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Autore Discussione: Iowa, parte la corsa al dopo Bush  (Letto 4334 volte)
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« inserito:: Dicembre 31, 2007, 10:44:17 am »

31/12/2007 - IL CASO
 
Chicago, chi vuole uccidere Obama?
 
Assassinato il direttore del coro della sua chiesa
 
 
Molteplici ferite da arma da fuoco, il corpo riverso in terra in una pozza di sangue, niente impronte digitali e nessun indizio.
La morte violenta di Donald Young scuote il team del candidato presidenziale democratico Barack Obama, perché si tratta del direttore del coro della Chiesa di Chicago di cui, assieme alla moglie Michelle, fa parte ormai da molti anni. La Trinity United Church of Christ del South Shore ha accolto il giovane Barack quando poco più che ventenne arrivò a Chicago e il reverendo Jeremiah Wright con le sue prediche emotive e socialmente impegnate lo ha condizionato fino al punto da suggerirgli il titolo del best seller autobiografico che adesso lo accompagna nella sfida delle presidenziali: «Audacity of Hope», l’audacia della speranza.

Per quasi vent’anni Jeremiah Wright e Donald Young sono stati un tutt’uno: nelle mega-chiese del Mid-West dove accorrono migliaia di fedeli dirigere il coro significa creare emozioni e suggestioni grazie alle quali la fede si consolida e rinnova. Young era un personaggio carismatico, vestiva di raso nero come si faceva negli anni Cinquanta per ballare il rock ’n’ roll, impersonava la passione per la fede afroamericana del reverendo Martin Luther King e usava la musica del gospel per entrare nei cuori, nelle vite, di fedeli come Barack e Michelle che hanno pregato sulle note del suo coro infinite volte.

Quando, due giorni prima di Natale, Donald Young è stato trovato assassinato è stata Michelle Obama a parlare anche per Barack, esprimendo una «grande tristezza» per la scomparsa di «un leader che ha fatto tanto per la nostra Chiesa» che si definisce «nera e cristiana». Dal lutto nella propria Chiesa ai timori per il senatore Obama il passo è stato breve. Proprio Michelle, nel dicembre del 2006, era stata la prima a svelare a chiare lettere i timori per «rischi per la sicurezza» del marito candidato presidente ed ora che la polizia di Chicago brancola nel buio queste paure si rinnovano, serpeggiano fra i fedeli della Trinity United Church of Christ.

Il fatto che un orrendo delitto sia stato commesso all’interno della comunità di Obama senza lasciare alcuna traccia è una sfida per gli investigatori della polizia e dell’Fbi. L’agente John Mirabelli, che guida le indagini, rifiuta di dare alcun dettaglio sugli elementi finora raccolti nell’inchiesta, ma a conferma che il killer potrebbe essere non troppo lontano nei quartieri poveri del South Shore sono comparsi i cartelli «Crime Stoppers» in cui si offrono mille dollari di ricompensa a chiunque possa garantire informazioni che possano aiutare a ricostruire cosa è avvenuto alle 13.30 del 23 dicembre scorso nel piccolo appartamento al numero2300 East della 69° Strada, dove Young, 47 anni, viveva con un compagno di stanza.

Sabato mattina le esequie del musicista si sono svolte nella Chiesa del reverendo Wright con la partecipazione di oltre tremila fedeli che hanno ascoltato commossi l’orazione funebre con la quale il reverendo Michael Jacobs ha ricordato la vita della vittima, «dedicata alla preghiera e al prossimo», insegnando ai più piccoli e sostenendo i più anziani in un costante «servizio comunitario» simile a quello a cui si dedicò a suo tempo Barack Obama nelle stesse strade dei quartieri più poveri di Chicago.

Il senatore democratico dell’Illinois candidato presidente ha rinunciato alle presenza alle esequie del suo vecchio amico per partecipare agli ultimi comizi pre-elettorali in Iowa - dove si voterà per le primarie tra pochissimi giorni, il 3 gennaio prossimo - ma piangendo Donald Young molti fedeli della Trinity United Church of Christ avevano in mente i pericoli che incombono sulla sua sicurezza e che lo hanno obbligato ad avere la costante scorta degli uomini dei servizi segreti. «Viviamo con gli 007 sempre attorno, quando siamo in casa loro vanno in giardino e tentiamo di nascondere questa ingombrante presenza ai nostri figli dicendogli che si tratta di amici di vecchia data», ha confessato Michelle Obama durante un recente pranzo a Manhattan, ribadendo la paura che suo marito possa essere assassinato da chi vuole impedire ad un afroamericano di mettere piede per la prima volta nella storia nello Studio Ovale.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 03, 2008, 12:16:46 am »

Iowa, parte la corsa al dopo Bush

Gabriel Bertinetto


Obama precede Clinton tra i Democratici. Huckabee batte Romney fra i Repubblicani. Così stando al più attendibile sondaggio sull’esito dei caucus nello Stato dell’Iowa, pubblicato dal maggiore giornale locale «Des Moines Register». Il nero Barack precede nettamente l’ex-first lady Hillary (32% a 25%), la quale sente sul collo il fiato del terzo incomodo John Edwards (24%). Più o meno la stessa la distanza che separa Mike Huckabee dal suo principale contendente Mitt Romney (32% a 26%), con John McCain a inseguire più indietro: 13%.

Risultati già delineati allora nella prima tappa del lungo cammino verso le presidenziali americane? Gli analisti invitano alla prudenza, anche perché i caucus hanno modalità di svolgimento diverse rispetto alle classiche primarie. Sono assemblee di elettori, i cui partecipanti devono presentarsi tutti nel luogo prescritto ad una ora determinata, anziché avere l’intera giornata per esprimere la propria preferenza. Inoltre in casa Democratica il regolamento prevede che i sostenitori di un candidato che non raggiunga il quindici per cento dei consensi, possano trasferire i propri voti a vantaggio di un diverso concorrente.

Per giunta, altri sondaggi descrivono scenari completamente differenti. La Cnn e la Zogby-Reuters ribaltano addirittura il rapporto Obama-Clinton a vantaggio di quest’ultima, benchè i punti percentuali di differenza siano di meno: rispettivamente due per la Cnn e quattro per la Zogby-Reuters.

Insomma è possibile che dall’Iowa, domani, non escano ancora verdetti chiari, e che solo dalle primarie di sabato in Wyoming (ma votano solo i Repubblicani) e di martedì in New Hamsphire, arrivi qualche indicazione più precisa sugli orientamenti dei due schieramenti elettorali in questa fase iniziale della corsa alla Casa Bianca. «Gli elettori devono capire che sarà una gara molto serrata», afferma Mark Penn, responsabile della campagna di Hillary Clinton.

Del resto l’Iowa si è guadagnato nel tempo una fama di termometro non sempre attendibile rispetto agli umori dell’intero Paese. In alcuni casi preannunciò l’ascesa di leader sino ad allora rimasti nell’ombra, come Jimmy Carter nel 1976, Walter Mondale nel 1984, o John Kerry nel 2004. Ed è vero che cinque dei sette ultimi vincitori dei caucus dell’Iowa sono poi riusciti a ottenere l’investitura finale da parte del proprio partito. Ma non è sempre andata così. Nel 1988, ad esempio, in questo piccolo Stato ad economia prevalentemente agricola e abitato quasi interamente da bianchi, non andarono oltre la terza posizione coloro che alla fine nei rispettivi partiti ottennero la candidatura per la Casa Bianca: il Democratico Michael Dukakis ed il Repubblicano George Bush senior.

Obama sembra fiducioso ed ha chiesto ai suoi militanti di raddoppiare gli sforzi sia per convincere gli incerti sia per aiutare gli elettori ad andare a votare vincendo la pigrizia che potrebbero innescare le previsioni metereologiche. È preannunciato un freddo polare. Durante l’ultimo comizio, la moglie Michelle ha incoraggiato l’uditorio con queste parole: «Potete stare certi che se Barack vince il caucus giovedì sera, avrete un presidente di cui essere fieri».

In campo Repubblicano Huckabee potrebbe riportare in Iowa una vittoria di Pirro. In una realtà socialmente conservatrice come l’Iowa, certe sue proposte di sapore reazionario in campo religioso ed etico possono fargli guadagnare quei consensi che perderebbe poi altrove.


Pubblicato il: 02.01.08
Modificato il: 02.01.08 alle ore 8.16   
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« Ultima modifica: Gennaio 05, 2008, 06:50:08 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 05, 2008, 12:10:26 am »

ESTERI

In campo democratico il senatore afroamericano batte Edwards e la Clinton

Tra i repubblicani l'ex governatore dell'Arkansas sbaraglia Romney e Giuliani

Dall'Iowa il primo verdetto vincono Obama e Huckabee

Alta l'affluenza, molti i giovani che hanno partecipato per la prima volta

Hillary: "Messaggio di cambiamento. Nel 2009 un democratico alla Casa Bianca"

dal nostro inviato MARIO CALABRESI

 

DES MOINES (Iowa) - La corsa per la Casa Bianca si è aperta con la vittoria in Iowa di Barack Obama. Il giovane senatore nero ha battuto John Edwards e Hillary Clinton, e ha scandito il suo programma: "Il tempo del cambiamento è arrivato: sarò il presidente che riporterà a casa i soldati dall'Iraq, che garantirà la sanità a tutti gli americani e metterà fine ai regali fiscali alle grandi multinazionali". Obama questa notte parlava già da presidente ma la strada è ancora lunga prima delle elezioni di novembre e i repubblicani non intendono perdere lo Studio Ovale.

Nella sfida tra i candidati del partito di Bush ha prevalso nettamente l'ex governatore dell'Arkansas Mike Huckabee che con il 34 per cento ha staccato il mormone Mitt Romney (25 per cento) e umiliato l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, finito soltanto sesto con un misero 4 per cento.

Obama ha ottenuto un risultato strepitoso conquistando il 37,6 per cento dei consensi degli elettori che si sono reacati ai caucus, assemblee in cui si riunisce e si discute prima di contarsi, mentre Edwards e Clinton sono finiti quasi alla pari (29,8 a 29,5).

"Voi siete stati capaci di fare quello che i cinici definivano impossibile - ha detto Obama alla festa con i suoi supporter - perché avete avuto il coraggio di combattere e ora possiamo cambiare questo Paese: è finita la politica della paura e del cinismo".

L'affluenza è stata altissima, segnando un ritorno di partecipazione che non si vedeva da anni e Obama ha conquistato il voto di molti giovani che sono andati in massa ai caucus per la prima volta nella loro vita puntando sulla novità e il cambiamento.

Hillary Clinton ha fatto un lungo discorso in cui non ha mai parlato di sconfitta ma anzi ha detto: "Sono pronta ad andare avanti e a guidare l'America perché in questa elezione è in gioco il futuro del Paese". E ancora: "Grande notte per i democratici. Mandiamo un messaggio di cambiamento e il cambiamento sarà un presidente democratico alla Casa Bianca nel 2009". Dietro di lei il marito, con la faccia stanca e tirata. Era stato proprio Bill ieri mattina, mentre in jeans prendeva un caffè da Starbucks, a preparare la difesa sottolineando che "bisogna continuare ad andare avanti: è un processo lungo e l'importante era che Hillary partecipasse per dimostrare che non ha paura della sfida".

Ora si guarda al New Hampshire dove si voterà martedì prossimo: anche qui i sondaggi danno Obama leggermente in vantaggio sulla Clinton ed è probabile che da questo momento la partita democratica sia soltanto tra loro due che hanno raccolto entrambi oltre cento milioni di dollari e che possono sostenere una lunga campagna.

Su Mike Huckabee nessuno avrebbe scommesso un dollaro soltanto un mese fa, poi l'appoggio conquistato tra i cristiani conservatori, la base religiosa evangelica fortissima in Iowa, lo ha lanciato in testa alla corsa. I suoi elettori hanno spiegato di essere preoccupati per l'immigrazione, l'economia e il terrorismo: "Quello che avete visto - ha commentato Huckabee che è un pastore battista - è un nuovo giorno nella politica americana".

Da evidenziare i risultati del senatore e reduce del Vietnam John McCain e dell'attore Fred Thompson (protagonista della serie Law & Order), arrivati terzi a pari merito con il 13 per cento senza quasi aver fatto comizi tra queste pianure innevate. McCain è in vantaggio in New Hampshire, dove la destra religiosa è minoritaria, e potrebbe diventare il vero protagonista della campagna nazionale. Bruciante la sconfitta per Romney che ha speso una fortuna in Iowa e aveva inondato le televisioni di questo piccolo Stato di 3 milioni di abitanti con 25mila spot, il doppio di quelli trasmessi da Obama e dieci volte di più di quelli pagati da Huckabee.

Preoccupante la posizione di Giuliani, che aveva snobbato l'Iowa, ma che continua a puntare sui grandi Stati dove si voterà tra un mese. Ieri era in Florida, ma bisogna vedere se dopo quattro settimane nella polvere troverà la forza di vincere a Miami, New York, Chicago e in California.

(4 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 05, 2008, 12:29:55 am »

ESTERI

IL COMMENTO

La sconfitta della politica politicante

dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI


CI SONO due ovvi e sensazionali vincitori, in questa prima giornata della lunga stagione elettorale americana, il democratico Barak Hussein Obama e il repubblicano Mike Huckabee. E se entrambi rappresentano la voglia di nuovo e di meglio in una nazione soffocata dai sette anni della burbanzosa inettitudine bushista, è soprattuto una sconfitta sonora quella che fa la notizia. La sconfitta della politica "politicante", la punizione inflitta dai cittadini dello Iowa a tutti coloro che credono di possedere, per ricchezza, per famiglia, per nome, per superbia, una sorta di diritto permanente a governare.

La batosta subita dalla socia della ditta "Clinton & Clinton", la Hillary che ancora pochi mesi or sono era considerata come la inevitabile erede del titolo appartenuto al marito, e, sull'altro fronte, dall'ex governatore del Massachussets, Mitt Romney, milionario costruito con tutta la spontaneità e la sincerità di quei robot "animatronic" che a Disneyland interpretano i presidenti passati, è la punizione dell'arroganza degli apparati e dei soldi. Il rifiuto popolare e populista di quel senso di "entitlement", di diritto naturale, che questi due apparenti candidati di testa incarnavano.

Naturalmente è del tutto prematuro entusiasmarsi o preoccuparsi per i successi di due personaggi del tutto nuovi, il predicatore evangelico del sud dal nome impossibile, Huckabee, o il figlio di un kenyota che porta addirittura come secondo nome quello appartenuto al "demonio", Barack Hussein Obama.

Sarebbe certamente un evento rivoluzionario se un uomo di pelle scura, cresciuto in Indonesia, educato da bambino in scuole dove si insegnava, insieme con altri testi religiosi, anche il Corano, 40 anni dopo l'assassinio di Martin Luther King, arrivasse anche soltanto alla candidatura per il partito democratica. Ed è già un fatto storico che lui abbia vinto almeno una tappa elettorale, in Iowa, cosa che mai nessuna persona di colore aveva fatto in 230 anni Stati Uniti. Obama è il segno più incoraggiante che, dopo la dolorosa esperienza del dopo 9/11 l'America è pronta a riconciliarsi con il mondo e il mondo a riconciliarsi con essa, attraverso un uomo che è quello che Bush non poteva essere, un figlio del mondo.

Ma se l'entusiasmo, l'elettricità, la gioia che lo circondano sono palpabili, l'esperienza insegna che soltanto una volta chi vinse in Iowa arrivò fino alla Casa Bianca e la strada è lunga.

Palese, invece, è il rifiuto dell'establishment, il disgusto che dai campi gelidi del Midwest si è alzato verso la banda dei "soliti noti", di quei potenti di professione, delle "solte facce: che si presentano alle urne per timbrare il cartellino, come se il potere fosse loro dovuto per parentela, affinità, matrimonio o danaro.

Può darsi che Hillary, respinta seccamente proprio da un elettorato femminile che non si fa incantare dal richiamo sottinteso alla "sorellanza", rigettata in massa dai giovani, maschi e femmine, sotto i trent'anni, faccia valere la potenza della ditta "Clitnon & Clinton", la prossima settimana e che i soldi del mormone Romney pesino più della antipatia che la sua artificiosità, e la sua falsità di prodotto dei sondaggi e dei "focus group" (come la Hillary) hanno suscitato. Ma almeno per un giorno 300 mila semplici cittadini hanno detto quello che i cittadini di molti altri stati, e di altre nazioni, vorebbero gridare insieme con loro. Che in una democrazia autentica, nessuno ha il diritto di posare per sempre il cappello sulla poltrona del potere e di proclamare "occupato".

(4 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 05, 2008, 06:49:27 pm »

PRESIDENZIALI USA 2008

5/1/2008 - Primarie Usa
 
Obama trionfa “Nessuno credeva nella mia vittoria”
 
Supera tutti gli altri candidati democratici E l’America sogna un presidente di colore 
 
 
Barack Obama conquista l’Iowa e per la prima volta l’America prende sul serio l’ipotesi di un presidente afroamericano. Giovani, single, indipendenti e anche qualche repubblicano hanno affollato i caucus democratici riversando sul senatore dell’Illinois classe 1961 una valanga di voti e speranze che hanno trasformato questo Stato conservatore, a maggioranza bianca e protestante, conquistato da George W. Bush nel 2004, nel laboratorio di un’innovazione politica che sfida i tabù e l’immaginazione a 43 anni di distanza dalla firma del presidente Lyndon B. Johnson sul «Civil Right Act» che pose fine alla segregazione razziale nei luoghi pubblici. Sebbene la campagna delle primarie sia solo all’inizio, Hillary Clinton abbia le risorse per vincere la nomination e il duello con i repubblicani sia tutto da giocare, il terremoto di Des Moines scuote l’America che, nei talk show come negli editoriali, subisce il fascino delle parole di Obama: «Con un padre del Kenya e una madre del Kansas, solo in America poteva avvenire una simile vittoria».

Tutto comincia alle 6.30 del pomeriggio, ora dell’Iowa, in Italia l’1.30 del mattino di ieri, con le lunghe file ai caucus che prennunciano l’affluenza record. Nel 2004 alla sezione n. 70 della Merrill Middle School si presentarono in 360, ora sono in 554. Allora erano tutti militanti democratici di vecchia data, oggi prevalgono i giovani, molti si iscrivono per la prima volta e ci sono anche dei repubblicani. La trasformazione del dna dei liberal si rispecchia nella palestra del caucus: gli elettori di John Edwards indossano i colori dei sindacati, quelli di Hillary hanno i capelli grigi mentre l’angolo dove campeggia la «O» colorata gigante è una sorta di camping con ragazzi con l’iPod, giovani imprenditori, genitori con figli piccoli. Lo scontro non ha storia: Obama conquista 289 voti su 554 con una vittoria di dimensioni simili a quelle che gli consegnano l’Iowa grazie al 38% delle preferenze rispetto al 30 di Edwards e al 29 di Clinton, obbligando i candidati minori Joe Biden e Chris Dodd ad abbandonare la corsa.

All’uscita dalla Merrill Middle School i fan salgono sulle auto, suonano i clacson come se avessero vinto la Coppa del Mondo e raggiungono la Hy-Vee Hall, sulla Terza Strada, dove una banda di giovani jazzisti afroamericani li accoglie suonando i tamburi con ritmi etnici in crescendo in una sala gigante che si riempie fino a contenere oltre tremila persone. I jazzisti sono al centro del parterre, suonano mischiandosi alla folla come fanno i musicisti nella metro di Manhattan. Sui mega-schermi corrono le immagini di Hillary che dice di non aver perso ma nessuno le bada, nessuno fischia. Prevale la musica, quando cessano i tamburi partono gli U2. Si balla come in discoteca sotto un’imponente bandiera a stella e strisce fino a quando sul palco sale un’attivista e dice ciò che tutti pensano: «We made history tonight», questa notte abbiamo fatto la storia.

Il parterre ritma «O-ba-ma», ed il vincitore entra con la moglie Michelle e le due figlie piccole, Malia e Sasha, per pronunciare il discorso del riscatto contro «i cinici che dicevano che questo momento non sarebbe mai arrivato». Obama parla ad una «nazione di democratici, indipendenti e repubblicani», punta a una coalizione bipartisan, vede nell’esito dell’Iowa l’affermazione della «speranza sulla paura» e l’annuncio di un «cambiamento che sta arrivando».

Parla alla classe media, promette «liberazione dalla tirannia del greggio», ribadisce che ritirerà le truppe dall’Iraq e descrive l’11 settembre «non come una paura ma una sfida da affrontare per rispondere alle minacce comuni: terrorismo, armi nucleari e povertà». L’oratoria kennedyana trascina la folla che vede il miraggio di un afroamericano al posto di Bush: «Chi ama questa nazione può cambiarla, le persone ordinarie possono fare cose straordinarie, questa è la notte in cui tutto comincia». Alla fine della notte della vittoria Obama esce dalla Hy-Vee Hall e consegna a «La Stampa» quello che definisce «il mio messaggio all’Europa»: «America is back», l’America è tornata.


Maurizio Molinari
 
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