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« inserito:: Marzo 10, 2008, 03:47:48 pm » |
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Madrid e Parigi chiamano Roma
Gianni Marsilli
Josè Luis Rodriguez Zapatero e Walter Veltroni non hanno molto in comune. Li dividono la storia e il contesto politico dei rispettivi Paesi, e anche i profili personali. Ognuno dei due è cresciuto nella sua sinistra: nuova e scattante quella del premier spagnolo, più affaticata e imbrigliata dalla storia quella dell’aspirante premier italiano. Il primo, formatosi negli anni del vulcanico Felipe Gonzalez, ha fatto sua sin da giovanissimo l’idea e la cultura di governo, e porta con sé un netto tratto tecnocratico.
Il secondo è da vent’anni uno dei protagonisti della mutazione della sinistra italiana. Ha governato anche Veltroni, eccome, in Italia e a Roma. Ma è adesso, nel 2008, che corre per diventare capo dell’esecutivo. Il primo, nel 2004, poteva contare su di un partito già sperimentato e ben strutturato. Il secondo, come sappiamo, è alla testa di un partito che tra un mese si sottoporrà alla sua prima prova elettorale.
Tuttavia c’è qualcosa che unisce i due uomini, come li unisce ad altri protagonisti della scena europea: il desiderio e l’ambizione di modernità. Si vogliono ambedue contemporanei, e non perennemente genuflessi ai piedi delle icone e degli ingombri del passato. Se Zapatero ha vinto, è soprattutto perché ha saputo guardare avanti. Gli spagnoli hanno premiato colui che ha preso in conto le loro reali esigenze di cittadini ed individui, qui ed ora. E che nel contempo ha conservato quel che di valido c’era stato nel doppio mandato di Aznar: la vivacità e la libertà economica, la fungaia imprenditoriale, la modernizzazione dei servizi pubblici, una certa fluidità del mercato del lavoro. In quattro anni, Zapatero non ha lanciato nessuna crociata di sapore ideologico, come invece ha fatto la destra spagnola. È rimasto socialista, ma senza impiccarsi alla parola. Tant’è vero che preferisce definirsi «democratico sociale»: dizione più vicina a quella di social-liberale che a quella, gloriosa ma ormai scolastica, di socialdemocratico. Nell’un caso come nell’altro, vi è coscienza piena del mutamento d’epoca. I campi l’un contro l’altro ferocemente contrapposti, in Spagna come in Italia, sono campi diventati sterili. Nell’azione di governo si vedrà, ma già nei primi passi del candidato Veltroni è chiara e netta la voglia di pensare all’avvenire dei figli più che al passato dei nonni: la vicenda De Mita docet, il viaggio nel nord-est conferma. I due, lo spagnolo e l’italiano, forse non si assomigliano, ma il loro sguardo politico sì.
Aveva promesso di guardare avanti anche Nicolas Sarkozy, e proprio per questo i francesi, e non solo, gli avevano dato fiducia. Si è impantanato in un gran polverone: personale, ma anche politico. Le riforme sono state annunciate a gran voce in nome della «rupture», ma non sono state nemmeno avviate. Le liberalizzazioni predicate dalla commissione Attali? Uccise dalla protesta dei tassisti. L’aumento del potere d’acquisto? Solo per i grandi manager, gonfi di stock options più di tutti i loro colleghi europei. Ieri il primo avvertimento: le amministrative hanno premiato la sinistra, che dieci mesi fa pareva avviata al definitivo tramonto. Oggi la Francia si trova in un limbo: la modernità predicata da Sarkozy non ha mai visto la luce, quella dei socialisti è ancora balbettante, qua e là intrisa di vecchiume tribunizio, di demagogia frontista. Ma vi sono persone come Bertrand Delanoe, o Ségolène Royal, più di altri consapevoli di vivere nel XXI secolo. Il futuro della sinistra o del centrosinistra francese, inevitabilmente, apparterrà a loro, perché guardare avanti vuol dire essere più generosi, non solo lungimiranti. La sinistra (ricordate un certo Tony Blair alla fine dei ‘90? E un certo Gerhard Schröder, le cui riforme pagano oggi?) vince quando smette le sue forme di conservatorismo, che sono tante. È accaduto anche ieri in un’Europa che pareva ineluttabilmente promessa alla destra, tra un mese potrebbe accadere in Italia. Il primo a saperlo, malgrado i sondaggi che sventola, è quel signore che strappa i programmi altrui e che tradisce i suoi. Anzi, è proprio per questo che ricorre a gesti d’altri tempi. È nervoso, e gli viene spontaneo ricorrere al suo vecchio armamentario: la demagogia, che ha bisogno di nemici e non di avversari.
Pubblicato il: 10.03.08 Modificato il: 10.03.08 alle ore 8.17 © l'Unità.
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