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Autore Discussione: Laura Pennacchi - Sviluppo e Investimenti per uscire dalla bufera  (Letto 2957 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2008, 05:57:42 pm »

Sviluppo e Investimenti per uscire dalla bufera

Laura Pennacchi


Suona come un monito la tempestività con cui la Federal Reserve ha deciso un’iniezione di fiducia per l’economia americana, scossa dal terremoto azionario, operando un taglio dei tassi (il primo di questa entità dall’ottobre ’84) e portandoli al 3,50%. Anche nella drammatica confusione della politica italiana, dovrebbe essere considerata una priorità l’emergenza segnalata dal ciclone che sta investendo le borse di tutto il mondo, tuttavia rianimate dalla decisione dell’autorità monetaria americana.

Potrà sembrare paradossale, ma in una situazione in cui abbondano gli elementi di paradossalità come quella del calo nei mercati azionari mondiali è, al contrario, salutare pensare di rimettere al centro dell’agenda politica e culturale le questioni strutturali della crescita e specificatamente le problematiche dell’innovazione come motore dello sviluppo. Il ribasso delle borse, infatti, colpisce anche economie con solidi «fondamentali» come quelle europee (dove le perdite sono arrivate a superare il 7%) perché è provocato dai timori di recessione mondiale e, a loro volta, tali timori sono connessi alle caratteristiche del modello di crescita economica seguito negli Usa dal 2001, basato più sulla finanza che non sulla produzione e l’innovazione e, per di più, una finanza con molti elementi speculativi

La frenata delle borse cade in un contesto evolutivo dell’economia mondiale segnato dalla complessità della situazione economica americana. Che la recessione, per alcuni già in atto negli Usa per altri attesa per la seconda metà del 2008, duri solo un paio di trimestri o che essa possa essere più intensa e più estesa nel tempo, le previsioni sono state tutte riviste al ribasso anche per l’economia mondiale, poiché il concorso alla crescita totale di paesi emergenti come l’India, la Cina, la Russia, il Brasile (pari nel 2007 a più di un terzo del totale) non riuscirà a compensare l’ipotizzata riduzione della forza di traino dell’economia americana. Quest’ultima, d’altro canto, si sta rivelando come il vero epicentro delle sorgenti di instabilità che oggi permeano tutto il mondo. La crisi esplosa in agosto nei mercati finanziari con le turbolenze dei subprime ha fatto emergere qualcosa di molto profondo generando, dopo anni di sovrabbondanza di liquidità, una sua singolare carenza. Malgrado la ripetuta azione a sostegno delle Banche Centrali, mentre il contagio si estende al mercato delle riassicurazioni dei bond a rischio e a quello delle carte di credito, preoccupa lo stato di salute delle banche, le quali da una parte stentano a finanziarsi a breve, dall’altra sono costrette a difendere il proprio capitale, dall’altra ancora vedono interrotti i rubinetti del lucroso mercato delle cartolarizzazioni.

Le fonti di instabilità hanno fatto degli Usa il paese al tempo stesso più ricco e più indebitato del mondo, in grado di risucchiare più di due terzi dei flussi netti di capitale internazionali. Al suo interno si legano e si avvitano il clamoroso deficit pubblico - dovuto per metà ai tagli fiscali a vantaggio dei benestanti, per metà alla spesa per la guerra all’Iraq - creato dall’amministrazione Bush (poiché l’attivo di bilancio del 2% lasciato in eredità da Clinton è stato totalmente dissipato), gli squilibri della bilancia commerciale, l’elevatissimo indebitamento di tutti gli operatori privati (famiglie e imprese), il sostegno alla crescita economica fornito da successive attivazioni "drogate" della borsa e l’alimentazione di «bolle speculative» - nella seconda metà degli anni ’90 quella mobiliare, più di recente quella immobiliare -, la manovra dei tassi di interesse e la svalutazione del dollaro. Proprio alla riattivazione borsistica ha concorso la condotta di Greenspan, il quale parlò di «esuberanza irrazionale» della Borsa, senza però fare molto per contenerla, il che gli valse l’accusa di Stiglitz: «Poteva prendere delle iniziative per attenuare il fenomeno, ma scelse di non farlo. Al contrario parlò a lungo della nuova era di grande produttività diventando uno dei tifosi della bolla».

La circostanza sconcertante che negli ultimi anni il paese più ricco sia diventato anche il maggiore debitore globale del mondo sottende un più generale processo di indebitamento, causa ed effetto delle onde che attraversano i mercati finanziari, del resto all’uopo deregolamentati e tuttavia sconvolti da periodiche crisi. Poiché l’economia reale si mostra non in grado di convalidare l’eccesso di finanza e di aspettative di rendimento che si è lasciato maturare, le crisi finanziarie (con contorno di enormi speculazioni e di singoli, giganteschi scandali) sembrano modi con cui si procede a distruzioni di parte della ricchezza finanziaria esistente, il che solleva radicali interrogativi sulla tanto decantata efficienza dei mitici mercati finanziari. Il fatto è che, vista la lentezza di reazione di consumi, investimenti, esportazioni, per le loro successive riprese gli Usa sembrano aver puntato sulla capacità di trascinamento dei mercati finanziari, capacità che - senza curarsi del rischio di creare successive, nuove «bolle speculative» - è stata attivamente alimentata dall’amministrazione Bush anche attraverso la detassazione dei dividendi azionari e l’abbandono della politica del dollaro forte.

Tutto ciò si connette - insieme all’andamento dei prezzi delle materie prime, in particolare del petrolio che aveva raggiunto quota 100 e oggi viaggia intorno ai 90 dollari al barile - alla svalutazione del dollaro, l’altra faccia di un’inconfessata «guerra valutaria», di cui hanno risentito soprattutto i paesi europei nella difficile fase di riassetto economico e istituzionale seguita all’adozione della moneta unica.

Questo è il quadro in cui l’Europa e l’Italia debbono muoversi: esse dovrebbero districarsi tra le difficoltà, ma anche cogliere le opportunità che una fase così complessa pure contiene. L’Italia, in particolare, dovrebbe affiancare alla politica redistributiva in atto una dinamica allocativa volta a sostenere produzione (materiale e immateriale), investimenti, nuove tecnologie. In un passaggio più maturo del processo di unificazione monetaria, infatti, bisognerebbe fare maggiormente leva sugli elementi rimasti fin qui latenti della forza e della preveggenza del disegno dell’euro, tra i cui ideatori vi furono personalità quali Delors e Ciampi. Il fatto che l’euro stia diventando un’importante valuta di riserva (il 25% di tutte riserve mondiali e il 39% dei pagamenti tra paesi diversi è denominato in euro) può assicurare vantaggi economici come maggiori investimenti in Europa da parte di Cina e di paesi emergenti (anche attraverso quei Fondi sovrani che segnalano la persistente importanza dell’intervento pubblico).

La forza e la preveggenza degli inventori dell’Euro vanno sviluppate pena il loro deperimento, soprattutto attraverso la politica economica e quella scientifica e tecnologica. Rafforzare le politiche pubbliche a scala europea è vitale per utilizzare pienamente la forza della domanda interna europea, nella sua componente consumi (circa 500 milioni di persone vivono nell’Unione Europea allargata) e nella sua componente investimenti, specie in Ricerca e Sviluppo, nelle infrastrutture e nelle grandi reti. Si tratta di utilizzare l’Euro non solo come strumento di stabilizzazione, di neutralizzazione degli squilibri di origine esterna all’area e di contrasto dell’inflazione - obiettivi che hanno portato a dare alla Banca Centrale Europea (Bce) un ruolo senza paragone nei sistemi democratici contemporanei - ma anche come strumento di rilancio della crescita e pertanto di esplorazione, in una logica integrata, delle possibilità di ricollocazione sulle frontiere tecnologiche (così aiutando anche le ristrutturazioni e le riconversioni industriali) e di identificazioni di linee di nuovo sviluppo comuni e cooperative per i paesi membri. In poche parole l’ispirazione del «piano Delors», con lo scopo primario di sostenere un processo di investimenti specificamente destinato all’innalzamento della produttività, a partire da scienze della vita, dell’informazione, della materia, energia e trasporti, assetto urbano, riqualificazione ambientale, settori a redditività differita e tipicamente bisognosi di finanziamenti di non breve termine.


Pubblicato il: 23.01.08
Modificato il: 23.01.08 alle ore 8.18   
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