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Autore Discussione: Paolo Armaroli - In democrazia i manovratori vanno disturbati sempre  (Letto 2046 volte)
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« inserito:: Dicembre 15, 2018, 11:28:34 pm »

L’ANALISI

In democrazia i manovratori vanno disturbati sempre

Sui tram di una volta si poteva leggere questa scritta: “Non disturbate il manovratore”. Ci è tornata alla mente questa dicitura quando Matteo Salvini, scambiando il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia per una fastidiosa mosca tze-tze perché ha avanzato ragionate critiche alla manovra economica del governo, gli ha replicato di lasciarlo lavorare. Un tempo si diceva: “Qui si lavora, non si fa politica”. Una frase senza senso, a pensarci bene. Perché lavorando nelle stanze del Potere si fa politica, eccome. Tutto sta a fare una buona politica, perché altrimenti rientra nella logica delle cose che il mormorio popolare diventi critica, e la critica a sua volta si manifesti in opposizione a tutti i livelli: in Parlamento o nelle piazze.
E qui sta la summa divisio tra dittature e democrazie. Nelle dittature è assolutamente vietato disturbare il manovratore. E chi si azzarda a dissentire è destinato a passare un guaio: rischia nella migliore delle ipotesi il confino, nella peggiore la galera, se non addirittura la vita. Nelle democrazie, invece, il manovratore merita di essere disturbato di continuo. Perché, come recita il primo articolo della nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo. Si badi, appartiene, e non emana, come dispongono altre Carte. Anche se poi questa sovranità è esercitata nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Legge fondamentale della Repubblica. Una democrazia rappresentativa, la nostra, con buona pace del ministro Riccardo Fraccaro. Anche se corretta da istituti di democrazia diretta, come l’iniziativa popolare delle leggi e i referendum.
Un grande costituzionalista francese come Maurice Hauriou soleva dire che là dove c’è potere, c’è responsabilità. Una responsabilità che, a seconda dei casi e delle circostanze, è o istituzionale o – per così dire – diffusa. E allora avremo o l’opposizione in Parlamento o la critica che nasce dal basso, nel Paese. Nei primi sei mesi di questo governo non si è sentita volare una mosca. Da una parte l’opposizione parlamentare è apparsa afona. Senza voce e senza una visione alternativa a quella del gabinetto gialloblù. Perché il Pd è roso dal tarlo dell’antitesi, diviso in fazioni e a rischio di scissione. Forza Italia sembra avviata sul viale del tramonto, ma Berlusconi non va mai sottovalutato. E i Fratelli d’Italia sono da tempo nei sondaggi sotto il 4%, perciò corrono il pericolo di non essere più rappresentati in Parlamento. Mentre la critica dal basso non si è vista, annichilita da quel 60% di consenso che i sondaggi attribuiscono ai due partiti di governo.
Ma il vento sta cambiando. Adesso un ministero in cui i due azionisti Di Maio e Salvini rimettono in discussione il programma, si trovano tra l’incudine e il martello. L’incudine di Mattarella, che fa sentire alta e forte la sua voce un po’ su tutto: da una manovra economica che non ha le carte in regola con la Costituzione alla libertà di stampa, mai abbastanza garantita. E il martello della pubblica opinione, non più disposta a un flebile mugugno. A Torino le madamine, con un coraggio tipico delle grandi donne, hanno fatto un miracolo. Sull’esempio della marcia dei quarantamila, hanno riunito senza bandiere una moltitudine di cittadini che ha detto sì alla Tav. Poi, sempre a Torino, gli imprenditori hanno detto un rotondo no a una manovra economica in rotta di collisione con l’Europa. E Boccia ha invitato il presidente Conte a cambiare musica, pena le sue dimissioni.
Nel nostro Belpaese per ottenere qualcosa bisogna fare la voce grossa e la faccia feroce. Ringhio Gattuso insegna. Il ministro Danilo Toninelli, che le infrastrutture non le vorrebbe neppure dipinte, si era rifugiato dietro l’espediente del rapporto costi-benefici. Ma l’alibi si è dissolto in un battibaleno. E lui stesso sta innestando la retromarcia. E un’altra retromarcia la stanno facendo i due vicepresidenti del Consiglio sulla manovra economica, considerata al suo varo l’ottava meraviglia del mondo. Tanto che Di Maio, travestito da Winston Churchill, a Piazza Colonna aveva festeggiato con i suoi cari facendo la V con l’indice e il medio della mano. Adesso mandano avanti Giuseppe Conte. Con il sottinteso che se sarà evitata la procedura d’infrazione, che ci costerebbe un occhio della testa, il successo sarà dell’intero governo. A cominciare, si capisce, dai due consoli. Se invece pagheremo dazio, la colpa sarà addossata per intero al presidente del Consiglio. Sic transit gloria mundi…

paoloarmaroli@alice.it
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Paolo Armaroli

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