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Autore Discussione: Il futuro mondo multipolare  (Letto 2328 volte)
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« inserito:: Novembre 02, 2022, 11:15:52 pm »

Il futuro mondo multipolare

Gabriele Germani intervista Gianfranco La Grassa

Intervista al Prof. Gianfranco La Grassa economista, saggista e docente universitario all’Università di Pisa e Ca’ Foscari di Venezia. Oggi studioso e teorico del conflitto strategico

Domanda: Quali pensi che saranno le potenze del futuro mondo multipolare?

Sicuramente gli Stati Uniti avranno un ruolo di primo piano, pur essendo sotto gli occhi di tutti il lento declino che li riguarda.

Anche la Cina e la Russia sono paesi di primo ordine che si stanno preparando nel medio periodo, per una competizione a un più alto livello. Molti guardano alla Cina, ma in questo ho una visione minoritaria, sono più attento a quanto avviene in Russia. L’esercito russo ha una lunghissima tradizione di tecnologia militare missilistica segreta di cui sappiamo ben poco. L’Occidente ha sempre sottovalutato il potenziale militare russo che implica la presenza di laboratori, tecnici, ingegneri…

Vedo anche un grosso potenziale in movimento in India, ma su tempi lunghi.

Anche il Giappone sta puntando al riarmo, di cui sento sempre più spesso discutere. Dovendo fare una previsione penso che il Giappone resterà alleato agli USA anche in futuro, ma chiederà maggiore libertà in Estremo Oriente e nel Pacifico per opporsi alla Cina.

Vedo del potenziale anche in Brasile, da cui però mi aspetto un cambio totale della classe dirigente. Tanto Bolsonaro, quanto Lula sono deludenti. Infine, Iran e Turchia vogliono sviluppare spazio di manovra come sub-potenze, dovremo vedere dove andranno a posizionarsi nella scacchiera generale.

Domanda: Pensi che il confronto tra Cina e USA sia lo specchio di due modelli di capitalismo in competizione?

Prima di tutto, voglio dire che non penso che si tratti solo di un conflitto economico, ma anche di sfere di influenza; certo la lotta commerciale è presente, ma come vediamo nella penisola coreana, dove il Nord è alleato cinese e il Sud è alleato dell’Occidente, sono in lotta anche due sfere egemoniche.

Stessa cosa accade anche nella penisola indiana, dove il Pakistan sembra avviarsi a una maggiore vicinanza alla Cina e attualmente l’India mantiene un atteggiamento ambivalente.

Per quanto riguarda la questione dei modelli: si, credo che il modello cinese sarà diverso da quello americano, ma che si debba ancora delineare in modo chiaro e che dovremo studiarlo lungamente prima di capirlo.

Il capitalismo cinese e quello russo, che trovo anche improprio chiamare così, risentono ancora delle esperienze del socialismo novecentesco, i cui strascichi sono ben presenti tanto in ambito economico, quanto in ambito politico e sociale.

Domanda: Quali prospettive vedi per il nostro paese?

Per capire la situazione italiana dobbiamo parlare di quanto accaduto nei decenni passati.

Il fascismo e il nazismo, in Italia e in Germania, furono in principio due movimenti rivoluzionari; solo in un secondo momento svilupparono una convergenza con il capitalismo nazionale che era ancora – specie in Italia – in una fase arretrata rispetto al modello che si andava affermando negli Stati Uniti. Il II Conflitto Mondiale è stato un chiarimento dei rapporti di forza economici che ha posto gli USA alla guida del mondo capitalista.

Da allora l’Italia è un paese subalterno, in una condizione di subalternità agli Stati Uniti. Non possiamo parlare di colonialismo europeo, come avveniva precedentemente in Africa o in Asia per mano degli europei; o di neo-colonialismo nordamericano come negli anni ‘70-’80; credo sia più corretto parlare di subordinazione. Quando quaranta stati africani incontrano la Russia, vuol dire che i rapporti di forza stanno cambiando.

In Europa la situazione è drammatica: Francia e Germania fanno da maggiordomi; Italia, Polonia e baltici fanno da sguatteri degli Stati Uniti, siamo tra i paesi con meno prospettiva.

I politici sono tutti degli opportunisti, anche i sovranisti – una volta al potere – deludono. Cresce la rabbia nell’opinione pubblica, il malcontento, ma rimane sempre a livello di rabbia individuale, perché non c’è nessuna rappresentanza o organizzazione della stessa. In queste condizioni non può nascere nessuna nuova forza politica.

La televisione non mostra la rabbia di pensionati e lavoratori dipendenti con i redditi erosi dall’attuale inflazione; di rado è mostrata la disperazione della piccola e media impresa comprensibilmente infuriata.

Sembra che ogni persona destinata a prendere il potere in Italia debba fare enormi compromessi per occupare un qualsiasi ruolo. Non può venirsi a creare una forza sovranista in Italia, perché la nostra vita politica è schiacciata dalle ingerenze straniere.

Domanda: Cosa pensi dell’ondata neoliberista che ha investito il mondo a partire dagli anni ’80?

La prima cosa che posso dire è che io insegnavo economia all’università e prima degli anni ‘80 ricordo benissimo che tutti erano keynesiani, perfino nella DC parlando dell’Italia. All’epoca nessuno aveva una simile ossessione per il deficit, lo sforamento, i parametri. Alla scuola di Chicago e al neoliberismo negli anni ‘60 e ‘70 non ci pensava nessuno. Le migliori menti erano tutte orientate a soluzione keynesiane, poi negli anni ‘80 le cose sono lentamente cambiate e oggi sembrano ribaltate.

I discorsi che circolano in ambito economico oggi ricordano quelli di inizio ‘900, è come se fossimo a prima delle crisi del 1929.

Lo stesso Reagan, considerato uno dei fautori di questo modello economico, in un primo momento per affrontare una situazione di stagnazione economica puntò al deficit, che orientò per spese militari, ma che stimolò l’economia. Da questo nasce la narrazione, molto banale a dire il vero, che l’Unione Sovietica crollò per la corsa al riarmo.

Tornando al liberismo, posso solo dire che nel 1929 la crisi fu scatenata da una caduta della domanda; la ripresa non fu dovuta al New Deal, ne fu ammorbidita, ma superata con la vittoria della II Guerra Mondiale e la riorganizzazione del polo capitalistico da parte degli USA. Gli stati iniziarono a pompare denaro pubblico per armi e infrastrutture, perché c’è poco da fare: se crolla la domanda privata deve intervenire la domanda pubblica a stimolare la crescita. Anche la Germania nazista seguì una politica simile. Esporrò parte di queste teorie nel mio nuovo testo “Un nuovo percorso teorico” che uscirà per Solfanelli Editore nei prossimi mesi.

Domanda: Cosa pensi del rischio conflitto nucleare?

Credo sia uno spauracchio mediatico. Nessun paese ha un vantaggio a tentare il “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Nella situazione attuale molte potenze devono ancora crescere prima di vedere un conflitto reale, devono formarsi delle alleanze chiara con compiti precisi. Ho già detto che credo che il Giappone metterà dei paletti nel Pacifico agli USA; tentando di fare quanto non riuscirono a fare gli inglesi durante la II Guerra Mondiale. In quella circostanza gli americani si imposero su Londra intervenendo sia in Europa che in Asia e sostituendoli come potenza. Non escludo che verranno utilizzate armi nucleari tattiche, ma non ci sarà nessuna arma da fine del mondo. Vediamo anche oggi con l’Ucraina, come Putin sia molto saggio, ha cercato di impostare una guerra di posizione; nella Duma erano presenti posizioni ben più radicali, rivolte a una guerra all’americana con bombardanti a tappeto. Nella guerra che verrà, a soffrire saranno i civili nelle grandi città, perché le armi balistiche hanno un potenziale enorme.


Grazie della disponibilità e dell’intervista.

Grazie a voi.

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« Risposta #1 inserito:: Novembre 13, 2022, 10:01:58 pm »

    LA CASA NELLA PINETA

    PER CAPIRE MEGLIO COME SI COSTRUISCE LA PACE

“Bene che gli ucraini ricevano le armi di cui necessitano per respingere l’invasore, basta che sul pacco il nome del mittente non sia il mio” – La sola garanzia della pace è il modello liberal-democratico della società aperta
Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 575, 7 novembre 2022 – In argomento v. anche Il bivio del voto sulle sanzioni all’Ungheria.
Da un sondaggio dell’Università di Siena emerge che la stragrande maggioranza degli italiani ritiene che la responsabilità della guerra sia dell’invasore russo e si sente solidale con gli ucraini, riconoscendo loro il pieno diritto di difendersi. Emerge però che una maggioranza quasi altrettanto netta sia contraria a che l’Italia fornisca armi agli ucraini; però questa maggioranza diventa minoranza se a consegnare le armi è la UE, e si assottiglia ancora di più per se a farlo è la Nato: istituzioni sovranazionali entrambe delle quali l’Italia è membro fondatore. In altre parole: bene che gli ucraini abbiano le armi di cui necessitano per respingere l’invasore, “basta che sul pacco il nome del mittente non sia il mio”.
Il risultato di questo sondaggio non soltanto mette in evidenza le contraddizioni della nostra opinione pubblica, che sono peraltro le stesse di tanta parte dell’opinione pubblica europeo-continentale, ma aiuta anche a spiegare molte cose riguardo ai rapporti dell’Italia e della UE con gli USA e la Gran Bretagna. A spiegare, in particolare, perché l’Europa continentale, a differenza degli USA e della Gran Bretagna, ha preferito chiudere gli occhi per un intero quindicennio sulla progettazione, concreta preparazione e progressiva attuazione da parte di Vladimir Putin del piano di “riconquista” dell’Ucraina, oltre che di una decina di altri Paesi confinanti con la Russia.
Sono usciti proprio in questi giorni due libri illuminanti: uno di Vittorio Emanuele Parsi (Il posto della guerra e il costo della libertà, Bompiani, pp. 216,  € 17: la citazione in apertura di questo articolo è tratta dalle pp. 201-202) e uno di Alessandro Maran (Nello specchio dell’Ucraina, Nuova dimensione,  pp. 154, € 16) che spiegano con una chiarezza straordinaria non solo che cosa realmente è accaduto tra Russia e Ucraina nell’ultimo quindicennio, ma anche come è potuto accadere che l’Europa si sia lasciata cogliere totalmente di sorpresa dall’aggressione avviata il 24 febbraio. E aiuta tutti noi a capire perché oggi, come già nel 1938-40, il solo modo serio di costruire e difendere la pace sia costruire e difendere il modello liberal-democratico della società aperta a cui con tutte le loro forze gli ucraini tendono e che Vladimir Putin aborre.

da - https://www.pietroichino.it/?p=61978
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