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Autore Discussione: Intervista a Umberto Eco di Daniela Panosetti, LA CRISI DELLA CULTURA.  (Letto 1244 volte)
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« inserito:: Ottobre 08, 2023, 11:39:49 am »

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DI GIORGIO LINGUAGLOSSA | 2 NOVEMBRE 2014 ·

LA FUNZIONE DELLA CULTURA E LA CRISI DELLA CULTURA Apocalittici e integrati.
Intervista a Umberto Eco di Daniela Panosetti
Articolo tratto da ICS Magzine 10

Assenza di confronto critico, appiattimento sul presente, mancanza di adeguati filtri all’eccesso informativo. I punti critici del web e in generale dell’attuale temperie culturale secondo Umberto Eco. “Apocalittico” sì, ma solo a metà. Un cura infatti c’è: passare dall’indiscriminata presa di parola a una consapevole “presa” di memoria.
Una semplice etichetta, persino un po’ furba, nata dall’esigenza di trovare una sintesi fulminante a una manciata di saggi su argomenti assai diversi – dai Penauts alla musica di consumo, dal kitsch al linguaggio televisivo – ma tutti in qualche modo dedicati a dare un’inedita dignità di studio all’ormai affermata cultura di massa.
A sentire l’autore, che ne ha raccontato più volte la genesi, la felicissima (e cordialmente odiata) formula “Apocalittici e integrati” è frutto di un puro caso. E dell’intuito infallibile di Valentino Bompiani. Era il 1964 e iniziavano a comparire le prime cattedre consacrate alla comunicazione di massa. Il libro era un collage di studi precedenti, messo insieme ad hoc per uno dei primi concorsi banditi sul tema, ma mancava un titolo: fu Bompiani a trovare l’idea, pescandola ad arte dall’ultimo capitolo. E costringendo il giovane studioso a scrivere quaranta pagine extra per giustificarlo.
 Una trovata fortuita, insomma. Ma questo non ha impedito al modello che ne è scaturito di conquistare una sua obiettiva incidenza, e alla formula, soprattutto, di diventare proverbiale, ricomparendo puntuale a ogni nuova, più o meno presunta, rivoluzione mediale. Così è stato anche per il web, e così anche per la sua ultima incarnazione “social”, che ha sollevato le solite schiere di catastrofisti ed entusiasti.
Mantenendosi avvedutamente a distanza da entrambi, in questo andare di corsi e ricorsi, Umberto Eco continua a osservare la cultura dal punto di vista interno di chi sa, per semiotica deformazione, che tutto ha un significato e che basta provare a bloccarlo per vederselo scappare e slittare verso nuovi lidi. Così, ad esempio, se cinquant’anni fa fare la teoria della comunicazione di massa era “come fare la teoria di giovedì prossimo”, oggi fare una teoria della comunicazione digitale è come fare la teoria delle prossime due ore. Consapevole di questa impasse, ma non per questo refrattario ad affrontarla, Eco non si sottrae alla discussione e riflette sui molti snodi del rapporto odierno tra comunicazione e cultura: dalla crisi della memoria al successo del libro elettronico. E nel farlo, conserva intatta la consueta ironia, ma anche la voglia – tipica di una certa funzione intellettuale in via di estinzione – di provare, comunque, a suggerire un’interpretazione, una visione più comprensiva. In poche parole, a resistere alla “dittatura del presente”, per fare un passo oltre a indicare non tanto la via futura – presunzione che volentieri lasciamo ai profeti – ma il percorso già fatto, ché è da lì, ci ricorda, che si genera la vera cultura.
 “Apocalittici e integrati” compie cinquant’anni.  Nel frattempo, c’è stata la rivoluzione del web, che, neanche a dirlo, ha prodotto l’ennesima declinazione di questa dicotomia. La seconda fase dell’era digitale, tuttavia, con la sua intrinseca socialità, sembra favorire atteggiamenti più “integrati”.


C’è tutto un pantheon di metafore e parole chiave – apertura, collaborazione, condivisione – che sono connotativamente percepite come in “buone in sé”, costitutivamente salvifiche. Penso in particolare alla metafora della condivisione, che è quella più potente e che ormai è arrivata a toccare anche l’economia. Un fenomeno interessante, ma anche pericoloso, perché rischia di depotenziare la già debole capacità critica dell’attuale consumo mediale. Cosa ne pensa?
La funzione di ogni cultura è quella di produrre una crescita collettiva. Tale crescita però, pur nella piena libertà di espressione (altrimenti si parla di dittatura, non di vera cultura), si articola sempre come una critica continua della presa di parola altrui.
È il modello ideale del dialogo socratico:  uno si alza e dice la sua, poi l’altro, che sia il maestro o l’amico o chiunque altro, si alza e a sua volta manifesta il suo dissenso, e così via. Questo, beninteso, vale per la società come per gli individui: anche la cultura personale ha bisogno di critica. Ai giovani scrittori, ad esempio, sconsiglio sempre di sperare in una prima pubblicazione arrivata dal nulla: bisogna prima mettersi alla prova, farsi conoscere, intervenire nel dibattito locale, ascoltare le opinioni, cambiare pian piano il proprio modo di vedere, pensare e scrivere, finché un bel giorno sarà l’editore stesso a chiederti di pubblicare un libro.
La cultura, insomma, è un’alternanza continua tra la libera presa di parola e la critica di questa presa di parola. Quello che sta accadendo col web, invece, è che si sta idolatrando l’ideale della assoluta presa di parola, senza alcun controllo da parte degli altri. Volendo essere cattivo – o apocalittico – potrei dire che è il trionfo della “parola al cretino”. Ma questa non è cultura. O meglio: il cretino può anche parlare e persino insegnare all’università, purché permanga la possibilità per gli altri di controbattere, contestare, porre modelli alternativi.
Con queste forme di pseudo-partecipazione, invece, chiunque esprime quello che gli salta per la testa, talora anche indulgendo in toni e contenuti offensivi. Rischia di venire a cadere, così, il presupposto fondamentale della democrazia, ovvero l’assunzione che non tutto quello che si dice va bene. Chi teorizza il contrario, propugnando la pura presa di parola come unica forma di espressione, ha di fatto rinunciato alla democrazia – e dunque alla cultura democratica – come critica delle opinioni.
Uno dei più forti argomenti degli apocalittici del web riguarda i nativi digitali, in particolare la presunta mutazione antropologica che comporterebbe il fatto di nascere in questo contesto mediale. Personalmente quello che mi colpisce non è tanto la precoce capacità dei bambini di apprendere la grammatica (anche gestuale) dei media digitali, quanto le conseguenze cognitive di questa enorme e immediata disponibilità di contenuti, in particolare gli effetti sulla memoria individuale: un tema che lei stesso ha affrontato recentemente, con una “lettera aperta” a suo nipote.
Il problema è che assistiamo a un’enorme crisi della memoria collettiva. Basti pensare ai quattro giovanotti che qualche tempo fa, durante un quiz televisivo, interrogati su un episodio della vita di Mussolini, non sapevano in alcun modo in quale epoca collocarlo. Nessuno ricordava più che era morto nel 1945! Ora, non è che le generazioni precedenti sapessero la data esatta della morte di Napoleone, ma certo sapevano grosso modo collocarla rispetto alla spedizione di Garibaldi o all’inizio della Seconda guerra mondiale.
La memoria collettiva, però, entra in crisi perché entra in crisi anche il gusto della memoria individuale. Chi non sa quando è morto Mussolini probabilmente non è interessato a ricordare neppure quello che ha fatto l’estate scorsa. Né a maggior ragione gli importa sapere quello che è accaduto ai suoi genitori o ai nonni.
Quando ero bambino ho saputo molte cose interessantissime sulla Prima guerra mondiale solo ascoltando i racconti di mia madre: la mia memoria personale si è confrontata con brandelli di memoria altrui e mi ha permesso di ricostruire un piano di ricordo condiviso, di cui fanno parte tanto le canzoni che cantava mia madre quanto la data dell’attentato di Sarajevo.
Il ragazzo che vive davanti allo schermo del computer e non ascolta più la madre cantare soffre al tempo stesso di una perdita di memoria individuale e collettiva. Di qui la provocazione nella lettera a mio nipote: manda a memoria la Vispa Teresa, non perché sia importante conoscerne il contenuto, ma perché ti serve ad allenare la memoria. E a non dimenticarne l’importanza.
Quanto ha a che fare questo con l’esasperata simultaneità in cui siamo immersi?
Probabilmente molto: rischia di nascere una generazione interessata a conoscere solo il presente. Qualche tempo fa un amico mi ha detto, un po’ provocatoriamente, che rileggendo il mio romanzo “Il pendolo di Foucault” si era ritrovato stupefatto di fronte alla descrizione di un telefono a gettoni. Aveva dimenticato che un tempo per telefonare fuori casa esistevano le cabine! Ecco, questo è un buon esempio di appiattimento culturale sul presente. Non è che il mio amico avesse dimenticato in senso assoluto, ma aveva come disattivato quel particolare ricordo, perché incompatibile con un presente al quale tendiamo ad aderire in modo eccessivo.
E se per alcuni questo porta all’oblio del passato, per altri – per i più giovani – porta all’assenza di interesse per ciò che è stato. Non so quanti giovani oggi saprebbero dire quando sono arrivati i cellulari, ma sono pronto a scommettere che molti si troverebbero in grande difficoltà anche solo a figurarsi un’epoca in cui simili aggeggi non esistevano.
È indubbio, però, che per coloro che conservano curiosità e propensione a coltivare la memoria la rete rappresenta un giacimento di materiale enorme. Penso ad esempio all’ossessione nostalgica per il vintage, alla ricerca di un passato in forma “ri-mediata”, ovvero rielaborata e catalizzata a partire dalla fruizione dei prodotti mediali delle varie epoche: una sorta di memoria di seconda mano, fatta di esperienze, di fatto, mai vissute. Un po’ come quando, a furia di sentirne parlare, si arriva a conoscere il contenuto di un libro che in realtà non si è mai letto.
Certamente si può usare Internet per coltivare la memoria collettiva in questo senso, laddove ve ne sia interesse. Il punto è – di nuovo – mantenere la capacità critica, che è innanzitutto capacità di discernimento, separazione.
Pensiamoci: in ogni cultura c’è sempre stata un’élite, che aveva accesso ai magazzini della memoria e dunque al sapere, e una massa più o meno ampia, che ne era esclusa. Oggi accade che abbiamo di nuovo un’élite, che usa criticamente gli strumenti informatici e coltiva consapevolmente la memoria e il sapere, e una massa che non lo fa non perché gli è stato precluso l’accesso al sapere, ma perché gliene è stato dato troppo, e non organizzato. Sarà quindi ancora massa soggetta, ma per eccesso di democrazia.
A proposito di democrazia e cultura: molte nuove teorie economiche invitano a considerare valori immateriali come la felicità e il benessere morale come parametri di ricchezza a tutti gli effetti. Non crede che questo possa aggiungere nuovo valore al prodotto culturale o perlomeno fornire un argomento in più nel dibattito sulla valorizzazione economica della cultura, ancora bloccato tra i veti incrociati di chi ritiene che “con la cultura non si mangia” e chi invece vuole che rimanga attività celibe, fine a se stessa?
Certamente incorporare nel PIL i consumi culturali, ma anche il livello di educazione dei cittadini, è un modo per reagire a quell’assenza di senso critico individuale su cui si fonda, in ultima analisi, la crisi generale della società. Parlare di felicità, però, è fuorviante, perché rinforza uno dei presupposti dell’attuale declino, ovvero l’idea che tutto – dalla pubblicità allo spettacolo fino alla politica – debba proporsi, appunto, come una vendita o un dono di felicità.


Bertolt Brecht  LA GUERRA CHE VERRA'. Non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti.
La grande tragedia del mondo moderno è iniziata con la Dichiarazione di indipendenza americana, che è la prima ad aver incluso tra i diritti fondamentali dell’individuo quello della “ricerca della felicità”. Grossa ingenuità di sapore massonico. La felicità è uno dei concetti più vaghi che ci siano – per uno è avere molto denaro, per l’altro trovare l’amore e così via – e l’idea che il potere debba garantire qualcosa di così vago è tremendamente fuorviante, perché basta moltiplicare l’offerta, allargarla a tutto ciò che può fornire soddisfazione a qualcuno: ecco la crema che ti renderà più bello, l’auto che ti renderà più invidiato, il lavoro che ti renderà più ricco.
I costituenti americani avrebbero dovuto scrivere, invece, che il dovere di un governo è di ridurre al minimo l’infelicità. Perché l’infelicità è innegabile ed è la stessa per tutti: è il dolore nelle viscere, il tradimento di un amico, la morte di una persona cara. È la follia di Medea che ammazza i figli per vendicarsi dell’abbandono dell’amato. Un governo che si proponga di evitare tutto questo saprebbe perfettamente cosa fare: assicurare l’assistenza medica, impedire che il bambino problematico si senta tagliato fuori, diminuire gli incidenti automobilistici e così via.
Ecco: si sa benissimo come ridurre l’infelicità, ma non si sa affatto come produrre felicità. Basare tutto sull’offerta di felicità, quindi, è un estremo inganno, perché ci blocca nell’eterno presente, nella soddisfazione del momento, nel tepore egoistico della coperta di Linus, qualcosa che può dare felicità a me e solo a me, oggi e probabilmente solo per oggi.
Così anche per la comunicazione: meglio mostrare l’infelicità che promettere felicità. Chi fosse capace oggi di farmi toccare per mano una serie di infelicità che esistono farebbe un lavoro culturale. Chi invece mi promette per pochi euro una felicità estemporanea non fa che continuare ad appiattirmi sul presente come un rospo schiacciato sull’autostrada.
L’eterna promessa di felicità è anche il preludio di un’eterna gara per ottenerla. Forse non è un caso se tra talent show e self publishing sembra ormai che non ci sia talento artistico o culturale che non debba essere sottoposto a competizione. Cosa pensa di questa montante declinazione agonistica della cultura?
Che ci sono gradi. Si va dalla parata dei vanagloriosi, di chi è interessato solo a poter essere riconosciuto nel bar sotto casa, a chi invece è mosso da un genuino desiderio di espressione personale, e dunque risparmia, fa magari sacrifici e pubblica da sé il proprio libro. Certo, leggere due pagine dattiloscritte davanti a tre giudici, che le valutano uno meravigliose, l’altro indecenti, non significa sottoporsi a giudizio, né tantomeno invitare l’altro a esercitarlo, ma solo spacciare un agonismo di apparenza per una inesistenza critica e alimentare quella perpetua presa di parola che, lo ripeto, finisce con l’esautorare ogni reale consistenza culturale.

Eppure, una domanda di cultura esiste, altrimenti il marketing non si disturberebbe a creare determinati format. I festival culturali, ad esempio, paiono riuscire a coprire almeno una parte di questo bisogno.
Assolutamente sì. In questa situazione tremenda il successo dei festival, dove la gente paga per andare a sentire conferenze su Platone, è l’indizio che esiste una parte di pubblico, fosse anche una minima percentuale, che percepisce un profondo disagio e reagisce, cercando spazi per soddisfare il proprio bisogno di cultura e di confronto. La televisione non sa più farlo, ma neppure l’editoria, che confonde sul bancone il libro di cucina, quello di barzellette e l’Iliade, così si cercano dei supplenti.

Per chiudere: tempo fa sosteneva che l’ebook poteva andar bene per i libri da consultare, ma non per il libri da leggere per piacere. Non è che ha cambiato idea?
Non ho cambiato idea, ma ritengo che se mi tagliano una gamba, è giusto che usi una protesi. Perciò se devo partire per un lungo viaggio e non posso infilare in valigia dieci libri, ben venga la possibilità di caricarli tutti, e anche di più, sul mio iPad. Non appena torno a casa però riprendo subito in mano il libro di carta. Perché sul libro posso fare le orecchiette, posso sottolineare, posso sfogliarlo anni dopo e ritrovare le tracce di una precedente lettura. Posso uscire dall’eterno presente. E non è poco.

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L’Ombra delle Parole
L’uomo abita l’ombra delle parole, la giostra dell’ombra delle parole. Un “animale metafisico” lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l’ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l’uomo legge l’universo. «Quegli sguardi dall'abisso... noi guardiamo dentro quelle pupille enormi, nere, lucenti come sfere d'ossidiana, e vediamo l'abisso. Ma loro verso cosa guardano? Verso di noi guardano. E vedono in noi l'abisso»


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Bob Tsao ci racconta come aiuta Taiwan a resistere alle minacce cinesi colloquio con Francesco Chiamulera da “Il Foglio” 31 marzo 2023 12 Maggio 2023
Jurij Tarnavs’kyj, poeta ucraino, La vita in città, con una scelta di poesie per il post umanesimo, traduzioni di Lorenzo Pompeo, Elliot Edizioni, Roma, 2021, nota di lettura a cura di Letizia Leone 10 Maggio 2023
Le illusioni come fede, Una lettura della poetica delle illusioni in Leopardi, la felicità, la ragione, le illusioni, le autoillusioni, la natura di Marco Tabellione, La felicità, è evidente, non è una condizione della materia, è uno stato interiore, e meno dipende da ciò che ci è esterno, più la si riesce a dominare, a non farla sfuggire. Ma cosa c’è di più interiore, di più soggettivo, di più personale delle illusioni? 8 Maggio 2023
“Quello che rimpiango”, La lettera di Pier Paolo Pasolini a Italo Calvino dell’8 luglio 1974, Pubblichiamo la Lettera perché oggi il problema sollevato da Pasolini si ripropone, ma in termini esattamente capovolti, di una Italia che continua a restare post-fascista nel profondo e in superficie, nel sottosuolo e nel soprasuolo. Come è stato possibile che, a distanza di cinquanta anni, si ripropone l’interrogativo sollevato da Pasolini di un Paese eternamente fascista e/o post-fascista? L’«Italietta» è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. “Io non rimpiango nulla di quelle antiche polemiche”, di Giorgio Linguaglossa 4 Maggio 2023
Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa e Promenades nocturnes, Collage 30×40 cm, 2023, I collages vogliono accompagnare il passeggiatore durante una passeggiata notturna al lume dei fanali e delle ombre di una città. Il solitario passeggiatore è un cittadino anonimo di una città anonima, è un senza nome, è privo di identità, non sappiamo da dove viene né dove va, Analogamente, le sue poesie kitchen sono esercizi, ghiribizzi di personaggi solitari, di avatar che «passeggiano», schermidori che si atteggiano in atti di scherma… cioè esseri anonimi e eteronimi che «consumano» il tempo e lo spazio in quanto non hanno nessuna occupazione lavorativa.
Il lavoro, sembra dirci la Colasson, è la Cosa che rende schiavo l’uomo, l’unico momento di libertà e di jouissance è l’atto gratuito della promenade, È lo stato di Emergenza che produce lo spazio 30 aprile 2023
Bei Dao, L’arte della poesia, Poesie cinesi a cura di Lorenzo Pompeo, Un autore, Bei Dao, che ha vissuto sulla propria pelle le più nefaste conseguenze delle scelte derivate da una intransigente interpretazione dell’ideologia comunista. Secondo quelli che erano i dettami della cosiddetta “Rivoluzione culturale”… 25 aprile 2023
Annotazioni sulla poesia di Jacopo Ricciardi, Quattro poesie (2021), Cosa è mai un pensiero vuoto che continua a pensare? È un pensiero senza tempo nato dal pieno ‘in negativo’ di un’arte priva di tempo, che punta, oscillando, verso la realtà quotidiana del mondo, e aprendo lì una porta, per entrare in essa per muoversi senza tempo tra le cose, Il desiderio della poesia è di coincidere con la mente 22 aprile 2023
Risposta di Giuseppe Talia alla Domanda Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? con una poesia kitchen  di Giorgio Linguaglossa e Giuseppe Talia, Quando parlo della Poetry kitchen mi vengono in mente due movimenti principali dello scorso Novecento: il Futurismo e il Surrealismo comparati con l’attuale situazione mondiale, dalla lotta al Covid19, alla lotta (?) alle disuguaglianze, alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alla minaccia nucleare 18 aprile 2023
Scambio di missive tra due commilitoni reduci dalle battaglie di Idistaviso, Tallia (Giuseppe Talìa) e Germanico (Giorgio Linguaglossa), Passato storico e presente storiale convivono in una complessa operazione poetica che ha molte affinità con il pastiche del novecento, ma che si differenzia da questo per la sua libertà di configurare una forma-poesia grottesco-derisoria, ultronea-altranea che si nutre di continui choc e di continui deragliamenti dell’ordo idearum 15 aprile 2023
Risposta di Gino Rago alla triplice domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia? Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali? L’uomo post-metafisico secondo Gazmend Leka, Poesie di Ewa Lipska, Tomas Tranströmer, Maria Rosaria Madonna, Tadeusz Różewicz, Zbigniev Herbert 11 aprile 2023
lipogrammi, calligrammi, anagrammi, limerick, haiku, filastrocche di Antonietta Tiberia e poetry kitchen illustrate di Lucio Mayoor Tosi 7 aprile 2023
Scambio di missive tra Giuseppe Talìa (Tallia) e Giorgio Linguaglossa (Germanico), Sullo scambio di missive tra due commilitoni della battaglia di Idistaviso tra sovraeccitazione e surdeterminazione dei significati ultronei, di Marie Laure Colasson, L’idea della «nuova poesia» si può riassumere così: disattivare il significato da ogni atto linguistico, de-automatizzarlo, deviarlo, esautorare il dispositivo comunicazionale, creare un vuoto nel linguaggio, sostituire la logica del referente con la logica dell’assente e del non-referente 2 aprile 2023
Maria Rosaria Madonna (1942-2002) Una poesia, La tassa per il soggiorno terreno, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, il viaggio nell’Oltretomba, il viaggio di Dante nell’Inferno, il viaggio verso l’Isola dei morti; c’è Caronte che richiede il pedaggio, ma il pedaggio viene pagato da un «signore vestito in abito scuro» con delle «patacche», con dei sesterzi manifestativamente «una moneta fuori corso», di qui la stupefazione della voce narrante (Maria Rosaria Madonna) che si chiede: colui che si appresta al viaggio vuole pagare con una «patacca»? È possibile pagare con una «moneta fuori corso»? 29 marzo 2023
Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023, Poesie kitchen, La foto di due anonime gambe con calze rosse tratta da un manifesto strappato e desfoliato. La foto, ritoccata con colori in acrilico, è diventata un’opera «ibrida», «ultronea», astigmatica, daltonica, anedonica, inabitata e inabitabile, né pittura, né collage, né fotografia ma tutte queste cose assieme e nessuna cosa.
Un manufatto senza identità è quello che meglio contraddistingue l’arte di oggi e l’uomo del contemporaneo che si limita a frequentare il tempo ma non lo abita, che frequenta lo spazio ma è un senza-spazio, che frequenta una fisionomia ma non possiede una identità, che è un senza-luogo, un senza-utopia, un atopos, un atomo che presto scomparirà nel nulla che si porta dentro di sé 25 marzo 2023
Critica di una poesia elegiaca di Giorgio Caproni e di Patrizia Cavalli, “Alba” e “Cosa non devo fare”, La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento, Poesia limerick per bambini di Guido Galdini, poesie kitchen di Vincenzo Petronelli, Tiziana Antonilli, Antonio Sagredo 20 marzo 2023
Risposta alla Domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica? È solo un gioco di specchi – direbbe il mago Woland – un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio, una collezione di figurine bizzarre, una bizarrerie. La «nuova poesia» preferisce la folla e il rumore al silenzio ovattato della poesia elegiaca e del romanzo memoriale, è affollata in modo assordante dalla presenza del «mondo», in essa si assiste al «mondeggiare» del mondo e al «coseggiare» delle cose con tutte le loro acrobazie e follie, Poesie di Mimmo Pugliese, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini 16 marzo 2023
Poesie per bambini di Osip Mandel’štam,  prima traduzione in italiano a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova da ”Il fornello a petrolio”, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, la struttura sincipitale della poesia per bambini 11 marzo 2023
Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia? Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica? Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali? Risposta alla Domanda di Francesco Paolo Intini 8 marzo 2023
Video di Gianni Godi, voci di Alice e Pilar Castel ispirato alle “Strutture dissipative” di Marie Laure Colasson, Domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della ♫metafisica☼? Nel mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso, Discorso della Montagna, poesie kitchen di Giorgio Linguaglossa, Marie Laure Colasson, Mimmo Pugliese 4 marzo 2023
Intervista a Andrea Temporelli a cura di Giorgio Linguaglossa, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?, Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali? 1 marzo 2023
Quattro Autori kitchen Marie Laure Colasson, Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Francesco Paolo Intini, Sul montaggio, una sequenza di vuoti, di spaziature, di amnesie, di lapsus, di interferenze, di rumori di fondo, di non detti, di sfondi laterali latenti che delimitano il susseguirsi degli enunciati e delle icone. Il lavoro di montaggio va fatto esattamente in quello spazio della percezione che possiede contemporaneamente il compito di separare e unire, di isolare e ricomporre. Quello spazio Warburg lo chiamava «Denkraum», lo spazio tra un pensiero e l’altro, lo spazio dell’intervallo che si configura proprio a partire da quegli spazi vuoti che attendono di essere connessi 26 febbraio 2023
Kari Hotakainen (1957), 70 chili di prove a cura di Viola Parente-Čapková, poesie scelte, La Nuova Poesia Finlandese 24 febbraio 2023
Valerio Magrelli, La guerra, la pace, disegni di Alessandro Sanna, Rizzoli 2022, pp.48, € 16, Nei linguaggi del Grande Labirinto di Giorgio Linguaglossa, Per Magrelli, che ha sempre aspirato a perdersi come i bambini all’interno dei linguaggi e che interpreta da sempre una narrativa e una poesia che non considera più necessaria alcuna ermeneutica, l’approccio ad una poesia per bambini è stato un risultato agevole perché essi non hanno bisogno di una guida ermeneutica, Ma almeno a Magrelli va il merito di non averci affibbiato del modernariato in piena epoca di ipermoderno metalmediatico 21 febbraio 2023
Antonio Sagredo, La Gorgiera e il Delirio, Schena, 2019, pp. 170 € 18, Ermeneutica di Marie Laure Colasson e Giorgio Linguaglossa, Sagredo balla il suo «fox-trot coi tacchi appuntiti» mentre «gocciano detriti gli obitori», mette in scena una sua ipotiposi maligna, titilla le meningi del malcapitato lettore per spremerne ircocervi, acquasantiere e ippocampi lunari, un linguaggio poetico in perdita, una perdita di valore all’interno della catena del valore rappresentata dalla tradizione, a cui però viene negata ogni rappresentatività e affidabilità. La stessa ipertrofia dell’io che attraversa il suo linguaggio poetico è più il sintomo di un malore, di una malsania del linguaggio stesso, che non una mera presa d’atto 18 febbraio 2023

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Il non-luogo del dialogo a più «voci» (Avatar) tra Gaius Gallus, Germanico, Tallia, Alf Galacticus, Sic Stantibus, Scintilla, Gneo Fabius, Lucio Vero, Memmio e altri… è il luogo-non-luogo che possiamo denominare Inconscio (concetto da non identificare con il concetto freudiano di inconscio). In questo Inconscio c’è una grandissima ricchezza di Immaginazione. E alla fine è questo quello che conta, La poesia che voglia conoscere gli oggetti non può che gettarsi a capofitto tra gli oggetti, è fatta di oggetti, deve produrre lo shock anafilattico del tuffo nel mare dell’aperto e nella negatività. Il rigetto che questo shock provoca nel lettore è il riconoscimento di questo atto totale

SETTE POESIE EROTICHE di Chiara Moimas da L'acerbo pruno (2014)
Costantino Kavafis (1863-1933) DIECI POESIE "Itaca", "Il sole del pomeriggio","Il tavolo vicino", "Aspettando i barbari" "Una notte", "Sulle scale", "Dal cassetto", "Per quanto sta in te", "Candele" - con un Appunto impolitico di Giorgio Linguaglossa
Pierluigi Cappello (1967-2017) Poesie scelte con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa
Fernando Pessoa (1888-1935), Poesie scelte di Álvaro de Campos,  Tre estratti dalle Odi di Ricardo Reis
NOVE POESIE di Anna Andreevna Achmatova da "Il silenzio dell’amore. Poesie" nuova traduzione di Manuela Giabardo e Presentazione di Paolo Ruffilli

POESIE EROTICHE EDITE E INEDITE di Alfredo De Palchi, Antonella Zagaroli, Antonio Sagredo, Giuseppina Di Leo
Riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico. L'estetica del consumo, L’analisi dell’Olocausto, Post-panopticismo, Modernità liquida, Società in movimento, Libertà e necessità di movimento, Libertà di movimento e Stati nazionali, Il non-luogo,  Il tempo e il senso, Gli spazi vuoti, Identità, Comunità guardaroba
POESIE SCELTE di Léopold Sédar Senghor (1906-2001) a cura di Valerio Gaio Pedini
Francesco De Girolamo, Luci segrete (haiku), Ed. Il ramo e la foglia, 2023 pp. 64 € 12, Lettura di Giorgio Linguaglossa
La Nuova Ontologia Estetica, Poetry kitchen – La parola kitchen è da pensarsi come evento linguistico: quindi evento dell’altro proprio perché si annuncia in quanto irruzione di ciò che è per venire, ciò che è assolutamente non riappropriabile; in quanto unico e singolare l’evento linguistico sfida l’anticipazione, la riappropriazione, il calcolo ed ogni predeterminazione. L’avvenire, ciò che sta per av-venire può essere pensato solo a partire da una radicale alterità, che va accolta e rispettata nella sua inappropriabilità e infungibilità. La contaminazione, l’impurità, l’intreccio, la complicazione, la coinplicazione, l’interferenza, i rumori di fondo, la duplicazione, la peritropé, il salto, la perifrasi costituiscono il nocciolo stesso della fusione a freddo dei materiali linguistici, gli algoritmi che descrivono la non originarietà del linguaggio, il suo esser sempre stato, il suo essere sempre presente; una ontologia della coimplicazione occupa il posto della tradizionale ontologia che divideva essere e linguaggio, la ontologia della coimplicazione ci dice che il linguaggio è l’essere, l’unico essere al quale possiamo accedere. Non si dà mai una purezza espressiva nel logos ma sempre una impurità dell’espressione, un voler dire, un ammiccare, un parlare per indizi e per rinvii.
La storia letteraria è un libro di ricette. Gli editori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. Gli scrittori e i preti sono i camerieri. I critici letterari sono i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina.
Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è spazzatura
Al posto del problema gnoseologico kantiano, come sia possibile la metafisica, compare quella di filosofia della storia, se sia possibile comunque un’esperienza metafisica
Ogni felicità è frammento di tutta la felicità che si nega agli uomini e che essi si negano
Gli uomini vivono sotto il totem di un sortilegio: che la vita abbia un senso o che non ne abbia alcuno
Pura immediatezza e feticismo sono ugualmente non veri
Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, utilissima per l’autoconservazione
Un angelo zoppo ci venne incontro e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”
Nessuno capace di amare e così ciascuno crede di essere amato troppo poco
Le epoche della felicità sono i suoi fogli vuoti (Hegel)

Sortilegio e ideologia sono la stessa cosa (T.W. Adorno) Si può dire… che l’uomo è l’essere che progetta di essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l’uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio (J.P. Sartre)
Alfredo de Palchi monografia – Adesso diciamo una cosa tremendamente reale, che siamo entrati tutti in un Grande Gelo, in una nuova epoca, nell’epoca della piccola glaciazione dove le parole le trovi sì, ma raffreddate se non ibernate
Donatella Costantina Giancaspero


Vincenzo Petronelli La tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
la tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane
La poesia è scrittura della nostra preistoria
Il soggetto non è mai del tutto soggetto, l’oggetto oggetto
Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato
Il piacere sensoriale, a volte punito da un misto di ascetismo e di autoritarismo, è divenuto storicamente nemico immediato dell’arte: l’eufonia del suono, l’armonia dei colori, la soavità sono divenute pacchianeria e marchio dell’industria culturale (Adorno)
L’io penetra l’oggetto pensandolo e immaginandolo
Helle Busacca La disintegrazione della «struttura tragica» della poesia di Maria Rosaria Madonna segna la pre-condizione di possibilità per la nascita della poetry kitchen.

Edith Dzieduszycka. Avevano corso,/ di giorno e di notte,/ poi di nuovo di giorno,/ e ancora di notte./ Avevano corso/ come bestie assetate,/ in cerca del ruscello al quale abbeverarsi
Letizia Leone: Il diavolo indossa un camice bianco/ E stacca pezzi di carne dalla carne/ Del mondo/ Con aghi, occhi a punta, lame, rasoi // Non affonda la mano/ ma ferro disinfettato./ Non si sporca
Su di un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine (Eraclito) – Roma, 1997, Giorgio Linguaglossa e Antonella Zagaroli
Cara Signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile A Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro (Ewa Lipska)
La casa pare ormeggiata nel cassetto di una vecchia scrivania./ “Mi chiedevo dove avessi lasciato le scarpe”./ La donna guarda attraverso le fessure della tapparella./ Ha sentito sbattere la portiera (Lucio Mayoor Tosi)
Anna Ventura conserva le parole tra le righe della sua scrittura come si mette un cibo in frigorifero
Domando al piombo perché ti sei lasciato fondere in pallottola? Ti sei forse scordato degli alchimisti? (Ch. Simic)
La precarietà del pensiero non identificante che indugia sulle cose. La tranquilla consapevolezza che ciò che possono dare le parole poetiche forse non è granché ma è pur sempre qualcosa di importante
Il mio amico [di Roma]*, quello che si occupa del Signor Nulla, litiga di nascosto con lo specchio (Gino Rago)
Le parole sono i raggi ultravioletti dell’anima
Maria Rosaria Madonna, cover 1992

Iosif Brodskij Le immagini rappresentano il contro movimento delle parole. C’è un rapporto debitorio tra le immagini e le parole, o un rapporto creditorio, uno squilibrio della contabilità, della partita doppia
Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente
Trattare tutte le cose come un terzo pensiero che ci osserva
Edith Dzieduszycka
Alfredo de Palchi, a 12 anni/ meschino nella tuta lurida di grassi/ per motori a nafta/ consegno 5 lire/ (la settimana—domenica compresa)/ nella busta troppo larga al nonno anarchico/ mangiato dal cancro
Mauro Pierno, Compostaggi – Così anche la disperazione è l’ultima ideologia, condizionata storicamente e socialmente. Il contenuto di verità dell’assente è indifferente (T.W. Adorno)
La poesia di Giuseppe Talia proviene da una grande deflagrazione delle parole e della stessa tradizione del ‘900
Perdita dell’Origine (Ursprung) e spaesatezza (Heimatlosigkeit) si danno la mano amichevolmente. Se manca l’Origine, c’è la spaesatezza. E siamo tutti deiettati nel mondo senza più una patria (Heimat). Ed ecco l’Estraneo che si avvicina. E all’approssimarsi dell’Estraneo (Unheimlich) le nottole del tramonto singhiozzano [Maria Rosaria Madonna]

in cover Maria Rosaria Madonna
La poesia di Mario Gabriele è un film, una successione di fotogrammi in un orologio senza lancette. «Una vita che avesse senso non si porrebbe il problema del senso: esso sfugge alla questione» (T.W. Adorno)
Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,/ separava la pula dal grano,/ chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei./ Fermo sul binario n. 1 stava il rapido 777./ Pochi libri sul sedile. Il viso di Marilyn sul Time. (Mario Gabriele)
Gezim Hajdari, Il poietès è il più grande positivo perché porta le cose all’essere dal nulla
Ci sono dei pensieri che hanno una carica elettrica, uno di questi sono le cose della vita, gli eventi che ci accadono, gli eventi omnibus»diceva Ortega y Gasset

Perché le parole sono sagge, loro lo sanno di essere melliflue e superflue
Un Enigma ci parla, ma noi non comprendiamo quella lingua. L’Enigma non può essere sciolto, può solo essere vissuto
Quante parole dobbiamo usare per avvertire il silenzio tra le parole?
L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internazionale
Mario M. Gabriele


LA PRESENZA DI ÈRATO
Un'anima e tre ali - Il blog di Paolo Statuti
Quando una categoria si modifica muta la costellazione di tutte le altre (Adorno)
Letizia Leone
Giorgio Agamben Da quella lontananza rovesciata raggiungiamo la lontananza nostalgica. Non essere a casa propria ovunque

Critica della Ragione sufficiente
Il postino della verità non passa né due volte né una volta, non passa mai. Non c’è alcuna verità nella soggettività, non c’è alcuna verità nel canto degli uccelli nel bosco che tanto piaceva all’estetica kantiana
ario Gabriele, Una fila di caravan al centro della/ piazza con gente venuta da Trescore e da Milano ad ascoltare Licinio:/-Questa è Yasmina da Madhia che nella vita ha tradito e amato,/ per questo la lasceremo ai lupi e ai cani
Predrag Bjelosevic

Gino Rago, Alla domanda di Herbert: «Dove passerai l’eternità?»,/ risponde il filosofo Erèsia: «cara Signora Circe, caro Signor Nessuno,/ il poeta da finisterre parla con l’oceano e scrive le sue parole sull’acqua
Le parole che scriviamo ci parlano di altre parole che non conosciamo
Le parole sono finestre che aggettano sul labirinto che noi siamo
Anna Ventura, Finalmente so/ che cosa mi avete insegnato./ Siete nella tazza di caffè/ vuota sul tavolo,/ nelle carte sparse, nel cerchio di luce della lampada.
Era piccola la casa, accanto a un cimitero romano. I suoi vetri tremavano per via di carri armati e caccia (Charles Simic)
Roberto Bertoldo
Donatella Giancaspero, Giorgio Linguaglossa, 2016
Alle 18 torna Milena. Prepara la cena. Il tavolo ha quarant’anni. Sale il fumo fino alla lampada. Andrea rinnova aria fresca (Mario Gabriele)
Poiché solo all’apparire del “perturbante” si dileguano gli idoli. Exeunt simulacra (Giacomo Marramao)
Lucio Mayoor Tosi, – Prenderò del Cornac; con spremuta di pomodori e un Lìsson. – Ci vuole della cannella sul Lìsson? – Sì, perché no./ Lo sai che sono innamorata di te
Gezim Hajdari




Antologia della Poetry kitchen – Il discorso poetico abita quel paragrafo dell’ inconscio dove siede il deus absconditus, dove fa ingresso l’Estraneo, l’Innominabile. Giacché, se è inconscio, e quindi segreto, quella è la sua abitazione prediletta. Noi lo sappiamo, l’Estraneo non ama soggiornare nei luoghi illuminati, preferisce l’ombra, in particolare l’ombra delle parole e delle cose, gli angoli bui, i recessi umidi e poco rischiarati.



Guido Galdini, Le parole sono schegge di appunti precolombiani – è uno specchio per le allodole/ o sono allodole per lo specchio/ o le allodole sono lo specchio?

Guido Galdini

Mauro Pierno, Lo statuto recondito delle parole dimenticate



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