Le parole di Walter
Pietro Spataro
C’è una parola che rappresenta meglio di altre il senso della sfida di Veltroni: futuro. È una parola che ricorre spesso (per la precisione undici volte) nel discorso di Spello e che indica una nuova frontiera. Davanti a uno scenario di tetti, campanili e ulivi (il paese reale), il leader del Pd ha segnato a Spello uno spartiacque per la politica italiana. Di là il vecchio e il passato. Di qua il nuovo e il futuro.
È il primo messaggio. E sarà, non c’è dubbio, lo spartito di questa difficilissima campagna elettorale. Nessuno scontro ideologico, serenità, voglia di andare, un programma e un’utopia: costruire un’Italia che si lasci finalmente alle spalle i fantasmi del Novecento. Per la destra, per Berlusconi, si tratta di un’altra insidia. La guerra al comunismo diventa ancora di più un’arma logora e antica.
Tra qualche giorno Veltroni ci dirà con quale programma cercherà di conquistare gli italiani. Ma già da oggi emerge chiaramente (anche grazie al lavoro svolto da Romano Prodi e interrotto solo dalla rissosità degli alleati) l’idea di un paese libero e pulito, onesto e lieve, coraggioso e intraprendente. Un paese nel quale possano stare insieme l’operaio che si batte per un salario migliore e per un lavoro che non porti morte e l’imprenditore che vuole crescere e chiede regole e opportunità, non burocrazia.
Gli italiani che vogliono un Paese così ci sono, faticano ogni giorno in ogni angolo di ogni città. È la politica invece che manca. È la politica che sta spesso da un’altra parte.
E questo è il secondo messaggio di Spello: la politica va rifondata, deve diventare di nuovo una bella impresa per cui vale la pena spendersi e innamorarsi. Sarà possibile solo se essa tornerà a parlare alla gente, se si occuperà dei suoi problemi, se ritroverà la voglia di correre e di rischiare. La voglia di cercare ancora.
Se questo è l’orizzonte, allora la sfida lanciata dal Pd di Veltroni appare ancora più grande. Nella scelta, che a molti era apparsa folle, di andare al voto liberi dai condizionamenti di una coalizione frammentata c’è il tentativo di dire agli italiani: il Pd è qui, ha un leader, un programma, tanta voglia di fare. Ci giochiamo tutto, dateci fiducia, aiutateci a spezzare il brutto incantesimo di un’Italia impaurita, ancora divisa da muri invisibili e con la testa rivolta all’indietro.
È una scelta che, come abbiamo visto, porta molto scompiglio nella destra. Per la prima volta negli ultimi anni, infatti, non è più Berlusconi a dettare l’agenda. Oggi lui insegue, corregge, si adegua, è costretto a inventare su due piedi un partito per far finta di farsi nuovo insieme a Fini che, solo un paio di settimane fa, lo definiva comico. Il leader di An ritorna a rapporto dal capo e rischia così di finire a fare il vice della Brambilla. Il terremoto provocato dal Pd, insomma, manda all’aria ogni certezza. Ridisegna confini politici (anche alla sinistra del Pd, dove servirà la stessa dose di coraggio) e destini personali. Con quali effetti si vedrà nel tempo.
Ma ce la farà Veltroni in questa complicata impresa? È la domanda delle domande. Diciamolo, la partita è molto difficile: da una parte c’è un partito nuovo, dall’altra un’armata brancaleone che va da Salò a Ceppaloni ma che sulla carta dei sondaggisti ha un vantaggio significativo, quasi irrecuperabile. Però non sempre, come insegna la vita, le cose vanno come si prevede. E se il Pd, tutto insieme, con determinazione, sarà in grado di dimostrare che la posta in gioco non è solo un voto, ovviamente importante, ma anche cambiare l’anima dell’Italia, farla uscire da un bipolarismo malato, portare il cittadino (l’operaio, l’insegnante, lo studente, l’imprenditore) al centro della politica e dello Stato, allora forse la missione può diventare possibile. Perché in giro, già si sente, c’è tanta voglia di aprire il sipario su una nuova stagione. E la inevitabile polarizzazione dello scontro (Veltroni contro Berlusconi) potrebbe alla fine premiare il leader del Pd.
Ci sono altre due belle parole nel discorso di Spello che erano quasi scomparse dal lessico della politica: sogno e utopia. Ferita dal dramma di altri sogni e altre utopie che hanno segnato la storia del Novecento, la sinistra ha avuto nel tempo quasi il timore di pronunciare quelle due parole. E invece sogno e utopia possono dare alla politica il senso profondo della sua missione. Perché la politica non può essere solo buona amministrazione. Che serve, eccome, ma non basta. La politica deve diventare una serena battaglia quotidiana per fare in modo che le nostre utopie diventino realtà. Per fare in modo che la città che vogliamo nasca giorno dopo giorno, pezzetto dopo pezzetto, in un appassionante lavoro di costruzione collettivo.
Se ci pensate è la stessa sfida che in questi giorni sta premiando un altro uomo su cui solo qualche mese fa nessuno avrebbe scommesso: Barack Obama. «Riprendiamoci il sogno americano», ha detto il senatore dell’Illinois in un bellissimo discorso tenuto tre mesi fa nello Iowa e che abbiamo pubblicato ieri sulla prima pagina de l’Unità. Riprendiamoci il sogno italiano anche noi. Basta crederci. Dipende da ognuno di noi.
pspataro@unita.itPubblicato il: 11.02.08
Modificato il: 11.02.08 alle ore 8.17
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