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Autore Discussione: I Tedeschi riconquistano oggi parte di Trieste italiana di PAOLO MADDALENA  (Letto 2637 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 02, 2020, 12:52:09 pm »

PAOLO MADDALENA - I Tedeschi riconquistano oggi parte di Trieste italiana

Dedichiamo l’articolo di oggi a un fatto di enorme importanza del tutto trascurato dalla stampa e dai media italiani: si tratta della perdita della metà del porto di Trieste a favore dei tedeschi.

Trieste fu liberata dal dominio austriaco nel 1918 a seguito della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale (1915-1918). Subì, poi, dopo la seconda guerra mondiale, la sua trasformazione nel cosiddetto territorio libero di Trieste, sottoposto all’amministrazione anglo-americana. Finalmente nel 1954 fu riconsegnata agli italiani.

Ma a togliere agli italiani, per la terza volta, il porto di Trieste fu la legge del 28 gennaio 1994, numero 84, proposta dal governo Ciampi, che ebbe la geniale idea di cedere, privatizzandolo, il suddetto porto a un gruppo di faccendieri.

La privatizzazione persegue, tra l’altro, un effetto, che normalmente si ottiene mediante una guerra, poiché essa, tra l’altro, produce la sottrazione di un territorio (o di un altro bene) alla proprietà pubblica del Popolo italiano a favore di una società lucrativa (nel caso S.r.l.), e cioè a pochi soci. Inoltre la costituzione di una società lucrativa apre la via all’impossessamento del bene di cui si tratta a chiunque voglia compare le relative azioni.
E proprio questo è avvenuto per il porto di Trieste, costruito e raddoppiato con soldi italiani, e ceduto dai suddetti faccendieri a una società tedesca la Hamburger Hafen und Logistik Ag (Hhla).

È da sottolineare che l’italianità di Trieste subisce oggi un affronto senza limiti, poiché il Ministro dello sviluppo economico Patuanelli, con una farsesca cerimonia ufficiale, inaugurerà il nuovo porto che sarà rilevato per il 50% dalla società tedesca sopra citata.
Per noi si tratta di un avvenimento luttuoso che merita la riprovazione nei confronti di coloro che lo hanno prodotto da parte di tutti gli italiani e dai nostri connazionali che hanno pagato col sangue la riconquista di questo territorio e che ora si rivolteranno nella tomba.
Se vogliamo ricostruire l’Italia, questo deve essere il punto di partenza per abolire tutte le privatizzazioni, riprendere i beni pressoché gratuitamente ceduti a faccendieri e fameliche multinazionali e restituirli alla proprietà pubblica del Popolo sovrano.

Restare inerti di fronte alla distruzione di quanto gli italiani hanno pagato col sangue è un crimine sacrilego ed è in pieno contrasto con l’articolo 52 della Costituzione, secondo il quale “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.

Paolo Maddalena
(30 settembre 2020)

Scritto mercoledì, 30 settembre, 2020 alle 13:37 nella categoria Paolo Maddalena. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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« Risposta #1 inserito:: Marzo 19, 2022, 11:23:14 pm »

Gianni Gavioli
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Acqua inquinata da Pfas, "giro di vite ma c'è un vuoto legislativo"
Il consorzio Arica, che si occupa del collettore che raccoglie i reflui dei depuratori della valle del Chiampo, ha annunciato che la presenza delle sostanze perfluoroalchiliche sarà abbattuta

Redazione 13 Marzo 2015

Inquinamento nei pozzi di Vicenza, Variati: "A carico della Regione"
San Vito di Leguzzano, acquedotto chiuso: è inquinato

LA RICHIESTA Pozzi d'acqua, inquinamento da Pfas e retrogusti amari
Acqua inquinata nel torrente Chiampo, Zanoni: "Ci sono i fondi Ue per la bonifica"

Giro di vite netto e senza riserve quello che in questi giorni mette in campo il Consorzio ARICA sul problema presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). L’occasione è stata fornita nel corso di un incontro della Commissione Tecnica Regionale sulla problematica PFAS, composta da rappresentanti dell'Istituto Superiore della Sanità, dell'ARPAV e di vari settori della Regione del Veneto e da ARICA che gestisce il collettore che raccoglie i reflui dei depuratori di Acque del Chiampo, Alto Vicentino Servizi e Medio Chiampo.

La problematica è di grande attualità a causa delle infiltrazioni da PFAS che si sono verificate in alcune aree della nostra Provincia che hanno compromesso la falda sotterranea, verso la quale i gestori dei servizi idrici interessati si sono adoperati con investimenti importanti per trovare soluzioni di abbattimento. Oltre alla falda, che riguarda una contaminazione avvenuta molto tempo addietro, è stata rinvenuta la presenza di queste sostanze anche presso alcuni scarichi industriali e da questi ai depuratori. Le iniziative messe in campo fin dal 2013, in materia di riduzione della concentrazione di PFOA e PFOS, hanno portato ad una netta riduzione ed ora con questa iniziativa particolarmente forte si attende un ulteriore miglioramento. Infatti, ARICA, pur in presenza di vuoti legislativi, anticipa l'emanazione di normative per allineare, a tutela dell'ambiente, la qualità del fiume Fratta ai valori più restrittivi individuati fra i vari stati membri della comunità europea.

Da aprile, quindi, ARICA intende adottare un'ulteriore forte riduzione per i PFOA e PFOS che sono i PFAS più pericolosi e persistenti. Intende inoltre intervenire per la prima volta anche su altre sostanze perfluoroalchiliche: PFHxA, PFPeA, PFBA e PFBS nonostante non ci siano ad oggi studi scientifici consolidati che ne accertino la tossicità. È invece certo il fatto che la loro eventuale tossicità è molto inferiore a quella del PFOA e del PFOS. “Abbiamo fatto una scelta netta a tutela della salute, pur consapevoli che esiste un vuoto legislativo che non ci aiuta” – dichiara il Presidente di ARICA, Renzo Marcigaglia – “inoltre siamo convinti che non si possano fare sconti su un tema così pericoloso. Ora mi aspetto che in tempi ragionevoli chi deve legiferare, Regione o Governo, si affretti a farlo, magari partendo dal nostro modello che anticipa i tempi”.

Da - http://www.vicenzatoday.it/.../acqua-inquinata-da-pfas...

Da - https://www.facebook.com/

18 marzo 2022 nei ricordi personali non condivisibili su Fb ma copiati da me per voi.

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« Risposta #2 inserito:: Marzo 25, 2022, 04:20:59 pm »

L'informazione locale dal Veneto
24 MARZO 2022

 LA MORTE ADDOMESTICATA

Buongiorno, ecco una serie di notizie selezionate per te dalla redazione del Corriere del Veneto. Simone Casalini, caporedattore web, ha scelto di scrivere sul fine vita e il caso di Samantha D'Incà. Buona lettura!

La vita è sempre stata una lunga preparazione verso la morte. Il culmine (glorioso) di un percorso, quello in cui alla fine si tiravano le somme di un’esistenza. È stato così per secoli, nelle culture del mondo. In India il pregio di una vita profuma del legno di sandalo. Ma dall’Ottocento, dalla rivoluzione industriale, dalla seduzione del consumo, dall’affermazione della tecnica il rapporto di forza è stato rovesciato. Almeno in Occidente. E il protrarsi infinito della vita, l’illusione dell’immortalità hanno eroso culturalmente gli spazi della morte. L’hanno emarginata. Anche nominalmente: la morte è morta, diventando “fine vita”. Il fatto che solo 156mila italiani (14.574 in Veneto, lo 0,3% della popolazione) abbia depositato un bio-testamento (Disposizioni anticipate di trattamento, Dat) alla fine lo dimostra: la morte rischia di essere un tema rimosso. Anche se forse preferiamo addomesticarla. Evocandola e attirandola quando – come nella dolorosa storia di Samantha D’Incà, la trentenne di Feltre in stato vegetativo per una polmonite batterica, morta lunedì dopo l’interruzione dell’alimentazione – la vita si spegne per sempre. “Fine vita” e con dissociazione (“Io e mio marito siamo credenti, ma non ci saranno funerali. Solo una benedizione della salma. Siamo troppo arrabbiati con Dio” ha detto la mamma, esprimendo un dissenso non comune).

Tra il 1999 e il 2009 intorno al corpo di Eluana Englaro si disputò l’atto finale di questo lungo confronto tra vita e morte per rimodellare confini e ruoli. Il pensiero religioso e quello laico, tradizione e modernità si sfidarono con le loro liturgie, il senso di un dibattito infinito che i casi successivi, e al di là di quanto il legislatore abbia poi effettivamente registrato, rivelarono concluso. Non inganni il richiamo della morte: qui è solo la sua controfigura, una forma di liberazione da una morte in vita.

L’affermazione di questo processo culturale ha almeno tre cardini. Il primo è la de-sacralizzazione di vita e morte e l’allentamento dei rituali (spesso religiosi) che segnavano l’ingresso nella comunità di appartenenza, nell’adolescenza, nell’età adulta fino al commiato finale. L’”estremo saluto”. Oggi i percorsi e i cerimoniali sono plurimi e agiscono secondo il principio di differenza. La libertà individuale e l’autodeterminazione sono più esigenti e hanno scardinato ogni precetto. Le culture si sono incontrate con la globalizzazione, creando forme ibride che non soggiacciono a modelli precedenti. Le tecnoscienze sono il secondo cardine. Hanno spostato la frontiera tra vita e morte, ma non solo. Tra natura e cultura, tra soggetto e oggetto. E hanno aperto lo squarcio verso il mito del superamento delle malattie e, in qualche misura, dell’umano. Parti di noi possono essere sostituite come “macchine” sempre più raffinate. È l’incedere del postumano – terzo cardine – cioè del pensiero che guarda oltre l’uomo e ad un’altra configurazione dell’esistenza che transita per gli universi digitali, il cibo geneticamente modificato, le tecnologie riproduttive, le addizioni e sottrazione del corpo, gli avatar. La fine dell’umanesimo. Rosi Braidotti, voce essenziale del postumano, ha scritto che “abbiamo bisogno di progettare nuovi schemi sociali, etici e discorsivi della formazione del soggetto per affrontare i profondi cambiamenti cui andiamo incontro (…) La condizione postumana ci chiama urgentemente a ripensare, in modo critico e creativo, chi e cosa stiamo diventando in questo processo di metamorfosi”.
 
Sia chiaro l’evoluzione del problema non è negativa. La reimpostazione dei pesi tra vita e morte, la rottura dei simulacri che le imprigionavano, hanno liberato nuove possibilità, nuove libertà, nuove ipotesi di svolgimento della pellicola. Hanno creato opportunità anche di riconfigurazione della vita e della morte stessa. Tuttavia, il superamento di tutti i limiti, il mito dell’oltreuomo (di cui Nietzsche intuì per primo la traiettoria), lo schema che scompagina tutto rischia di farci perdere ogni contatto con i “territori dell’umano” (Franco Rella) che pure esistono e resistono, che popolano il quotidiano. E rischia di farci sbattere sulle parole di Kierkegaard: “Serietà è pensare veramente la morte, pensarla cioè come la tua sorte, e comprendere così ciò che la morte non può farti comprendere: che tu sei e che la morte parimenti è”.

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