. Forse il problema non era Eluana che voleva essere lasciata morire ma ciò che questo suo desiderio rappresentava: assecondarlo voleva dire lasciare gli individui liberi, senza padroni che decidano come, a seguito di quale calvario, dover terminare la propria vita, senza l’obbligo di rimanere 17 anni in una condizione reputata per sé, dall’interessata/o, ben peggiore dello stesso morire.
Come dice Stefano Rodotà, se c’è oggi un eroe civile in questo nostro paese laico, se qualcuno merita il riconoscimento per una battaglia pubblica ed esemplare, per la difesa di un diritto irrinunciabile, quest’uomo è Beppino Englaro.


10 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:17:54 pm »

IL COMMENTO

Quella ragazza che amavamo

di ADRIANO SOFRI


ORMAI la diversità dei pensieri si era tramutata in una dannazione reciproca, una messa al bando, una insofferenza esasperata. E neanche ora, neanche in hora mortis nostrae, si rimarginerà, temo. Ma, forse solo per un piccolo risarcimento, forse perché è la cosa più importante, possiamo riconoscerci tutti - quasi tutti - in un acquisto dapprincipio imprevedibile, e che non era nei propositi. Abbiamo tutti - quasi tutti: non fa bene ignorare il cinismo e la cattiveria vera - voluto molto bene alla ragazza Eluana.

Le abbiamo voluto sempre più bene, man mano che passavano gli anni e la ferita si esacerbava mille volte di nuovo e noi intanto diventavamo grandi o vecchi, nascevamo e ci ammalavamo e, qualcuno, morivamo: e quel viso di ragazza continuava a guardarci illeso dal tempo e dalla sventura. Prima della fotografia, i ritrattisti delle famiglie del nord d'Europa, di quelle che potevano permetterselo, dipingevano una volta all'anno il gruppo di famiglia, sicché sulle pareti domestiche scorrevano le generazioni, i bambini diventavano adulti, gli adulti vecchi, matrimoni rinnovavano la scena, nuovi nati facevano la loro comparsa.

In quelle gallerie di quadri ricordo, c'erano alcune figure di bambini o di giovani che non cambiavano più aspetto, il tempo non le lavorava più, perché erano morti giovani o bambini, e una rossa crocetta dipinta sopra la testa avvertiva della loro perdita, ma non si aveva cuore di espellerli dal gruppo. Il signor Englaro, rifiutandosi, contro la propria presumibile convenienza, di esporre le fattezze di Eluana se non fino al punto in cui l'ebbe perduta, ha suscitato in tutti noi lo stesso risultato pieno d'affetto e di rimpianto.

Abbiamo voluto bene a quella ragazza meravigliosa, al modo in cui i suoi occhi continuavano a guardarci così da lontano, così da vicino, e l'abbiamo rimpianta come una nostra compagna di viaggio insieme perduta e illesa. Abbiamo voluto bene, ogni giorno di più, anche alla Eluana che non vedevamo, che non abbiamo mai visto, nella quale la ragazza dagli occhi profondi si continuava e si consumava, e abbiamo avuto pietà di lei e di noi. Quel padre che, chiuso in un suo cerchio senza uscita, combinava e ricombinava senza ostentazione e senza falso pudore le belle fotografie della sua creatura, come per ricominciare ogni volta a far scorrere la vita della sua carissima figlia prima che la promessa si spezzasse, ce l'ha fatta amare, senza proporselo.

Senza proporsi altro se non di avere la legge dalla propria parte, e le persone, perché una buona legge dev'essere dalla parte delle persone e del loro dolore. L'ha conservata così, nella memoria di una comunità che l'aveva adottata, benché si lacerasse sul suo destino.

Se c'è una sottile speranza che l'Italia non esca più amara e incattivita da una vicenda oltraggiosamente accanita, è in questo amore condiviso. Il signor Englaro non ha mirato a nessuna convenienza. Non ha fatto conti. Ha fatto quello che sentiva come il suo dovere. Se fosse stato un uomo politico - cioè un politico, oltre che l'uomo che è - si sarebbe sottratto alla piccola trappola della gara col tempo, che metteva in scena nel rullo di tamburi del precipitoso finale il copione degli uni che bruciavano le ore per salvare una vita, degli altri che bruciavano i minuti per sacrificarla. ("Il sacrificio non sia vano": frase pronunciata ieri sera in Senato, non so con quanta consapevolezza, bestemmia più enorme di tutte, che accusa di un sacrificio umano, e pretende di riscattarlo, per giunta con una legge folle).

Si sarebbe esposto alle intemperie sulla cima di un campanile friulano per protestare: dopotutto il capo del governo si era spinto, non so con quanta consapevolezza, a dire che quella sua figlia perduta avrebbe potuto partorire. Avrebbe fatto uno sciopero della fame e della sete, per replicare a chi lo accusava di voler assassinare per fame e sete la sua creatura. Li avreste visti volare, allora, i sondaggi, angeli custodi della superstizione e della demagogia contemporanea.
Verrebbe voglia di dire che bisogna tutti sforzarsi di richiudere questa ferita, ma non sarà così. Le ferite non si chiudono. Non si chiuse quella di Moro. La disputa sul corpo di Eluana è per l'Italia del nuovo millennio una tragedia senza catarsi, senza redenzione, come fu quella sul corpo di Moro per la fine del secolo scorso. Ho guardato il minuto di raccoglimento al Senato: sembrava piuttosto, per quei grami presenti, la concentrazione nell'angolo prima dell'ultimo round.

Certi uomini politici - cioè certi politici, prima degli uomini che dimenticano di essere - fanno molti conti. Vedrete: anche ora che il corpo di Eluana non è più perquisibile dai Nas, mostreranno di voler procedere per la loro strada. Legislatori tutti d'un pezzo, pronti a decretare la mia, la vostra, l'impossibilità di ciascuno di rifiutare per sé la nutrizione artificiale, una volta che ci trovassimo privati senza ritorno della nostra coscienza. Pazzia. Silvio Berlusconi ha voluto dire che lui, nella condizione di Beppino Englaro, non potrebbe mai "staccare la spina". Sia risparmiata la prova a lui e a noi. Tuttavia la prova è stata imposta a tanti, e qualunque sia la loro scelta, compresa quella di non rassegnarsi mai al commiato, dev'essere rispettata, amata e sostenuta. Ma provi Berlusconi a immaginare un'altra eventualità: che tocchi a lui di uscire da una rianimazione in una condizione vegetativa irreversibile. Vorrebbe o no poter decidere, finché il senno e la fortuna siano dalla sua, come debba chiudersi la sua esistenza, o preferisce lasciarne il peso ai suoi figli, per giunta votando ad horas l'obbligo a nutrirlo artificialmente senza fine? Questo era già il punto, ora lo è ancora più nitidamente. Mettete via i cartelli opposti che intimano: "Giù le mani da Eluana".

Salutiamola, Eluana, con l'amore che si sapeva riservare alle ragazze perite, tenerelle, pria che l'erbe inaridisse il verno.

Quanto a noi, scriviamo ciascuno sul proprio cartello: "Giù le mani da me, per favore".

(10 febbraio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:35:38 pm »

CASO ENGLARO

«Troppo presto: l'hanno uccisa» «No, è normale Era fragilissima»

Specialisti divisi sulla morte di Eluana:la donna si è spenta al quarto giorno senza alimentazione
 
 
ROMA — Sospetti, accuse, congetture non si spengono dopo la sua morte. Adesso c'è chi punta l'indice su chi ha accompagnato Eluana Englaro verso la fine.
Su chi avrebbe potuto e voluto accelerare in qualche modo la sua caduta senza ritorno. «E se fosse stata uccisa?», si domanda in cuor suo qualcuno sottolineando i pochi giorni, solo quattro, trascorsi da quando sono stati ridotti i nutrienti artificiali. Ipotesi che scatenano una polemica dirompente.

Si sfoga addolorato Gianluigi Gigli, neurologo dell'università di Udine, cattolico, uno degli esperti nominati dal sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella nella Commissione sugli stati vegetativi: «Effettuare subito accertamenti tossicologici e autopsia per accertare le vere cause del decesso », chiede, a pochi minuti dall'annuncio, augurandosi che le cartelle cliniche vengano sequestrate. Gigli, avuta la notizia, si è precipitato davanti alla clinica La Quiete: «Questa morte desta perplessità. Solo stamattina gli esperti avevano definito le condizioni della donna stazionarie».

Gli stessi interrogativi scuotono Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, in piazza a Roma con altre associazioni: «I fatti parlano da soli e alimentano i sospetti più gravi. Eluana è stata isolata in una stanza perché nessuno la vedesse. Il protocollo è stato cambiato perché fosse micidiale, sono state diffuse notizie false sulle sue condizioni in modo che nella gara a chi arriva primo vincesse la morte».

Anche Franco Cuccurullo, presidente del Consiglio superiore di sanità, sempre misurato, si lascia afferrare dal dubbio: «C'è stata un'accelerazione incredibile, inconcepibile, proprio quando il Parlamento si stava esprimendo. Questa vicenda è sconcertante, resterà impressa a lungo. Purtroppo è finita così. Anche l'Italia ha un caso Terry Schiavo, avrei davvero preferito di no».

Prudente invece Rita Formisano, neurologa dell'Istituto S. Lucia di Roma, vede tutti i giorni pazienti in stato vegetativo: «Sono così fragili, esposti a eventi imprevedibili. Arresto cardiocircolatorio, embolia polmonare. Sappiamo che Eluana veniva sedata ed è noto che farmaci, come la morfina, aumentano i rischi».

Per Franco Toscani, direttore scientifico della Fondazione Maestroni, a Cremona, centro di ricerca sulle cure palliative «è un sospetto mostruoso. Pensano forse che la Englaro abbia ricevuto un'iniezione letale? Basterebbe un'analisi tossicologica per scoprirlo. Ricordo solo che parliamo di pazienti esposti a ogni pericolo. Solo spostare il loro povero corpo, bloccato e senza muscoli, da un letto all'altro è una manovra azzardata».

Al San Giovanni Battista, ospedale dell'Ordine dei Cavalieri di Malta, c'è un'unità di risveglio diretta da Francesco Maria Pisarro: «È normale che Eluana se ne sia andata in 4 giorni. Sarebbe stato altrettanto normale se fosse sopravvissuta a lungo senza nutrienti e idratazione artificiali.
Per persone come lei non ci sono certezze. La scienza deve ancora capire tutto, o quasi».

Margherita De Bac

10 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:37:47 pm »

La morte di Eluana e la serata in tv

Sullo schermo tanti rumori schizofrenici

Noi tutti, in queste drammatiche situazioni, cerchiamo solo il rumore per coprire un insopportabile silenzio

di ALDO GRASSO

 
Il drammatico paradosso è questo: che all'informazione non si può chiedere il silenzio. Ma ci sono momenti come quelli di ieri sera in cui ogni immagine, ogni parola sembrava fuori luogo.

Eppure le immagini, le parole e coacervi di commenti non sono mancati, spesso in maniera scomposta. La notizia della morte di Eluana è giunta mentre stavano per finire i tg delle 20 e una strana, sinistra euforia ha cominciato a percorrere i notiziari. Sky Tg24 era collegato con il Senato dove è scoppiata un'indegna bagarre, un «ennesimo atto di sciacallaggio» secondo qualche senatore.

Il presidente Schifani è stato costretto a sospendere la seduta.

Striscia la notizia ha rinunciato opportunamente al balletto finale, mentre Ezio Greggio ha salutato i parenti di Eluana. Anche Alessia Marcuzzi, nel dare vita alle liti del Grande Fratello, ha sentito il bisogno di stringersi ai parenti della povera ragazza. Provocando però la reazione di Enrico Mentana che si è dimesso da direttore editoriale per protesta contro la decisione di Mediaset che, «di fronte a un dramma che scuote il Paese intero, ha deciso di non cambiare di una virgola la sua programmazione di stasera su Canale 5, nonostante sia il Tg5 sia Matrix fossero pronti a aprire finestre informative sulla morte di Eluana».

L'Infedele di Gad Lerner, che era in palinsesto, ha dedicato la serata alla morte di Eluana.

Raiuno, invece, ha rinunciato alla fiction Il bene e il male (titolo emblematico) per lasciare posto a Bruno Vespa e al suo Porta a Porta. Anche Emilio Fede ha subito aperto una diretta. Come la gioia, così il dolore più grande non sa parlare. Di qui l'ambiguità di uno strepito al quale si possono dare nomi diversi. A me viene in mente solo schizofrenia.

Ma noi tutti, in queste drammatiche situazioni, cerchiamo solo il rumore per coprire un insopportabile, misericordioso silenzio.


10 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Febbraio 10, 2009, 05:39:45 pm »

La foto che manca

di Giovanni Maria Bellu


Guardate bene quelle foto.

I giornali domani ne saranno pieni. Le televisioni inonderanno le case degli italiani con l’immagine di Eluana. E taceranno il fatto che quella ragazza, la ragazza sorridente delle foto, non esiste più da diciassette anni.
Il presidente del Consiglio, con la tempestività dello specialista di marketing, ha immediatamente avviato la seconda fase dell’operazione-Eluana. La sua prima dichiarazione è chiara fino alla spudoratezza.  "E’ stata resa impossibile l'azione per salvarla".

Guardate quella foto e osservate la curva dei sondaggi. Cinque giorni fa due italiani su tre condividevano la scelta di Beppino Englaro. Ieri il paese era diviso a metà. Nel mezzo c’è stata una delle più colossali operazioni di disinformazione del dopoguerra. Sarà interessante e istruttivo studiarla. Perché la campagna mediatica della tragedia di Eluana Englaro è la dimostrazione evidente dei danni che la cosiddetta “anomalia italiana” è in grado di produrre nella libera formazione del consenso.
La tempestività con cui Silvio Berlusconi ha diffuso la sua dichiarazione chiarisce a tutti quelli che ancora non se n’erano accorti il senso dell’intera operazione: attribuire la morte di Eluana Englaro al capo dello Stato e all’intera opposizione. Con qualche venatura di “giallo” come ha potuto constatare chi, poco fa, si trovava davanti alla televisione e ha avuto la disgrazia di sentire Bruno Vespa.

L’uso delle immagini della ragazza sarà, nei prossimi giorni, il proseguimento con altri mezzi della falsificazione operata attraverso i servizi sui risvegli dal coma (di persone in condizioni totalmente diverse da Eluana Englaro) o con l’utilizzo ossessivo di verbi quali “bere” e “mangiare” (spesso accompagnate da immagini di focacce e bottiglie d’acqua). Per questo è importante guardare bene, cioè in modo adulto e consapevole, quelle vecchie foto.

Perché il loro uso e abuso richiamerà un’assenza. Richiamerà l’immagine mancante. Quella di Eluana nel letto di morte.
L’immagine che, se solo avesse voluto, Beppino Englaro avrebbe potuto diffondere per mettere a tacere i suoi calunniatori. Non l’ha mai fatto. Non ha voluto farlo.  Ma questo, state sicuri, le televisioni del premier non lo diranno.


09 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #7 inserito:: Febbraio 11, 2009, 02:08:17 pm »

«È stato sbagliato insistere contro la volontà di Eluana»

di Vittorio Angiolini


La legge umana è l'arte del possibile e non una sintesi di principi etici, categorici. Un esempio ne dà la distinzione, di cui si fa un gran parlare, tra il dare cure sanitarie ed il nutrire una persona.
Sul piano etico, è scontato che si debba dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. E' ovvio quindi preoccuparsi di soddisfare il diritto dell'individuo di nutrirsi.

Problema differente nasce, tuttavia, quando si pretenda di nutrire, in qualunque modo, chi non voglia essere nutrito o chi non lo chieda ed anzi abbia manifestato il convincimento di non volerlo per lo stato disperato in cui si trova, quanto alla sua condizione di salute.

È questa la questione affrontata dalla Cassazione per Eluana Englaro e non è, si badi, questione di distinzione tra trattamenti sanitari o non sanitari, ovvero tra trattamenti più o meno artificiali: perché l'impedimento che abbiamo ad imporre il nutrimento ad un altro che non ce lo chiede o non lo vuole, nel nostro diritto di poveri uomini, non viene tanto dalla supposta disponibilità del diritto alla salute dell'art. 32 della Costituzione, ma viene dal principio, esso stesso eticamente fondato credo per tutti, dell'habeas corpus, ossia dal principio, scritto nell'art. 13 della Costituzione, per cui non si deve comunque invadere il corpo di un'altra persona senza il suo consenso.

C'è chi vorrebbe avessimo tutti, nelle forme volta a volta appropriate, il dovere o l'obbligo incondizionato di imporre ad un'altra persona di nutrirsi. L'insegnamento della Chiesa è però più moderato, ammettendo che anche la nutrizione possa costituire trattamento "sproporzionato". Il che è esattissimo perché l'appellarsi ad imperativi assoluti, rimessi per l'attuazione all'imperfezione umana, è azzardato e può diventare disastroso.

Una Corte americana, tempo fa, stabilì, per un paziente in stato vegetativo, la sospensione delle cure mediche e la prosecuzione della nutrizione artificiale. Il risultato fu che, grazie a nutrizione artificiale, il paziente sopravvisse ancora per anni, senza variazioni dello stato vegetativo in cui era sin dall'inizio, morendo poi di una banale polmonite, che non fu curata, stante la interruzione dei presidi sanitari.

È facile rendersi conto, come si è resa conto la successiva giurisprudenza americana, che un tale esito è illogico ed umanamente assurdo. E' assurdo continuare a nutrire un'altra persona per anni, prescindendo dal suo consenso e dall'utilità che essa può avere dal protrarre una vita solo biologica, per poi lasciarla morire di un male facilmente curabile. Ed è illogico perché in questo caso, dopo aver prolungato la vita altrui artificialmente, imponendo la nutrizione, ci si arroga di far riprendere il processo del morire, negando la cura sanitaria.
Un esito tanto illogico e assurdo può essere evitato solo accettando di essere quel che siamo, non esseri onnipotenti ma uomini limitati i quali, quando interrompono i trattamenti sanitari, riconoscendo la propria impotenza nella cura dell'altro, debbono interrompere anche l'imposizione della nutrizione, lasciando che il processo di fine della vita dell'altra persona segua integralmente il suo naturale corso.

Non si tratta di principi etici, ma del limite che va assegnato all'uomo che, in nome della sua coscienza umana, pretenda di ergersi ad arbitro assoluto del destino di un'altra persona. E' questo l'interrogativo che si è posto per Eluana Englaro; quando, di recente, Eluana ha avuto una emorragia, che la poneva in pericolo di vita, i medici curanti, pur rifiutando di interrompere la nutrizione artificiale, hanno ritenuto di non dover intervenire con le trasfusioni; quasi che imposto il nutrimento, per prolungare una vita altrimenti in via di spegnimento, l'etica e la coscienza fossero salve, e si potesse poi lasciare, senza darsi troppo pensiero, che la morte sopraggiungesse grazie all'astensione dai trattamenti sanitari. Non è così: rispetto al classificare eticamente ed in astratto i trattamenti, assai più ragionevole è accettare che nessuno abbia un potere su di un altro tale da obbligarlo a sopravvivere a qualunque costo, tanto con cure sanitarie che con una nutrizione imposta.


Vittorio Angiolini, professore ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Milano, ha tutelato Beppino Englaro nel ruolo di “Tutore” di Eluana

10 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #8 inserito:: Febbraio 11, 2009, 02:14:41 pm »

Il «registro della sofferenza». Sabato: respira a fatica, spruzziamo acqua

«Sale la febbre, poi il cuore si ferma»

Il diario delle ultime ore di Eluana

Una giornalista della Rai: «Domenica sono entrata nella cameretta. L'impatto è stato devastante: irriconoscibile»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


UDINE - «Lunedì pomeriggio la febbre aumenta. Le mucose sono asciutte. Gli infermieri le bagnano le labbra con gocce d'acqua». In poche ore arriva la morte. L'agonia di Eluana Englaro è descritta in un «registro della sofferenza», da qualche giorno parte della sua cartella clinica. Iniziata a Lecco e completata a Udine: 17 anni di vita vegetativa in un mazzo di fogli. Accompagnano Eluana anche nel suo ultimo viaggio nell'ambulanza che la trasporta a Udine. Alle 5.55 del 2 febbraio l'ora di Eluana è ormai segnata. Nella cartella clinica ci sono le dimissioni firmate dal padre Beppino, il profilo sanitario tracciato dal suo neurologo, Carlo Alberto Defanti, il protocollo medico che avvocati, medici e infermieri hanno sottoscritto. È l'ultima fase della vita di Eluana. Quello che resta di un'esistenza infranta contro un palo, riemersa in un reparto di Rianimazione, tirata per i capelli per 17 anni. Le suore l'hanno accudita come una figlia. Non c'è scritto, ma si capisce dalle condizioni in cui Eluana arriva nella casa di riposo «La Quiete».

I documenti riportano i trattamenti che lei ha ricevuto dalle misericordine di Lecco. «Antiepilettici» per alleviarle i disagi dello stato vegetativo; mai un antibiotico, perché le infezioni non l'hanno mai sfiorata; solo un problema grave: una forte emorragia sopraggiunta lo scorso ottobre. Emorragia a parte, la donna al momento del trasferimento a Udine ha un sintomo insolito: tosse e catarro di cui le suore parlano ad Amato De Monte, il rianimatore che viene a prenderla, capo dell'équipe di volontari con l'incarico di assisterla fino alla morte. Nella cartella clinica c'è anche di più: le suore indicano quali accorgimenti prendere contro le piaghe da decubito, il muco-saliva che rischia di soffocarla, la ginnastica passiva e la mobilitazione. Tutto messo nero su bianco: Eluana va girata ogni quattro ore; il muco-saliva deve essere aspirato perché ha problemi di deglutizione; poi il movimento: a Lecco la ginnastica è quotidiana, abbinata alle passeggiate in carrozzina. Ma a Udine la sua anamnesi sanitaria serve poco. Perché il suo futuro medico è tutto nel protocollo studiato per la sospensione di nutrizione e idratazione artificiali. Che parte il 3 febbraio: prevede tre giorni di alimentazione «normale» allo scopo di «familiarizzare con la paziente». La breve routine alla Quiete resta agli atti del «diario medico», sempre parte della cartella clinica: Eluana prende antiepilettici come a Lecco, anche se di marca diversa (Fenobarbitale Luminale), viene girata ogni quattro ore, l'infermiere di turno le aspira il muco-saliva.

Da venerdì comincia lo stop. Alle sei del mattino il sondino naso-gastrico viene chiuso con un tappino. Si inzia e compilare il «registro della sofferenza». Dopo 24 ore le prime complicazioni: sabato pomeriggio Eluana respira a fatica, le mucose sono asciutte. Gli infermieri nebulizzano acqua. Domenica la situazione si complica: gli infermieri la girano ogni due ore, le nebulizzano ancora acqua sulle mucose. Una cronista Rai, Marinella Chirico, che la vede, racconta che «è irriconoscibile, le sue orecchie hanno delle escoriazioni». Eluana è già sedata. Il farmaco è il «Delorazepam», iniettato sottocute. Lunedì le sue condizioni precipitano. Il «registro della sofferenza» parte all'una di notte: «Eluana è postulata sul fianco sinistro», «alle 4 sul fianco destro», alle 8 «è di nuovo supina». «Alle 10.15 le mucose sono di nuovo asciutte», gli infermieri le bagnano le labbra con gocce di acqua. La sedazione prosegue. Nel pomeriggio la febbre sale. Eluana è debole, respira malissimo, è sempre sedata. Le urine sono scomparse. Alle 19.35 il cuore si ferma. La casa di riposo dichiara: arresto cardiaco per insufficienza renale.


Grazia Maria Mottola

11 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:04:04 pm »

So cosa vuol dire dignità della vita

di Ileana Argentin


Ciao Eluana,

riposa in pace, quella pace che diatribe politiche per mesi e mesi non ti hanno risparmiato. Colgo l’occasione per salutare tuo padre, uomo di straordinaria forza ed etica. Parlo da credente, da donna disabile, da parlamentare del Partito Democratico. Io, credente, sono nata con l’amiotrofia spinale, una malattia genetica progressiva.
La fede, una famiglia stupenda e la voglia di riscatto mi hanno aiutata nel mio percorso di cittadina, di donna. Oggi, ovunque tu possa trovarti, provo accanto al dolore per la tua scomparsa, un profondo senso di pace. Perché so, con certezza, fin dai tempi nei quali ero Consigliere Delegato per le politiche dell’handicap nel Comune di Roma, che la vita è un bene prezioso quando è degna di essere vissuta.

La vita da sola, questa la mia personale opinione, non basta. Ho sempre ritenuto che, a prescindere dalle condizioni sociali, culturali ed economiche nelle quali si vive, una vita è tale se accompagnata da “qualità” e “dignità”.
Non parlo di concetti astratti. La dignità è ciò che mi fa svegliare la mattina e mi fa pensare che ho degli obiettivi, che il mio agire non è vano, che sento, che posso percepire, provare emozioni, positive o negative, ma devo potere sentire e interagire con l’altro, il mondo. Quando non mi sono assicurate queste minime condizioni, allora preferisco, da credente, ricongiungermi a quel Signore nel quale credo. Anche questa è fede, anche questo è credere.

Per questo, più volte nella mia esistenza, ho ripetuto che «si può desiderare di morire proprio per amore della vita».
Ora fermiamoci per tornare a parlare di una legge sul testamento biologico sperando che non si torni all’inutile scontro tra credenti e laici. La società è cambiata e ci chiede di cambiare. Di certo non ci chiede uno scontro di civiltà e culture: cosa che non potrei tollerare e che non avresti mai tollerato neanche tu. Ciao Eluana.


13 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:18:17 pm »

Le scuse dei credenti al padre di Eluana

di Giulia Rodano


Sento il bisogno in questi giorni, segnati dalla cattiveria di Berlusconi e del suo governo, di porgere le mie scuse a Beppino Englaro. Scuse e riconoscenza a nome soprattutto di quanti si ostinano a riferirsi a una ispirazione di fede. Mi hanno insegnato che non bisogna, pur di vivere, perdere le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta. E sta proprio in questo, nella capacità di testimoniare che vi sono cose, in primo luogo l’amore per il prossimo e poi l’amore per la verità, che stanno la forza e la terribile difficoltà della testimonianza di fede.

Si dirà: non è questo il caso. Qui si è voluto anticipare la fine di una persona e affermare un diritto sulla vita e sulla morte. Quante volte ci siamo, nel corso degli ultimi decenni, interrogati su dilemmi simili a questo? Nel caso drammatico dell’aborto non abbiamo potuto che affidarci alla responsabilità delle donne, a coloro che fino all’ultimo difenderebbero il nascituro.

Come nel caso della maternità, la possibilità di controllare la propria esistenza ha sottratto anche la morte all’essere determinata solo dal caso. Anche la morte entra nel campo delle scelte, della necessità di decidere. Anche la morte diventa atto di responsabilità. È un grande passo in avanti, ma un passo difficile. Anche la morte, come la procreazione, può diventare oggetto di conflitto interiore. Come nel caso della procreazione, allora, nessuno se non la persona che soffre, o coloro che la amano, che le sono più vicine quando la persona non può più scegliere, possono assumersi la tremenda responsabilità di decidere.

Ogni professione di fede non può sottrarsi a questa sfida, non può chiedere alla legge di evitare a tutti noi e ai credenti in primo luogo di sottrarre loro l’amaro calice della scelta sulla vita e sulla morte. Altrimenti anche la vita diventa un feticcio, un vitello d’oro, cui sacrificare per salvarsi l’anima, trascurando i doveri della compassione e dell’amore.


13 febbraio 2009
da unita.it
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