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Autore Discussione: E se al Papa non interessasse la diplomazia?  (Letto 3460 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 01, 2022, 05:52:54 pm »

Newman 27 - E se al Papa non interessasse la diplomazia?
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Il Foglio
12:01 (5 ore fa)
a me
1-10-2022

E se al Papa non interessasse la diplomazia?
Provocazione, certo. A quale Pontefice potrebbe non piacere l'arte sottile e antica del negoziato, del dialogo, della tessitura (alla luce e in segreto) di trame per giungere alla pace e alla soluzione delle crisi più o meno complesse che ciclicamente attraversano il pianeta? Il punto è un altro, e cioè l'esistenza di un doppio binario che vede la Santa Sede impegnata sul fronte internazionale. Per farla breve e semplice: mentre la Segreteria di stato con le sue ramificazione nei contesti di crisi lavora a fari rigorosamente spenti, incontrando e parlando (come è normale e giusto che sia) anche con soggetti non troppo raccomandabili, Francesco preferisce – un po' wilsonianamente – portare tutto allo scoperto. Parla liberamente, definisce Kirill "chierichetto di Putin" e lo fa sapere (anche se ha confessato in privato di non aver mai usato quell'espressione), ricorda – nonostante le preghiere di non farlo – la morte tragica (attentato) di Daria Dugina, la figlia del teorico dell'ideologia del "Mondo russo" che alimenta oggi la propaganda putinista. Ancora, si avventura in letture geopolitiche che – giuste o meno che siano – non hanno nulla del bon ton diplomatico (la Nato che abbaia non rientra, infatti, nei canoni dell'eleganza politicamente corretta), sull'invio delle armi all'Ucraina rispolvera un po' dell'antica dottrina ma adeguandola ai tempi correnti e a considerazioni personali.
Il tutto finalizzato – ed è questo il cuore dell'azione bergogliana – a ribadire che la Chiesa non sposa la linea atlantista che vorrebbe dividere il mondo in buoni e cattivi e che se i primi sono immacolati gli altri sono reietti. Ciò complica implicitamente, ed è anche banale dirlo, l'azione della gloriosa scuola diplomatica d'Oltretevere, che ha fatto del silenzio intelligente la chiave del suo successo per secoli. A Francesco preme ripetere i princìpi del Vangelo: i cristiani non possono odiare e combattersi. 

Troppe interviste?
Le interviste che il Papa, fin dall'inizio del pontificato, concede ai giornalisti a bordo dell'aereo che lo porta in ogni parte del mondo, sono una manna. Senza censure o filtri, Francesco risponde a tutto e spesso divaga, fornendo in abbondanza materiale a chi poi deve scriverne e informare.  Diventano però un'arma a doppio taglio quando rivelano tratti del modus operandi vaticano che sembrerebbero molto politici e poco spirituali o quando evidenziano contraddizioni che raramente vengono chiarite.

 L'ultima conversazione del Pontefice, di ritorno dal Kazakhstan, ne è un esempio lampante. Ragionando di politica internazionale, Francesco ha posto come obiettivo primario ed essenziale il dialogo. Dialogo con la Russia, con la Cina, con il Nicaragua. E' quel "tenere la porta aperta" che rappresenta da sempre l'obiettivo primario della diplomazia d’Oltretevere ma che Francesco declina a seconda delle sue visioni sullo stato del mondo.

Nicaragua e Ucraina: abbiamo un problema
Nicaragua: il Papa ha detto che la situazione è brutta, ma che si dialoga. "Questo non vuol dire che si approvi tutto quel che fa il governo o che si disapprovi tutto. No. C’è dialogo, e quando c’è dialogo è perché c’è bisogno di risolvere dei problemi. In questo momento ci sono dei problemi. Almeno io mi aspetto che le suore di Madre Teresa di Calcutta tornino. Queste donne sono brave rivoluzionarie, ma del Vangelo! Non fanno la guerra a nessuno. Anzi, tutti abbiamo bisogno di queste donne. Questo è un gesto che non si capisce… Ma speriamo che tornino e si risolva. Ma continuare con il dialogo. Mai, mai fermare il dialogo. Ci sono cose che non si capiscono. Mettere in frontiera un Nunzio è una cosa grave diplomaticamente".

Nel frattempo, mentre si dialoga, il presidente Daniel Ortega ha continuato la caccia contro i cattolici, a cominciare dalle gerarchie che gli sono ostili. Ad agosto, il vescovo Rolando José Álvarez è stato prelevato con forza dalla curia di Matagalpa dove era rinchiuso da settimane insieme ad altri sacerdoti e laici. La polizia ha condotto il presule e le altre persone a Managua". Di lui, di fatto, non s'è più saputo nulla. Solo qualche notizia sul fatto che non sia in buone condizioni di salute.

Di più: Ortega ha infatti detto in un discorso trasmesso da tutti i media del Paese che "la Chiesa cattolica ha usato i suoi vescovi in Nicaragua per inscenare un colpo di stato" contro il suo governo. E si è chiesto "da quando i preti sono qui per inscenare un golpe? E da quando hanno l'autorità per parlare di democrazia?".
Il problema delle dichiarazioni in libertà del Papa, senza mediazione alcuna, è che di fatto danno l'idea (e per di più davanti a una platea di giornalisti) della totale incapacità della Santa Sede non solo di portare Ortega a più miti consigli, ma anche di difendere i propri vescovi in quel Paese. Perché se "si dialoga", significa che il dialogo è a un punto morto visto che la controparte arresta i prelati, impedisce le processioni e accusa la Chiesa di tramare colpi di stato. E' assai improbabile che in Segreteria di stato, leggendo le dichiarazioni di Francesco ad alta quota, abbiano fatto i salti di gioia.

La stessa cosa vale per il conflitto russo-ucraino, che il Papa ha ribadito di voler definire una Terza guerra mondiale che coinvolge di fatto gli imperi più che i due singoli paesi. E' superfluo ricordare la sequela di dichiarazioni di Francesco sul tema (precisazione: non ha mai negato che la vittima sia l'Ucraina e che l'aggressore sia la Russia), è sufficiente riprendersi tutti gli interventi, i discorsi, le omelie, i gesti (bandiera di Kyiv in mano) per capire che non ci sono dubbi sul fatto che Roma stia con l'aggredito. La lettura delle cause che hanno portato Mosca a intervenire, però, è più complessa: "E' in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale", ha detto nel colloquio con i gesuiti della regione russa riportato dalla Civiltà Cattolica nel suo ultimo numero. Evitare, dice Bergoglio, di "essere semplicisti nel ragionare sulle cause del conflitto". Qui si ha a che fare con "imperialismi in conflitto" che "quando si sentono minacciati e in decadenza, reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi, e anche per vendere e provare le armi".
Il che fa anche capire una cosa: quando il Papa sembrava aprire all'invio di armi in Ucraina, in realtà stava dicendo altro: che un Paese ha sì il diritto di difendersi, ma la difesa non può diventare la scusa per provare nuove armi giunte da alleati più o meno vicini.

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AVVISI: Dal 4 ottobre in libreria e online, arriva l'Atlante geopolitico del cattolicesimo. Come cambia il potere dentro la Chiesa. Si può già preordinare qui e qui
Per capire la Chiesa di oggi e la Chiesa di domani. Per orientarsi tra alleati, oppositori e guardinghi spettatori del Pontificato di papa Francesco. Domanda di base: perché un atlante geopolitico del cattolicesimo? Risposta: Perché cambia il mondo e cambia la Chiesa cattolica, com'è evidente fin dalla sera del 13 marzo 2013, quando dalla Loggia centrale della Basilica vaticana Francesco, il neoeletto Papa argentino, faceva capire che era il momento di spiegare le vele e andare al largo. Francesco è stato eletto per ridare slancio a una Chiesa che a giudizio del Collegio cardinalizio che si riunì nelle congregazioni del pre-conclave, appariva stanca e ripiegata su se stessa. Bisognava uscire dalla ridotta vaticana, aprire gli ospedali da campo, salpare anche senza sapere quale sarebbe stata la meta. Cosa è successo allora in questi anni?
In questo volume non ci sono rivelazioni stupefacenti o sconvolgenti. E', si potrebbe dire, un'analisi dello stato delle cose. Intanto si riflette sull'Italia, sul suo non essere più l'isola felice che tanti ritengono ancora essere: è sufficiente guardare i volti dei fedeli in qualche chiesa romana quando il parroco annuncia che sarà costretto, per mancanza di sacerdoti, a ridurre da 5 a 4 le messe domenicali e a rivedere gli orari delle confessioni. Shock, panico, lamentele. Quando la realtà è ben più drammatica: in zone un tempo fiorenti del nostro Paese, le messe neppure ci sono. E se ci sono, sono alternate: una domenica qua, l'altra là. Senza possibilità di scegliere l'orario migliore che consenta la colazione al bar, la passeggiata in centro, la partita al pomeriggio. Al nord ormai ciò è prassi e lo diventerà presto anche nelle altre zone d'Italia. Meglio avere chiaro il quadro della situazione.
Anche per questo è stato intrapreso il percorso sinodale italiano che, con lentezza tipicamente nostrana, va avanti prima di essere convogliato nel più grande e complesso Sinodo sulla sinodalità voluto dal Papa (chiusura: autunno 2023 a Roma). Niente a che vedere con le fanfare apocalittiche che giungono dalla Germania (ma non solo), qua si discute di altro. I problemi però ci sono e non sono neppure pochi.
Il terzo capitolo è dedicato alla crisi (che, si ricorda, significa anche opportunità) dei movimenti ecclesiali. Per Giovanni Paolo II erano lo strumento per rievangelizzare l'occidente assopito, una formidabile macchina missionaria. Oggi la situazione è cambiata: i travagli sono tanti, il disorientamento pure. Cosa pensa Francesco?
Infine, uno sguardo al domani: cosa renderà possibile a Cristo tornato sulla Terra trovare ancora la fede? Lo slancio dei laici impegnati che tapperanno le falle alla Barca? Il successo dei preti youtuber e di quanti si danno da fare per "rendere accattivante" il Messaggio? O, piuttosto, un ritorno alla tradizione? I segnali, come si spiega nel libro, sono contrastanti. E la risposta, semplicemente, non c'è ancora.
 
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