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Autore Discussione: LIVORNO 2050, QUELL'IDEA DI FUTURO... - (FUTURO noi lo chiamiamo DOMANISMO).  (Letto 3849 volte)
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« inserito:: Maggio 21, 2019, 06:06:56 pm »

LIVORNO 2050, QUELL’IDEA DI FUTURO CHE CI APPARTIENE

MARCO BENNICI
20 maggio 2019

Nella lista delle cose che mi hanno colpito in questi giorni al primo posto viene la serie ‘parole d’Europa’ che La Lettura del Corriere della Sera, a partire da febbraio scorso, ha dedicato alle elezioni europee, immaginandosi una marcia di avvicinamento a questo appuntamento fatto di termini che possano raccontare un po’ del carattere di ciascuno dei 28 Stati membri dell’Unione Europea. E faccio riferimento a un articolo apparso sul supplemento al Corriere della Sera di lunedì 13 maggio. Al secondo posto, invece, viene il primo editoriale di Fabrizio Brancoli, nuovo direttore del  Tirreno, un pezzo in cui viene lanciata una sfida e denunciato un furto: la sfida è quelle di immaginarci a livello di città per come saremo o vorremmo essere di qui al 2050; il furto denunciato è quello del nostro orizzonte, un atto compiuto con destrezza, perché in tutti i dibattiti politici nessuno guarda oltre il breve periodo, nessuno si prende la briga di immaginare come potrebbe essere un territorio, come Livorno, oppure il nostro paese nel 2050.

Claudio Magris dalle pagine della Lettura del Corriere ha scelto come parola che può contraddistinguere il nostro paese ‘futuro’. E dice: “Ci sono due tipi di futuro: il piccolo futuro immediato, quello che non c’è mai perché è sempre in arrivo; e il grande futuro, il futuro dei profeti biblici sempre in cammino verso una terra promessa”. E’ inevitabile pensare che l’Italia oggi sia tutta scacciata sulla prima accezione di futuro, quello che brucia veloce, ancora prima che uno abbia finito di pronunciare la parola. Ma è altrettanto inevitabile che dovremmo puntare a altro e provare a raddrizzare la rotta sulla seconda accezione di questa parola, atteggiamento che dovrebbe essere comune a tutte le forze progressiste presenti sullo scenario politico. Altrimenti stiamo compiendo un furto, tutti, e ciascuno con una sua precisa responsabilità.

Allora proviamo a rovesciare la clessidra e spostiamoci nel 2050, tra 31 anni. E facciamolo a Livorno, che tra pochi giorni dovrà tornare a votare per il sindaco e il consiglio comunale. Facciamolo seguendo quella indicazione che ci ha dato Claudio Magris, proponendo come parola identificativa del nostro paese ‘futuro’, che a Livorno, anno 2019, è anche il nome di una delle liste a sostegno di Luca Salvetti candidato sindaco. Facciamolo seguendo la provocazione del nuovo direttore del Tirreno, tenendo lo sguardo bene aperto e cercando di non rubarci l’orizzonte. In fondo trentuno anni non sono poi tanti se ne occorrono quasi dodici per arrivare alla formulazione di un piano strutturale, o almeno tanti ce ne sono voluti, qui, a Livorno, e la mente va a una delle ultime sedute del consiglio comunale uscente. Bene, pronti? Via.

L’ordinanza con cui fu vietato l’uso delle plastiche residue fu acclamata da tutti come uno dei risultati migliori delle ultime giunte. Tutti giornali, tutti i siti specialistici, portavano il provvedimento adottata in città come esempio. I finanziamenti europei erano stati indirizzati talmente bene da fare diventare realtà qualcosa che nessuno avrebbe immaginato prima. Nella zona del Picchianti, tra tutte quelle start-up che andavano a caccia di laureati a ritmi vertiginosi, sorgeva anche uno dei primi stabilimenti all’interno dei quali le plastiche venivano riciclate per farne dei nanotubi, materiali molto resistenti alla trazione utilissimi in molti campi nella costruzione di macchinari industriali. La parte residue della plastica, quella che non poteva essere conferita dentro quel grande stabilimento di trasformazione, era stata semplicemente vietata, rendendo tutto il territorio di Livorno a livello nazionale il primo a potersi dire veramente plastic free.

E con i nanotubi negli ultimi anni Livorno aveva costruito la sua fortuna. Su di essi era venuta a indagare anche la Columbia University che sul territorio aveva attivato uno dei suoi principali centri di ricerca. E a Livorno arrivavano ormai studenti da tutto il mondo, l’esperienza accumulata nel campo della conversione dei materiali plastici l’aveva resa sede di varie attività a livello internazionale di ricerca e sviluppo nel settore e il Comune aveva ricevuto anche un riconoscimento a livello di Nazioni Unite per essere stato uno dei primi nuclei urbani a implementare politiche plastic free. Anche nelle scuole superiori della città erano stati introdotti dei laboratori per consentire agli studenti di cominciare a lavorare sul recupero di materiali plastici, sviluppando ulteriori brevetti con cui rendere le tecnologie di riciclo della plastica sempre più performanti.

Il fermento portato in città dal piano per l’economia circolare aveva restituito alla città quella dinamicità che si raccontava esserci stata negli anni della sue prime primavere. I traffici del porto erano tornati a essere decisamente interessanti da almeno una quindicina d’anni, da quando cioè erano stati finiti i lavori della Piattaforma Europa, uno dei più vasti progetti di infrastrutturazione portuale mai realizzati in Italia. Con molti paesi americani e asiatici esistevano traffici di linea, e questa frequentazione aveva portato in città diversi centri culturali aperti sotto l’egida dei consolati dei paesi con cui il porto di Livorno aveva relazioni commerciali più solide. Esistevano diverse scuole per imparare le lingue straniere in città, e tutti gli adolescenti conoscevano bene almeno tre lingue.

C’era anche un Casa dei Diritti che il Comune stesso patrocinava, una sorta di centro ascolto e accoglienza animato da varie associazioni di volontariato a cui chiunque versasse in stato di necessità poteva rivolgersi per avere sostegno e assistenza. Era un posto in cui nessuno doveva sentirsi solo che era stato introdotto da vari anni, e che fin da subito aveva riscontrato il gradimento dei cittadini, molti dei quali mettevano un po’ del loro tempo a disposizione della Casa che aveva anche una bellissima sede nella zona di Antignano, un posto che era servito da mezzi pubblici e a cui si poteva avere accesso anche via web per assistenza domiciliare. Donne e uomini di etnia straniera sapevano che la Casa dei Diritti era soprattutto a loro disposizione, e che una borsa del lavoro era stata attivata presso di essa al fine di garantire a tutti coloro che fossero arrivati in città qualche prima occasione di lavoro.

Rovesciamo la clessidra nuovamente, e torniamo al maggio 2019, alle parole identificative di Claudio Magris in vista delle elezioni europee, che per l’Italia ha scelto ‘futuro’, e all’editoriale di Brancoli, nuovo direttore del Tirreno. La sfida è pensarci di qui al 2050. Nel volo che ho cercato di fare in avanti nel tempo, commettendo sicuramente più di un’ingenuità, ho visto tante cose che nel programma della coalizione di Luca Salvetti e di Futuro sono contenute. Ci ho messo sicuramente anche un po’ di retorica nel raccontare le cose, ma il tentativo è stato quello di fornire in breve il disegno di qualcosa in cui io, insieme a tutti i miei colleghi di lista, credo, come elettore e come candidato al consiglio comunale. A volte per scatenare delle piccole rivoluzioni serve solo trovare i punti di innesco, e io credo che nel programma di Luca Salvetti ci siano tutti gli elementi e le persone giuste per mettersi a cercarli questi punti di innesco. E a generarli.


Da - https://www.glistatigenerali.com/governo_partiti-politici/livorno-2050-quellidea-di-futuro-che-ci-appartiene/
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