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Autore Discussione: Carlo CALENDA.  (Letto 6711 volte)
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« inserito:: Novembre 24, 2017, 08:46:26 pm »

Calenda: "Alitalia, Lufthansa deve alzare l'offerta"

Il ministro dello Sviluppo economico interviene sulle partite calde a Circo Massimo, su Radio Capital: "Da Tim vogliamo una rete neutrale"

22 Novembre 2017

MILANO - L'obiettivo del governo non è imporre una sanzione monstre a Telecom Italia, ma avere una rete neutrale e far capire che in Italia "gli approcci da Guyana francese non si accettano". E sull'altra partita industriale-simbolo del Paese, quella dell'Alitalia, il messaggio ai tedeschi di Lufthansa è che se vogliono acquistarla dai commissari devono aprire di più i cordoni della borsa. Parole e musica del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, intervenuto stamattina a Radio Capital alla trasmissione Circo Massimo.

ALITALIA
Calenda si è soffermato sul tentativo di vendita dell'Alitalia, per la quale i commissari straordinari hanno avviato i colloqui con i potenziali interessati. "L'offerta di Lufthansa, così come è, va migliorata", ha scandito. E quindi ha ribadito: "Su Alitalia quello che mi importa è che gli che italiani abbiano collegamenti più efficienti possibili e si mettano meno soldi possibili". La situazione, conclude, "non deve ricadere sulle spalle degli italiani".

Proprio ieri, il commissario della compagnia Luigi Gubitosi aveva detto che Alitalia può contare ancora su un tesoretto in cassa ed è abbastanza "forte" per potersi permettere di scegliere il miglior partner tra quelli che la corteggiano. In pancia all'aviolinea ci sono quasi 850 milioni di euro, dei 900 pompati con i prestiti ponte del governo, e "nonostante tutti i problemi il 2017 si chiuderà con una crescita dei ricavi dell'1%", dopo tre segni negativi.

TELECOM
"Fare una multa più grande possibile a Telecom non è l'obiettivo né mio né del governo Gentiloni", ha precisato Calenda invece riferendosi alla richiesta di sanzione e all'uso del Golden power da parte italiana nell'azienda, dopo che i francesi di Vivendi si sono portati al comando della stessa senza darne comunicazione a Palazzo Chigi nei tempi stabiliti dalla legge, quando si parla di una società "strategica". "Nessuno vuole danneggiare Telecom, un asset italiano e un'azienda che ha 50.000 persone come occupate dirette e altre 20.000 indirette" nel nostro Paese, ha rimarcato Calenda. "Ma - ha aggiunto - vogliamo che le regole siano rispettate: gli approcci da Guyana francese qui non si accettano".

"Intanto - ha spiegato - la multa non è a Vivendi ma a Telecom e ha un processo di contradditorio complicato, giustamente visti gli importi. La priorità è che accettino la prescrizione sul Golden power e che riflettano sulla rete più neutrale e separata". Calenda non ha mai fatto mistero di preferire una situazione in cui la rete telefonica è scorporata dalla società, per dividere infrastruttura e operatore dei servizi.

Durante l'intervista di Massimo Giannini, Calenda ha risposto a una domanda sui rapporti interni all'esecutivo specificando che "non c'è stato nessun gelo con il presidente del Consiglio", Gentiloni, riguardo alla linea da tenere con Vivendi, primo socio di Tim. Calenda ha raccontato: "Ho fatto la proposta di uso del golden power che poi è passata attraverso Palazzo Chigi, con Gentiloni ho un rapporto di grandissima confidenza, ha un modo di lavorare che a me piace moltissimo, è una persona che lascia ampio spazio alla discussione".

ILVA
Non poteva mancare infine il riferimento all'acciaieria e alla partita con ArcelorMittal sul mantenimento di posti di lavoro e salari. Il confronto su Ilva "penso si debba chiudere rapidamente. Con un lavoro duro abbiamo ottenuto il riconoscimento dei livelli salariali precedenti, ora continua il confronto per abbassare il numero degli esuberi", ha detto Calenda proprio mentre in Senato erano auditi i vertici della società indiana. "E' previsto - ha aggiunto - un investimento pari a 5,3 miliardi di euro, il più grande nell'industria. Abbiamo convinto l'indiano con un pressing soave".

© Riproduzione riservata22 Novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/economia/2017/11/22/news/calenda_da_tim_vogliamo_una_rete_neutrale_alitalia_lufthansa_deve_alzare_l_offerta_-181782657/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr
« Ultima modifica: Maggio 01, 2018, 12:21:35 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 11, 2017, 06:09:53 pm »

Calenda premier divide Fi e Lega. E lui litiga con Renzi sulle tasse
Il ministro dello Sviluppo prende le distanze dal leader Pd e apre allo Ius soli. Salvini stoppa Berlusconi: “Lui a capo del governo? Ipotesi irrealizzabile”
Pubblicato il 09/12/2017 - Ultima modifica il 09/12/2017 alle ore 09:42

Alessandro Di Matteo
Roma

Non farà un proprio partito e, allo stato, sembra che non sarà nemmeno candidato, ma Carlo Calenda non pare affatto intenzionato a osservare da spettatore la prossima campagna elettorale. Il ministro dello Sviluppo economico è sempre più attivo, non solo sulle materie di sua stretta competenza, e il suo possibile ruolo dopo le elezioni già agita il centrodestra: solo nella giornata di ieri ha polemizzato con le proposte fiscali di Matteo Renzi, ha criticato Michele Emiliano sull’Ilva, ha partecipato a un convegno sull’Europa organizzato da Francesco Rutelli e ha anche tenuto a precisare che lo Ius soli, se fosse per lui, andrebbe approvato subito. Un protagonismo a tutto campo che, come raccontato ieri da La Stampa, viene osservato con attenzione da Silvio Berlusconi e da Gianni Letta, che cominciano a vederlo come uno dei possibili premier per un eventuale nuovo governo di larghe intese dopo il voto. 

La prospettiva non piace affatto a Matteo Salvini: «È un’ipotesi irrealizzabile. Gli italiani meritano stabilità, chiarezza e serietà. E poi ricordo che Calenda ha sempre difeso e sostenuto quelle politiche europee che sono uno dei problemi e una delle condanne dell’Italia». Senza contare, appunto, che proprio ieri Calenda ha difeso lo Ius soli: «Spero che non slitti alla prossima legislatura - ha detto il ministro - perché penso sia un passaggio di civiltà che va nel senso di avere un’immigrazione più integrata. Nel Consiglio dei ministri il presidente Gentiloni ne ha sempre parlato come di una priorità del governo».

Ma se Calenda, con l’uscita sullo Ius soli, riafferma la sua collocazione nel campo del centrosinistra, la presa di distanze da Renzi è però netta. Il ministro replica alla proposta «scaricare tutto, scaricare tutti» avanzata dal leader Pd, se Renzi propone un piano di riduzione delle tasse basato su una «tregua fiscale» e, appunto, sulla possibilità per tutti di scaricare dal fisco qualunque ricevuta, su Twitter Calenda replica: «La mia opinione Matteo: ma se invece di slogan “meno tasse e più deficit per tutti” il Pd proponesse un programma in linea con le tante cose buone e serie fatte da te e Gentiloni?». 

Un richiamo che sembra la bozza di un programma di governo: «Più investimenti, meno costo del lavoro; più riforme, meno debito; giovani e imprese al centro; meno veti locali, più concorrenza». E sull’Ue aggiunge: «L’Europa deve anche saper proteggere con una governance assertiva che possa essere percepita dai cittadini». Un posizionamento attento: nel centrosinistra, ma distante da Renzi, europeista ma con toni critici, a favore del mercato e delle imprese. Appunto, un nome che può unire dal Pd a Fi, passando per i centristi, dopo il voto. 

Renzi, sempre su Twitter, replica con fair play, consapevole che il ministro può diventare un protagonista importante: «Lavoriamoci, Carlo. Come sai la posizione “più deficit” era spinta da diversi ministri, quando eravamo insieme a Palazzo Chigi. Sul “meno tasse” si tratta di capire come, quando e cosa. Sul resto sono d’accordo: aspettiamo te e le tue idee. Al lavoro, per l’Italia».

Luigi Di Maio, candidato premier M5S, usa la vicenda per andare a caccia di voti leghisti: «Chi vota Lega sappia che rischia di trovarsi premier Calenda. Cioè a dire uno che sostiene proprio quei trattati che stanno massacrando i nostri artigiani e i nostri agricoltori». Le larghe intese per Di Maio sono una possibilità concreta perché «le coalizioni si sfalderanno il giorno dopo le elezioni», e M5S a chiederà il suo «voto utile» proprio contro il nuovo governo Pd-Fi: «Noi saremo la prima forza politica impedendo a Forza Italia e Pd di raggiungere il 51% e fare l’inciucio. Chiederemo l’incarico di governo e la fiducia».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/09/italia/politica/calenda-premier-divide-fi-e-lega-e-il-ministro-litiga-con-renzi-sulle-tasse-a7Ee9WifqDJmiWV9QagTvL/pagina.html
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 13, 2017, 05:13:14 pm »

Calenda contro Ryanair: "Le minacce ai piloti sono atto indegno"

La compagnia ha promesso il taglio di aumenti e promozioni in caso di adesione allo sciopero del 15 dicembre

13 Dicembre 2017

MILANO - Ryanair ha scritto al personale di bordo italiano minacciando il taglio di aumenti e promozioni in caso di adesione allo sciopero dei piloti Alitalia Anpac per il prossimo 15 dicembre. "E' indegno". Poche parole, dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, per commentarle. "Non è il mio ambito di responsabilità", ha detto Calenda a chi gli chiedeva se fosse necessario intervenire: "Ritengo si dovrebbe intervenire - ha aggiunto a margine dell'esecutivo dell'Abi - non si può stare su un mercato, prendere i vantaggi e non rispettare le regole".

La compagnia è al centro di un complicato braccio di ferro con i suoi dipendenti, che hanno proclamato lo sciopero anche in Germania e Irlanda. Al centro delle rivendicazioni non ci sono ragioni economiche, quanto piuttosto sindacali. Esemplare quello che hanno detto i sindacati tedeschi, che hanno rimproverato condizioni poco sociali nell'organizzazione del lavoro per i 4000 piloti che sono impegnati sulle rotte continentali. Al centro della protesta c'è poi il riconoscimento stesso delle rappresentanze dei lavoratori, da parte della società. I primi ad annunciare gli scioperi erano stati i sindacati di Portogallo e Italia. E anche nella base, a Dublino, si è votato per l’appoggio agli scioperi.
La mobilitazione dovrebbe però evitare i giorni di Natale, fino al 26 dicembre.

Ieri è emersa una lettera inviata dal capo del personale alle "crew" italiane, gli equipaggi di bordo. Facendo riferimento all'invito del sindacato Alitalia Anpac ad aderire alla manifestazione del 15 dicembre, la società dice che "ogni azione intrapresa da ciascun dipendente" - ovvero una singola adesione all'agitazione "risulterà nella perdita immediata del roster 5/3 (la turnazione che prevede cinque giorni di lavoro e tre di riposo, ndr) per tutto l'equipaggio di cabina". La minaccia comprende anche la perdita di futuri aumenti concordati da contratto o la possibilità di accedere a promozioni o spostamenti.

Già nella serata di ieri, la politica aveva reagito. "Ryanair minaccia ritorsioni contro piloti che scioperano? Roba da padroni delle ferriere. Diritto di sciopero tutelato da Costituzione, su eventuali distorsioni intervengono autorità competenti. Da compagnia ennesimo abuso dopo mesi di disservizi e cancellazioni. Enac intervenga", ha twittato il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, componente della commissione Trasporti della Camera. Immediata la reazione dell'Anpac: il coordinatore, Riccardo Canestrari, non ha dubbi: "Andiamo avanti con lo sciopero, siamo abituati a questi toni, ma si configurano fuori della legalità. Almeno in Italia", ha spiegato al Gr1, "abbiamo una legislazione che ci protegge davanti a questo tipo di trattamenti".

© Riproduzione riservata13 Dicembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/economia/2017/12/13/news/calenda_contro_ryanair_le_minacce_ai_piloti_sono_atto_indegno_-183977766/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P8-S1.8-T1
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 07, 2018, 04:36:09 pm »


    ORE 8:16 7 Marzo 2018

Calenda: «Pd con M5S? Mio tesseramento più veloce della storia»

«Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici». Lo scrive su twitter il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda.

Ieri, sempre via Twitter, aveva annunciato la sua imminente iscrizione al Partito democratico uscito con le ossa rotte dalle elezioni Politiche 2018: «Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c'è. Domani mi vado ad iscrivere al @pdnetwork», seguito da un «Grazie Carlo!» twittato dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-03-01/la-maratona-elettorale-sole-24-ore-104026.shtml#U1520406983453
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 08, 2018, 11:15:21 pm »

Chi è Carlo Calenda

Redazione ANSA
ROMA

06 marzo 2018

Un manager dalla passione politica, in grado di legare concretezza operativa a doti diplomatiche. Per Carlo Calenda, che Matteo Renzi, quando era premier, ha scelto come il ministro dello Sviluppo, il rientro a Roma nel palazzo di via Veneto che ospita il dicastero è stato quasi un ritorno a casa. E' infatti stato vice ministro dello sviluppo dei governi Letta prima e Renzi poi, anche se, per gli impegni legati alla delega per il commercio con l'estero, è rimasto seduto poco sulla sua scrivania e ha speso molto tempo all'estero per promuovere il made in Italy e gli investimenti stranieri nel nostro Paese. Poi è stato nominato Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione Europea, un ruolo di ambasciatore "politico", più vicino alle logiche Usa che a quelle Europee, necessario secondo il premier per gestire il confronto, non sempre agevole, tra Italia e Commissione Ue.

Nato a Roma nel 1973 dall'economista Fabio Calenda e dalla regista Cristina Comencini. Da bambino, a soli dieci anni, è stato attore nello sceneggiato televisivo 'Cuore' diretto dal nonno Luigi Comencini, dove interpreta lo scolaro protagonista Enrico Bottini.

La sua vita si intreccia moltissimo con quella dell'imprenditore Luca Cordero di Montezemolo. Laureato in giurisprudenza alla Sapienza di Roma, comincia a lavorare per società finanziarie prima di approdare nel 1998 alla Ferrari, dove assume i ruoli di responsabile gestione relazioni con i clienti e con le istituzioni finanziarie. La società del cavallino rampante è in piena era Montezemolo. Una breve parentesi a Sky Italia e poi viene chiamato in Confindustria. A volerlo è anche questa volta il suo mentore. Lo nomina suo assistente e poi direttore dell'area strategica e affari internazionali durante la sua presidenza dal 2004 al 2008.

Montezemolo incrocia successivamente anche il suo impegno politico. Calenda - che dopo Confindustria ricopre ruoli nell'Interporto Campano e nell'Interporto Servizi Cargo - viene scelto come coordinatore politico di Italia Futura, e' il think tank economico del quale Luca Cordero è promotore e dal quale nascerà poi Scelta Civica. E' con questo partito che si candida alle ultime elezioni politiche, nella circoscrizione Lazio. Non viene eletto, ma questo non rappresenta una battuta d'arresto.

Viene invece nominato vice ministro allo Sviluppo Economico nel Governo Letta e confermato nel ruolo anche da Renzi. La sua delega al Commercio con l'Estero lo porta a condurre numerose delegazioni di imprenditori italiani all'estero e a promuovere gli investimenti stranieri in Italia, favorendo anche l'acquisto dall'estero di aziende italiane.

A gennaio 2016 Calenda viene nominato Rappresentante permanente dell'Italia presso l'Ue. Prima di rivestire l'incarico conclude però alcune missioni che aveva già avviato. La nomina è comunque una forte novità: si tratta di una posizione solitamente riservata ai diplomatici di carriera, mentre invece Calenda ci arriva con un ruolo decisamente più politico, una scelta che rompe una lunga tradizione e che, alcuni profetizzano, potrebbe inaugurare un nuovo metodo 'all'americana' da replicare anche in altre importanti ambasciate.

Il 10 maggio del 2016 viene nominato ministro dello Sviluppo economico.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/protagonisti/politica/2016/05/08/carlo-calenda_e3e287bf-4044-4400-80d9-48a617eedb6f.html
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 01, 2018, 12:21:20 pm »

Calenda: «Non siamo ruota di scorta di Di Maio, serve governo istituzionale»

«È chiaro che in tutti i programmi ci sono cose che possono essere messe insieme, ma la verità è che c'è una diversità fortissima tra M5S e Pd». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, alla trasmissione "1/2h in più" su Rai3, portando l'esempio di «due problemi» sul suo tavolo: Ilva e Tap. «La linea del M5s è di abbandonare il Tap e e di chiudere l'Ilva.

Il governo - ha proseguito - è fatto di queste scelte: come si fa a stare insieme se la quotidianità del governo poi diventa un conflitto continuo? E quanto bene questo fa al Paese? Io credo che è quello di cui il Paese non ha bisogno», ha proseguito. «Questo non vuol dire che non bisogna sedersi, bisogna sedersi sempre con tutti in politica.

Bisogna sedersi con una proposta che non può essere quella di fare la ruota di scorta di un governo di Di Maio», ha aggiunto Calenda.

Da parte del M5s «c'è ancora tantissima propaganda di un partito che fino a prima delle elezioni sosteneva che bisognava fare un referendum sull'euro e adesso dice che l'Unione economica e monetaria è salda», ha continuato Calenda: «Io - ha proseguito - non attribuisco grande credibilità a questo ondivago atteggiamento di Di Maio che, guarda caso, quando deve andare lui a Palazzo Chigi è pronto a cambiare in qualunque modo il programma del M5s».

Per Calenda, «questo è il tema: se Di Maio dicesse io sono d'accordo su queste cose, troviamo un compromesso istituzionale, non sono io a fare il presidente del Consiglio, levo tutte le pregiudiziali, perché voglio fare una cosa per il bene del Paese... vogliamo scommettere che questo non sarà. E se la leadership fosse messa in discussione quelle cose verrebbero messe in discussione e si andrebbe a riaprire con la Lega. Il problema è solo arrivare al governo, poi la linea, ne sono convinto, la daranno Grillo e Casaleggio», ha continuato.

Reintrodurre l'art.18? «Sarebbe sbagliato farlo», ha poi risposto il ministro dello Sviluppo, sottolineando «la linea riformista» del Pd, a proposito di una delle proposte sostenute dai 5 stelle.

All'Italia serve «un governo istituzionale, aperto alla partecipazione di tutti i partiti non composto da figure dei partiti e con obiettivi» che «siano condivisi», il rispetto «degli obblighi internazionali e che anche metta mano alla legge elettorale, ha poi sostenuto Calenda che non ha voluto dare un'identikit del premier ma si è detto contrario «a un governo di professori. Oggi la grande questione è gestire la realtà e la teoria ha mostrato dei limiti enormi».

Calenda ha sottolineato poi ancora gli elementi del M5s che «lo rendono alternativo al Pd». «Il primo è che un movimento che ha fatto della sua pretesa superiorità morale l'elemento distintivo. Ha passato l'ultima legislatura a dire "voi del Pd siete sostanzialmente dei farabutti"». Quindi, «il principio che io rappresento gli onesti e tu i delinquenti rende molto difficile la compatibilità di governo. Il secondo elemento - ha proseguito Calenda - è il fatto che il M5s ha una leadership carismatica, che non è Di Maio, ma Grillo e Casaleggio». Per cui, ha sostenuto ancora, «oggi il Pd in un governo presieduto da Di Maio che ruolo potrebbe avere se non quello di fare la ruota di scorta? Io non sono stato votato, ma ho fatto la campagna elettorale per il centrosinistra: io non saprei come spiegarlo a un elettore di centrosinistra che questa è la soluzione. Se la soluzione deve essere quella di assumersi una responsabilità, allora tutti la assumano, facendo tutti un passo indietro, magari lavorando su un governo istituzionale, che rifletta la situazione: nessuno ha vinto, certamente il Pd ha perso ma nessuno ha vinto».

«È molto importante che Matteo Renzi prenda la parola direttamente. Il Pd è fratturato da contrapposizioni per interposta persona e bisogna che si parli direttamente e non tramite i rispettivi 'pasdaran'», sono state ancora le parole Calenda che è tornato a rilanciare la proposta di una «segreteria allargata costituente» del partito «con Gentiloni che ha un ruolo fondamentale, Renzi, Veltroni e anche Enrico Letta». Una mossa che dovrebbe fare il segretario reggente Martina al quale, ha riconosciuto Calenda, «è stato affidato un compito improbo». Calenda ha sottolineato i meriti di Renzi nel ruolo di presidente del Consiglio pur ricordando di avere con lui «discusso di più di tutti».

Domenica 29 Aprile 2018 - Ultimo aggiornamento: 21:04

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - https://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/calenda_m5s_non_siamo_ruota_scorta_serve_governo_istituzionale-3700249.html
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 01, 2018, 05:41:14 pm »

L’algoritmo non ci salverà

“Il populismo non si combatte con il populismo. La politica deve motivare la gente ad arrivare al futuro”.

Governo, sinistra e no al M5s. Chiacchierata con Calenda

4 Maggio 2018 alle 16:42

Il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, e il ministro per lo Sviluppo economico, Carlo Calenda, sul palco del Foglio Tech Festival a Venezia, sabato 28 aprile
Pubblichiamo il testo dell’intervista di Claudio Cerasa al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, di sabato 28 aprile durante la prima edizione del Foglio Tech Festival a Venezia, presso la Scuola Grande della Misericordia

Claudio Cerasa. Comincerei con una domanda apparentemente banale, ma che contiene delle risposte potenziali interessanti. L’innovazione, ministro, può avere degli aggettivi, può essere buona o cattiva? E nel caso, come si definisce l’innovazione buona e quella cattiva?
Carlo Calenda. Intanto, l’innovazione è un processo e come tale è buona o cattiva a seconda di come il processo si svolge. Questo è un primo dato importantissimo, dal momento che noi oggi qui siamo in una comunità di persone che in larghissima maggioranza vedono nell'innovazione una potenzialità dell’uomo, e però questo è un sentimento sempre più minoritario, ed è un cambiamento epocale, perché dalla rivoluzione scientifica in poi non è mai accaduto che l’uomo – almeno quello non oscurantista, diciamo – si facesse una domanda vera sul progresso. Nessuno si è mai chiesto, tranne nel confronto con la chiesa, se il progresso era negativo o positivo. Questa domanda è in se stessa dirompente, ed è la domanda dei nostri giorni.

Cerasa. Che cosa fa paura oggi dell’innovazione e del futuro, anche nel rapporto con gli elettori? Perché c’è questo elemento di paura immaginando il domani?
Calenda. Io faccio un esempio usando un termine che ha due accezioni completamente opposte tra come lo vive chi innova, in larghissima parte il mondo privato, e come lo vivono i cittadini: parlo del termine “disruptive”, che traduciamo con “dirompente”. Noi veniamo negli ultimi 25 anni da un’idea sostanzialmente positiva di questo termine: per l’innovazione tecnologica, per il progresso scientifico, qualunque cosa è disruptive in senso positivo, perché porta una rottura verso l’avanti. Per la società, qualunque cosa disruptive è invece dirompente, nel senso di estremamente preoccupante. Il grande tema oggi è: come riconciliare una cosa che è positiva con il modo in cui questa cosa viene recepita nella società, che ha tempi di adattamento molto più lunghi. Io credo che il tema fondamentale sia la conoscenza, non solo la cultura e non solo la cultura tecnologica, perché lo iato che c’è oggi tra la capacità di comprendere e la velocità dell’innovazione è talmente enorme che rende l’innovazione spaventosa. Il lavoro che va fatto per dare i mezzi culturali e conoscitivi, e direi anche esistenziali, per comprendere il progresso è la grande sfida della politica.

Cerasa. In questo quadro c’è una parola che viene spesso utilizzata in maniera un po’ approssimativa ma che è centrale: disintermediazione. Noi ne parliamo spesso quando ci occupiamo di politica, ma vale anche per altri aspetti, pensiamo per esempio alla sfida tra i taxi e Uber. Di fronte alla disintermediazione la politica, e chi deve in qualche modo intermediare tra le istituzioni e gli elettori, come si deve porre? La disintermediazione è inevitabile o in alcuni casi la si deve evitare?

Calenda. Io sono convinto che la parola “inevitabile” abbia ucciso la società liberale: quando noi cominciamo a descrivere i fenomeni come inevitabili, la gente si urta notevolmente. E, normalmente, quando cominciamo a parlare di cose inevitabili, è perché non siamo in grado di giustificarne la positività. Quindi se c’è una cosa che dobbiamo cancellare, è l’idea che quando si parla di globalizzazione o di innovazione tecnologica noi diciamo che è inevitabile. La traduzione di “inevitabile” è: 1) è una sòla – perché questa è la traduzione che fanno tutti i cittadini; 2) sono davanti a un membro della classe dirigente che non ha nemmeno capito come spiegarmi che questo fenomeno è positivo. Dunque, la disintermediazione non è inevitabile, la globalizzazione non è inevitabile, l’innovazione tecnologica non è inevitabile. Cosa vuol dire questo? Che accade, certo che accade, ma le forme in cui accade possono essere molto diverse. E c’è un tema che è centrale, per i progressisti in particolare: la gestione delle transizioni. Pensate a questo paradosso: tutta la retorica progressista, dall’89 in avanti, è stata la seguente: il futuro è un posto meraviglioso, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica vanno linearmente verso un futuro che schiude enormi opportunità per tutti. Questi processi sono sostanzialmente semplici, perché lineari, e dunque il compito della politica qual è? Motivare la gente ad arrivare al futuro. Devo spiegare alla gente quanto è importante arrivare a questo futuro. Pensate invece alla retorica populista: non ha mai un riferimento al futuro, solo un riferimento all’oggi. C’è un’ingiustizia, ti dico che ti proteggerò. Te lo dico in modo sbagliato, ti illudo, però mi prendo cura dell’oggi. La politica non può non prendersi cura dell’oggi, perché una politica deve essere in grado di gestire le transizioni verso il futuro… Cosa ne faccio dei taxisti quando arriva Uber? La capacità di trovare il meccanismo di equilibrio, per cui puoi far entrare un’innovazione, ma lo fai portando la società con te e non spiazzandola, secondo me è la differenza tra la politica e la promozione. I progressisti sono stati per moltissimi anni dei promoter dell’innovazione e dei fenomeni della modernità, ma bisogna che cominciamo a essere dei gestori delle transizioni che portano alla modernità, che è molto più complesso, e che implica il lavoro sulle persone, perché in una società liberale le persone scelgono e scegliendo fanno la differenza su come si muove l’insieme della società. Ma se a un certo punto le persone non hanno i mezzi per capire e valutare, per cui hanno accesso a tantissimi beni materiali ma contemporaneamente hanno un gigantesco problema di analfabetismo funzionale, così com’è oggi, questa realtà prende direzioni completamente differenti. Ecco, la sfida dell’oggi e delle transizioni penso che sia la sfida per i progressisti di tutto il mondo.

Cerasa. Nelle sue parole c’è un elemento dirompente perché ha descritto un bipolarismo in cui ci sono il populismo e i conservatori, i cui nomi hanno ancora un senso: i populisti si rivolgono al popolo, i conservatori cercano di conservare ciò che di buono c’è nella società. Essendo invece il progresso quasi un problema, oggi, l’espressione progressisti sembra essere fuori dal mondo. Con quali parole chiare e immediate si potrebbe definire questo spazio?
Calenda. Per me, progressista è colui che vuole che l’uomo, e non i fenomeni che sono messi in moto dall’uomo, cresca e abbia la possibilità, attraverso la cultura e la conoscenza, di gestire quei fenomeni. A differenza di quello conservatore, il pensiero progressista è fortemente umanistico. Non è un pensiero economico e non è un pensiero tecnico: ripeto, è un pensiero umanistico. Questa dimensione dei progressisti è una dimensione che si è andata via via affievolendo. Se uno rilegge oggi un libro che è stato molto importante per i progressisti – si intitolava “La terza via”, conteneva l’idea del superamento della socialdemocrazia classica ed è quello che è stato poi interpretato da Blair e Clinton – capisce che quella roba lì non aveva niente a che fare con l’idea che c’era dietro alla terza via. In realtà ne sono stati presi i pezzi più facili, l’idea che lo stato dovesse rimpicciolirsi enormemente, l’idea che il mercato in qualunque condizione avrebbe portato dei benefici, che peraltro ha anche portato in larga parte al mondo. Il pezzo che non c’è in nessun programma è l’avanzamento umano e l’attenzione per la capacità dell’uomo di reggere una società liberale. Perché una società tradizionale è una società molto più semplice, una società in cui tu hai un dogma è una società molto più comprensibile. La ragione per cui oggi le autocrazie vincono sulle democrazie come modelli, è che sono molto più rassicuranti, non solo perché proteggono, ma perché il cittadino è messo dentro una serie di schemi entro i quali può agire e deve agire. Noi siamo una società in cui c’è stata una secolarizzazione fortissima, in cui sono caduti per il progresso economico e anche per la globalizzazione tutti gli schemi nei quali ci siamo riconosciuti: lo stato, la nazione si sono indeboliti. Che cosa serve per reggere il peso di una società del genere, che è molto più spaventosa? Serve la capacità culturale e conoscitiva dell’uomo, che è rimasta immensamente indietro, perché noi abbiamo pensato fondamentalmente che, costruendo un meccanismo economico liberale, l’uomo automaticamente avrebbe raggiunto gli strumenti che servono per sostenere il peso di questa società liberale. Non è così. Non funziona così. E questo mi spiace ma è un compito dello stato. In una società liberale, se lo stato non dà i mezzi al cittadino per sostenerla, le democrazie cadono. E’ già successo. L’idea di non poter tornare indietro è un’assurdità. L’illuminismo, che aveva questa idea di progresso lineare, forte, ha suscitato il romanticismo, e il nazionalismo come conseguenza del romanticismo. E non per ragioni economiche o di potenza, ma per ragioni di identità. Perché la cultura dà un senso alle persone. Allora se gli devi dare un senso diverso, devi trovare gli strumenti per farglielo trovare. La società liberale da questo punto di vista è la società più complicata in cui trovare un senso.

Cerasa. Sul tema della cultura dell’innovazione, se dovesse scegliere due grandi temi poco affrontati oggi nel dibattito pubblico ma che saranno centrali nel futuro dell’Italia, quali vedrebbe?
Calenda. Vedo, come prima sfida, la lotta all’analfabetismo funzionale. Ci sono aree del paese che sono già oggi escluse da qualsiasi sviluppo. La capacità di leggere un libro, di approfondire un argomento è esclusa. Le famiglie su questo hanno mostrato un limite, perché la famiglia in cui entrambi i genitori lavorano è una famiglia più difficile, per cui penso per esempio che la prima cosa da fare sarebbe istituire un tempo lungo in tutte le scuole e dedicarlo alla lettura, cosa che sta scomparendo. Chi ha figli combatte ogni giorno con i videogiochi – io ho dei figli, hanno il divieto di avere giochi elettronici, non li hanno mai avuti. Vedi che quando l’interfaccia è il mezzo elettronico, dopo un po’ la loro capacità di stare sulla pagina di un libro finisce. E quello è analfabetismo funzionale, non c’entra niente l’innovazione tecnologica: è una cosa che va combattuta, e per quanto difficile possa essere per un genitore, e lo è enormemente, se non combattiamo, se non sosteniamo la lettura, i nostri figli perderanno la capacità di acquisire non solo la tecnica, ma anche la bellezza, perché la bellezza è un grande equilibrio della sfera spirituale di ognuno soprattutto in una società laica. E questo è il primo investimento. Il secondo è quello che noi abbiamo cominciato a fare con l’Industria 4.0, e cioè stabilire un principio di base: gli unici imprenditori che si premiano sono quelli che investono. Noi non abbiamo la possibilità in Italia di abbassare le tasse a tutti comunque – cioè, l’abbiamo sempre durante i sessanta giorni della campagna elettorale, ma poi finisce – allora dobbiamo scegliere come allocare queste risorse, e non lo dobbiamo fare in modo dirigista. Io non so se una tecnologia prevale su un’altra: non voglio sostituirmi all’imprenditore, se no farei l’imprenditore. Però posso dire che dal punto di vista fiscale chi investe porta un valore, chi non investe fa la sua attività ugualmente ma deve essere premiato in modo diverso. Credo che queste due cose debbano andare insieme, e paradossalmente la cosa bella dell’innovazione è che mentre la globalizzazione l’abbiamo affrontata puramente da un punto di vista di efficienza economica – cioè porta più o meno lavoro, ci guadagniamo o no – l’innovazione rimette al centro l’uomo. Per la prima volta dopo tanti anni il dibattito politico non è più solo come faccio ad aumentare il pil, o come faccio a far crescere gli investimenti o a far assumere più persone. Per carità, è il mio lavoro tutti i giorni, ma diventa anche: come fa l’uomo a gestire questo potere immenso? Ed è bellissimo, perché la politica non ne parlava più… da quanto tempo?

 
Cerasa. In politica, però, chi determina i processi innovativi, prima ancora dei politici sono gli elettori, e gli elettori il 4 marzo hanno fatto una scelta. Che scelta hanno fatto: di portare il paese in avanti o indietro?
Calenda. Io ho un’idea precisa. Intanto hanno scelto sostanzialmente di mandarci a casa non tanto per quello che abbiamo fatto ma perché noi siamo stati totalmente ciechi nel non vedere che una pagina si era chiusa e che l’epoca della politica motivazionale era finita. E quando tu raccontavi e racconti alle persone che va tutto bene, dobbiamo andare avanti, il futuro è meraviglioso, non vi preoccupate, ci siamo noi, saremo più forti della Germania, la crisi è conclusa… questo crea un’alienazione gigantesca, E quando dici: ma tu non capisci la tecnologia, la modernità è meravigliosa, non ti rendi conto che in quel momento stai dicendo a milioni di persone, che sono spaventatissime da questa cosa, che sono degli imbecilli e che le loro paure valgono zero. Allora quella che è morta, ma era già morta e noi non ce ne siamo accorti, è l’epoca della politica motivazionale. Questa per me è la ragione di fondo della sconfitta. La seconda, una cosa che uno magari non si spiega, eppure durante la campagna elettorale l’ha sentita dire più volte: ma com’è possibile votare Di Maio, che ha fatto lo steward al San Paolo? Si pensa cioè a un apparente paradosso: per gestire un pezzo del mio futuro voto una persona che non ha competenze. Io mi sono permesso di dire che questo è un ragionamento assurdo, perché la politica nasce nella democrazia come rappresentanza. Tu rappresenti qualcosa: un sentimento di paura, un sentimento di rifiuto della modernità, l’idea che ci possano essere strade diverse… Qualsiasi di queste cose è legittima, e se tu dici a una persona: no, scusa, tu non puoi rappresentare queste cose perché non hai il cv, tutti gli altri che quel cv non ce l’anno, diranno: ma io in democrazia allora non posso scegliere? Allora, quella che è morta è la politica della competenza opposta alla politica dell’identità. La politica da quando nasce è rappresentanza, non è competenza e gestione della teoria economica. Non c’entra niente. Questo è stato un abbaglio per 25 anni. E’ finita. Nessuno elegge un’altra persona perché conosce perfettamente le teorie della Scuola di Chicago o il funzionamento dell’Europa. Questa cosa è nata nell’89, e ringrazio Dio che è morta, perché ha fatto prendere un abbaglio a tutta la politica moderna e ha spiazzato completamente i liberaldemocratici. Quelle paure bisogna recuperarle comprendendole. Riconoscendo gli elementi di verità, perché il fatto che tutto sia disruptive nella modernità è spaventoso per tutti e perché noi non conosciamo e non controlliamo le conseguenze delle cose che accadono. E solo se diamo cittadinanza e legittimità alle paure, poi possiamo affrontarle con calma, un pezzo per volta, dicendo anche, quando le cose non le sappiamo, “non lo sappiamo”. Io non posso garantire a nessuno che l’innovazione tecnologica sarà positiva per l’Italia. E chiunque oggi dica che è sicuro di poterlo fare sta prendendo in giro i cittadini. Perché non lo sappiamo. Però gli possiamo dire che ci prenderemo cura di gestire le transizioni. Quello che ci hanno detto il 4 marzo è: primo, andate a motivare la vostra famiglia o le liste ma non venite a motivare noi su dove sta andando l’universo, perché l’ultima volta ci avete dato una sòla clamorosa, stiamo ancora pagando il prezzo di un mondo che sembrava piatto e non lo è mai diventato. La seconda cosa è: tu rappresenti me, non me ne frega niente se conosci l’Europa, se sai correre la maratona. E se non sei in grado di rappresentare le mie paure, non me ne frega niente di quanto sei bravo, puoi pure essere bravissimo, non mi interessa.

Cerasa. Ma una politica fatta con gli algoritmi fa paura a Carlo Calenda? Perché oggi esiste un partito che esplicitamente ha scelto non di guidare i suoi follower, ma di farsi guidare. Un approccio di questo tipo è un pericolo o un’opportunità?
Calenda. Secondo me non è un pericolo, nel senso che non è vero che quel partito si lascia guidare dai follower, ma si lascia guidare da quello che dice Grillo, finché Grillo è nelle condizioni di poter dire che qualunque cosa succeda fa schifo, perché quando poi deve decidere se tener l’Ilva aperta o l’Ilva chiusa, il gioco finisce in un quarto d’ora. Non è questo il punto. Secondo me, il punto è di nuovo: se tu hai accesso a un universo di informazioni che è gigantesco, noi abbiamo dato per assodato che questo fosse un dato intrinsecamente positivo, un po’ come innovazione e mercato l’abbiamo considerato come la fisica newtoniana, cioè un processo sostanzialmente lineare. Tu hai più accesso alle informazioni quindi evolvi, capisci di più le cose: La globalizzazione, lo stesso: si aprono i mercati, tutti diventano più ricchi, più pacifici. Ora, la storia non è la fisica newtoniana, così come la stessa fisica non è più la fisica newtoniana, da Einstein in poi è una cosa molto diversa. Non c’è niente di lineare. L’universo ha dei buchi profondi. La storia è questa: non è vero che se hai maggiore accesso alle informazioni diventi più colto e più intelligente. E’ il contrario. Se hai più accesso alle informazioni, ti senti più disperato, meno capace di leggerle, sei più disorientato, sei molto più influenzabile da chi ti dà una soluzione semplice. Qui, di nuovo, il tema non è Grillo o Casaleggio. Io ho fatto una discussione con Casaleggio a un dibattito: ha fatto cinque slide di ovvietà stratosferiche. Non è Darth Vader… Ma il punto non è questo, il punto è nel meccanismo. Io mi sento totalmente spiazzato, non ho gli strumenti per capire, non sono in grado di leggere questa frammentazione dell’informazione, quindi se arriva un guru carismatico che dice vaffanculo a tutto questo, gli vado dietro. Ma se noi affrontiamo i Cinque stelle come se fossero la Morte Nera, gli diamo un ruolo che non è quello. La “cacchiata” l’abbiamo fatta noi, in relazione a quello spappolamento. Abbiamo detto: noi sappiamo tutto, conosciamo tutto e sappiamo dove andare. Il mio antidoto è: non costruiamo castelli giganteschi sul M5s, perché sono a mio avviso una reazione profonda a quei problemi. Il lavoro da fare è nel nostro campo, perché chi è andato fuori contatto con la società siamo noi. Loro ci andranno dopo un quarto d’ora che staranno al governo. Forse ci devono andare al governo.

Cerasa. Parola magica: il governo. Le parole chiave sono governo e ruolo di un’opposizione. Pochi giorni dopo il disastro elettorale del 4 marzo, Carlo Calenda si è iscritto al Partito democratico. E pochi giorni dopo ha detto: sono pronto a stracciare la tessera del Pd nel caso in cui il Pd dovesse fare un’alleanza di governo con i Cinque stelle. E’ una cosa che ci conferma anche oggi? E ci spiega per quale ragione?
Calenda. Mi rendo conto che sembra una presa di posizione arrogante, e però vorrei spiegarvene la logica. Io non sono stato eletto con i voti del Pd, ho fatto la campagna elettorale per il centrosinistra, ma non sono in Parlamento. La ragione della mia scelta di iscrivermi al Pd il giorno dopo le elezioni – mia moglie ancora non mi rivolge la parola, poi magari aveva ragione lei, perché le donne su questo hanno una percezione particolare – è stata questa: in Italia abbiamo bisogno che rimanga un partito che, come posso dire, sia capace di un’elaborazione. Di rispondere a sfide molto complicate articolando un pensiero che è radicato nella realtà. Questa è la ragione: voglio partecipare a far nascere questa cosa dentro al Pd, e penso che se non lo fa il Pd in questa situazione, in Italia non lo fa nessuno. Ma se il primo atto del Pd è quello di dire: io faccio un’alleanza politica, rispetto a chi ha un pensiero e un’idea della realtà, del presente e del futuro radicalmente diversa dalla mia, e soprattutto rispetto a chi presume di avere una superiorità morale – che è una cosa pericolosissima, perché la presunzione di superiorità morale è ciò che fa nascere i totalitarismi, da sempre – allora, se quello è il primo atto del Pd, io non mi sento più in quella comunità, e siccome non sono stato eletto con i loro voti ma sono un semplice militante, deciderei di andarmene. Dopo di che dico: certo che il Pd non può stare alla finestra, Siccome tutti dicono che non è una questione di poltrone, è una questione di responsabilità verso il paese, bene, allora il Pd si faccia portatore di un governo istituzionale, chieda: cari signori, quali sono i problemi dell’Italia? Mettiamoli su un piatto, nessuno fa il presidente del Consiglio di un governo politico, tutti ci assumiamo questa responsabilità e su questo mettiamo alla prova i Cinque stelle su questo sforzo di diventare classe dirigente rispetto all’approccio antisistema, che peraltro mi pare già finito. Un governo politico vorrebbe dire uccidere il Pd, che deve tornare a essere il pilastro di una visione concreta, radicata nella realtà. Tutto questo mi sembra talmente ovvio, talmente semplice che francamente il dibattito di queste ore è un po’ surreale. Cioè, può il Pd entrare in un governo presieduto da Di Maio, un governo in cui, mentre io sto cercando di chiudere l’accordo con i sindacati per far ripartire l’Ilva, il più grande stabilimento industriale di tutto il sud, loro fanno una mozione a Bruxelles per far chiudere l’Ilva? Io non ci credo che la soluzione giusta per l’Italia – lasciamo perdere per il Pd – sia di mettersi a fare questo accrocchio. E credo non lo sia nemmeno per i Cinque stelle: facciano il loro percorso, se ci riescono. Se non ci riescono, una proposta il Pd la deve fare, perché il tanto peggio tanto meglio non è degno di nessun partito.

Cerasa. Ma come finisce? Se oggi dovesse scommette“Il populismo non si combatte con il populismo.re un caffè sulla possibile soluzione, come vede la possibile conclusione di questo percorso?
Calenda. Non lo so, ci sono mille variabili possibili, io penso che l’Italia abbia bisogno di un governo nel pieno delle sue funzioni, con una larga base parlamentare, perché le cose che dobbiamo affrontare, al di là di quello che abbiamo detto oggi, sono comunque dirompenti, perché siamo alla frontiera geopolitica dell’Europa, una frontiera molto più traballante, con un occidente fratturato, con un debito pubblico che ci espone enormemente. Ci vuole qualcosa di solido. Se la possiamo fare con senso di responsabilità o facendo tutti un passo indietro in un governo istituzionale, secondo me è una cosa intelligente. Comunque sia, non deve essere una soluzione per due mesi o quindici giorni.

Da - https://www.ilfoglio.it/il-foglio-tech-festival/2018/05/04/news/lalgoritmo-non-ci-salvera-192951/
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« Risposta #7 inserito:: Giugno 28, 2018, 05:06:26 pm »

Il manifesto politico di Carlo Calenda

Un’alleanza repubblicana oltre gli attuali partiti.
Cinque idee per cominciare

Di Carlo Calenda
27 Giugno 2018 alle 06:22

Un’altra Italia è possibile

Caro direttore.
Dall’89 in poi i partiti progressisti hanno sposato una visione semplificata e ideologica della storia. L’idea che l’avvento di un mondo piatto, specchio dell’Occidente, fondato su: mercati aperti, multiculturalismo, secolarizzazione, multilateralismo, abbandono dello stato nazionale, generale aumento della prosperità e mobilità sociale, fosse una naturale conseguenza della caduta del comunismo si è rivelata sbagliata. Oggi l’Occidente è a pezzi, le nostre società sono divise in modo netto tra vincitori e vinti, la classe media si è impoverita, la distribuzione della ricchezza ha raggiunto il livello degli anni Venti, l’analfabetismo funzionale aumenta insieme a fenomeni di esclusione sociale sempre più radicali. La democrazia liberale è entrata in crisi in tutto il mondo e forme di democrazia limitata o populista si vanno affermando anche in Occidente. La Storia è prepotentemente tornata sulla scena del mondo occidentale. Viceversa la globalizzazione ha portato benessere in Asia e in molti paesi emergenti, dove aumentano i divari sociali e culturali, ma in un contesto di crescita generale. Anche all’interno delle società Occidentali la competizione e i mercati aperti hanno portato allo sviluppo di eccellenze produttive e tecnologiche che sono però ancora troppo poche per generare benessere diffuso.

Occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Il debito e gli investitori

L’Unione Europea è figlia di una fase “dell’Occidente trionfante” da cui ha assunto un modello di governance politica debole, lenta e intergovernativa. L’Eurozona al contrario ha definito una governance finanziaria rigida ispirata da una profonda mancanza di fiducia tra “Sud e Nord”, incapace di favorire la convergenza, gestire gli shock senza scaricarli sui ceti deboli e promuovere la crescita e l’inclusione. Tutte queste pecche sono frutto di scelte degli Stati membri e non della Commissione Europea o dell’Europa in quanto tale.

La crisi dell’Occidente ha portato alla crisi delle classi dirigenti progressiste che hanno presentato fenomeni complessi, globalizzazione e innovazione tecnologica prima di tutto, come univocamente positivi, inevitabili e ingovernabili allontanando così i cittadini dalla partecipazione politica. Allo stesso modo l’idealizzazione del futuro come luogo in cui grazie alla meccanica del mercato e dell’innovazione il mondo risolverà ogni contraddizione, ha ridotto la narrazione progressista a pura politica motivazionale. Il risultato è stato l’esclusione del diritto alla paura dei cittadini e l’abbandono di ogni rappresentanza di chi quella paura la prova. I progressisti sono inevitabilmente diventati i rappresentanti di chi vive il presente con soddisfazione e vede il futuro come un’opportunità.

I prossimi 15 anni saranno probabilmente tra i più difficili che ci troveremo ad affrontare da un secolo a questa parte, in particolare per i paesi occidentali.

La sfida si giocherà da oggi al 2030. In questa decade le forze del mercato, della demografia e dell’innovazione porteranno a una drammatica collisione a meno di non correggerne e governarne la traiettoria. L’invecchiamento della popolazione porterà il tasso di dipendenza tra popolazione in età lavorativa e popolazione in età pensionistica vicino al rapporto di 1 a 1. Ciò avrà due conseguenze rilevanti: l’insostenibilità dei sistemi pensionistici e la diminuzione strutturale del tasso di crescita delle economie. Negli ultimi 65 anni infatti un terzo della crescita è derivata dall’aumento della forza lavoro. L’effetto potenzialmente positivo su stipendi e occupazione della riduzione di forza lavoro (meno persone dunque più domanda e meno offerta) sarà controbilanciata, dall’automazione. Ad un aumento della produttività derivante dall’innovazione tecnologica vicino al 30 per cento entro il 2030, corrisponderà la scomparsa del 20-25 per cento dei lavori che esistono oggi. L’aumento della produttività e la diminuzione dei posti di lavoro non si distribuiranno in modo omogeneo nei diversi settori. Le nuove professioni che si svilupperanno con l’innovazione saranno in grado di coprire i posti di lavoro perduti solo se politiche pubbliche adeguate verranno messe immediatamente in campo.

Se ciò non accadrà aumenteranno le diseguaglianze tra categorie di lavoratori e lo squilibrio tra salari e profitti.

Il cambio di paradigma economico avverrà ad una velocità mai sperimentata nella Storia. Le nostre democrazie, colpite da una gestione superficiale della globalizzazione, non possono sopravvivere a un secondo shock di dimensione molto superiori. Lo scenario che abbiamo sopra descritto richiederà un impegno diretto dello Stato in una dimensione mai sino ad ora sperimentata.

Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export. Posizione intransigente sul dumping

L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà. Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale. Per farlo è necessario definire un manifesto di valori e di proposte e rafforzare la rappresentanza di parti della società che non possono essere riassunti in una singola base di classe. Un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti e aggreghi i mondi della rappresentanza economica, sociale, della cultura, del terzo settore, delle professioni, dell’impegno civile. Abbiamo bisogno di offrire uno strumento di mobilitazione ai cittadini che non sia solo una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5s.

Le priorità di questo programma sono:
Tenere in sicurezza l’Italia. Sotto il profilo economico e finanziario: occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Deficit e debito vanno tenuti sotto controllo, non perché ce lo chiede l’Europa ma perché è indispensabile per trovare compratori per il nostro debito pubblico. Sotto il profilo della gestione dei flussi migratori proseguire il “piano Minniti” per fermare gli sbarchi. Accelerare il lavoro sugli accordi di riammissione e gestione dei migranti nei paesi di transito e origine secondo lo schema del “Migration Compact” proposto dall’Italia alla UE. Creare canali di ingresso regolari e selettivi. Occorre infine ribadire con forza la nostra appartenenza all’Occidente, all’alleanza atlantica e al gruppo dei paesi fondatori dell’Ue, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso.

 Proteggere gli sconfitti. Rafforzando gli strumenti come il reddito di inclusione, nuovi ammortizzatori sociali, le politiche attive e l’apparato di gestione delle crisi aziendali in particolare quanto causate dalla concorrenza sleale di paesi che usano fondi europei e i vantaggi derivanti da un diverso grado di sviluppo per sottrarci posti di lavoro. Approvare il salario minimo per chi non è protetto da contratti nazionali o aziendali. Allargare ad altri settori fragili il modello del protocollo sui call-center per responsabilizzare le aziende e impegnarle su salari e il no a delocalizzazioni.

Ribadire la nostra appartenenza all’occidente, all’alleanza atlantica e all’Unione europea, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso

Investire nelle trasformazioni, per allargare la base dei vincenti, su infrastrutture materiali e immateriali (università, scuola e ricerca). Finanziare un piano di formazione continua per accompagnare la rivoluzione digitale. Proseguire il piano impresa 4.0 e portare a 100.000 i diplomati degli Istituti Tecnici Superiori. Implementare la Strategia Energetica Nazionale e velocizzare i 150 miliardi di euro previsti per raggiungere i target ambientali di CoP21. Aumentare la dotazione dei contratti di sviluppo e del fondo centrale di Garanzia per ricostituire al Sud la base industriale che serve per rilanciarlo. Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza. Prevedere un meccanismo automatico di destinazione dei proventi della lotta all’evasione fiscale alla diminuzione delle tasse, partendo da quelle sul lavoro.

Promuovere l’interesse nazionale in UE e nel mondo. Riconoscendo che non esistono le condizioni storiche oggi per superare l’idea di nazione. Al contrario abbiamo bisogno di un forte senso della patria per stare nel mondo e in UE. Partecipando al processo di costruzione di una Unione sempre più forte, in particolare nella dimensione esterna (migrazioni, difesa, commercio), tra il nucleo dei membri storici ma ribadendo la contrarietà all’inserimento del fiscal compact nei trattati europei e all’irrigidimento delle regole sulle banche. Promuovere la rimozione dei limiti temporali sulla flessibilità legata a riforme e investimenti approvata sotto la Presidenza italiana della UE. Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export, ma mantenere una posizione intransigente sul dumping rafforzando clausole sociali e ambientali nei trattati.

Conoscere. Piano shock contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura. E’ nostra ferma convinzione che una liberal democrazia non può convivere con l’attuale livello di cultura e conoscenza. L’idea di libertà come progetto collettivo deve essere posta nuovamente al centro del progetto di rifondazione dei progressisti.

Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza

Il crocevia della Storia che stiamo vivendo alimenta paure che non sono irrazionali o sintomo di ignoranza. Abbiamo davanti domande epocali a cui nessuno può pensare di dare risposte semplicistiche. La tecnologia rimarrà uno strumento dell’uomo o farà dell’uomo un suo strumento? lo spostamento di potere verso oriente, conseguente alla globalizzazione innescherà una guerra o avverrà, per la prima volta nella Storia, pacificamente? Le nostre società sono destinate a una stagnazione secolare?

Occorre affermare con forza che la paura ha diritto di cittadinanza. E rifondare su questo principio l’idea che compito della politica è rappresentare, anche e soprattutto, le attuali insicurezze dei cittadini. La competenza non può sostituire la rappresentanza come l’inesperienza non può essere confusa con la purezza. Questo vuol dire prendersi cura del presente e gestire le transizioni piuttosto che idealizzare il futuro, esorcizzare le paure e affidarsi alla teoria economica e alla meccanica del mercato e dell’innovazione tecnologica, come processi naturali che rendono ogni azione di Governo inutile e ogni processo dirompente inevitabile.

Per fare tutto ciò occorre tornare ad avere uno Stato forte, ma non invasivo che garantisca in primo luogo ai cittadini gli strumenti per comprendere i processi di cambiamento e per trovare la propria strada NEI processi di cambiamento, ma che non butti i soldi pubblici per nazionalizzare Alitalia o Ilva. Stato forte vuol dire burocrazia efficiente e dunque una rivoluzione nel modo di concepire, regolare e retribuire la pubblica amministrazione. L’Italia ha bisogno poi di un’architettura istituzionale che coniughi maggiore autonomia alle regioni con una clausola di supremazia dell’interesse nazionale che consenta di superare i veti locali. Esiste un altro nemico da battere ed è il cinismo e l’apatia che di una larga parte della classe dirigente italiana. Dai media alla politica, dalle associazioni di rappresentanza agli intellettuali l’idea che ogni passione civile sia spenta e che si possa contemplare “Roma che brucia” con la “lira in mano” godendosi lo spettacolo, è diventata una posa tanto diffusa quanto insopportabile. La battaglia che abbiamo di fronte si vince anche sconfiggendo il cinismo dei sostenitori di un “paese fai da te”.

Si può fare: L’Italia è più forte di chi la vuole debole!

Da - https://www.ilfoglio.it/politica/2018/06/27/news/il-manifesto-politico-di-carlo-calenda-202545/
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 04, 2018, 05:42:18 pm »

Il manifesto politico di Carlo Calenda

Un’alleanza repubblicana oltre gli attuali partiti.

Cinque idee per cominciare

Di Carlo Calenda

27 Giugno 2018 alle 06:22

Un’altra Italia è possibile

Caro direttore.
Dall’89 in poi i partiti progressisti hanno sposato una visione semplificata e ideologica della storia. L’idea che l’avvento di un mondo piatto, specchio dell’Occidente, fondato su: mercati aperti, multiculturalismo, secolarizzazione, multilateralismo, abbandono dello stato nazionale, generale aumento della prosperità e mobilità sociale, fosse una naturale conseguenza della caduta del comunismo si è rivelata sbagliata. Oggi l’Occidente è a pezzi, le nostre società sono divise in modo netto tra vincitori e vinti, la classe media si è impoverita, la distribuzione della ricchezza ha raggiunto il livello degli anni Venti, l’analfabetismo funzionale aumenta insieme a fenomeni di esclusione sociale sempre più radicali. La democrazia liberale è entrata in crisi in tutto il mondo e forme di democrazia limitata o populista si vanno affermando anche in Occidente. La Storia è prepotentemente tornata sulla scena del mondo occidentale. Viceversa la globalizzazione ha portato benessere in Asia e in molti paesi emergenti, dove aumentano i divari sociali e culturali, ma in un contesto di crescita generale. Anche all’interno delle società Occidentali la competizione e i mercati aperti hanno portato allo sviluppo di eccellenze produttive e tecnologiche che sono però ancora troppo poche per generare benessere diffuso.

Occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Il debito e gli investitori

L’Unione Europea è figlia di una fase “dell’Occidente trionfante” da cui ha assunto un modello di governance politica debole, lenta e intergovernativa. L’Eurozona al contrario ha definito una governance finanziaria rigida ispirata da una profonda mancanza di fiducia tra “Sud e Nord”, incapace di favorire la convergenza, gestire gli shock senza scaricarli sui ceti deboli e promuovere la crescita e l’inclusione. Tutte queste pecche sono frutto di scelte degli Stati membri e non della Commissione Europea o dell’Europa in quanto tale.

La crisi dell’Occidente ha portato alla crisi delle classi dirigenti progressiste che hanno presentato fenomeni complessi, globalizzazione e innovazione tecnologica prima di tutto, come univocamente positivi, inevitabili e ingovernabili allontanando così i cittadini dalla partecipazione politica. Allo stesso modo l’idealizzazione del futuro come luogo in cui grazie alla meccanica del mercato e dell’innovazione il mondo risolverà ogni contraddizione, ha ridotto la narrazione progressista a pura politica motivazionale. Il risultato è stato l’esclusione del diritto alla paura dei cittadini e l’abbandono di ogni rappresentanza di chi quella paura la prova. I progressisti sono inevitabilmente diventati i rappresentanti di chi vive il presente con soddisfazione e vede il futuro come un’opportunità.

I prossimi 15 anni saranno probabilmente tra i più difficili che ci troveremo ad affrontare da un secolo a questa parte, in particolare per i paesi occidentali.

La sfida si giocherà da oggi al 2030. In questa decade le forze del mercato, della demografia e dell’innovazione porteranno a una drammatica collisione a meno di non correggerne e governarne la traiettoria. L’invecchiamento della popolazione porterà il tasso di dipendenza tra popolazione in età lavorativa e popolazione in età pensionistica vicino al rapporto di 1 a 1. Ciò avrà due conseguenze rilevanti: l’insostenibilità dei sistemi pensionistici e la diminuzione strutturale del tasso di crescita delle economie. Negli ultimi 65 anni infatti un terzo della crescita è derivata dall’aumento della forza lavoro. L’effetto potenzialmente positivo su stipendi e occupazione della riduzione di forza lavoro (meno persone dunque più domanda e meno offerta) sarà controbilanciata, dall’automazione. Ad un aumento della produttività derivante dall’innovazione tecnologica vicino al 30 per cento entro il 2030, corrisponderà la scomparsa del 20-25 per cento dei lavori che esistono oggi. L’aumento della produttività e la diminuzione dei posti di lavoro non si distribuiranno in modo omogeneo nei diversi settori. Le nuove professioni che si svilupperanno con l’innovazione saranno in grado di coprire i posti di lavoro perduti solo se politiche pubbliche adeguate verranno messe immediatamente in campo.

Se ciò non accadrà aumenteranno le diseguaglianze tra categorie di lavoratori e lo squilibrio tra salari e profitti.

Il cambio di paradigma economico avverrà ad una velocità mai sperimentata nella Storia. Le nostre democrazie, colpite da una gestione superficiale della globalizzazione, non possono sopravvivere a un secondo shock di dimensione molto superiori. Lo scenario che abbiamo sopra descritto richiederà un impegno diretto dello Stato in una dimensione mai sino ad ora sperimentata.

Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export. Posizione intransigente sul dumping

L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà. Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale. Per farlo è necessario definire un manifesto di valori e di proposte e rafforzare la rappresentanza di parti della società che non possono essere riassunti in una singola base di classe. Un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti e aggreghi i mondi della rappresentanza economica, sociale, della cultura, del terzo settore, delle professioni, dell’impegno civile. Abbiamo bisogno di offrire uno strumento di mobilitazione ai cittadini che non sia solo una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5s.

Le priorità di questo programma sono:
Tenere in sicurezza l’Italia. Sotto il profilo economico e finanziario: occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Deficit e debito vanno tenuti sotto controllo, non perché ce lo chiede l’Europa ma perché è indispensabile per trovare compratori per il nostro debito pubblico. Sotto il profilo della gestione dei flussi migratori proseguire il “piano Minniti” per fermare gli sbarchi. Accelerare il lavoro sugli accordi di riammissione e gestione dei migranti nei paesi di transito e origine secondo lo schema del “Migration Compact” proposto dall’Italia alla UE. Creare canali di ingresso regolari e selettivi. Occorre infine ribadire con forza la nostra appartenenza all’Occidente, all’alleanza atlantica e al gruppo dei paesi fondatori dell’Ue, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso.

 Proteggere gli sconfitti. Rafforzando gli strumenti come il reddito di inclusione, nuovi ammortizzatori sociali, le politiche attive e l’apparato di gestione delle crisi aziendali in particolare quanto causate dalla concorrenza sleale di paesi che usano fondi europei e i vantaggi derivanti da un diverso grado di sviluppo per sottrarci posti di lavoro. Approvare il salario minimo per chi non è protetto da contratti nazionali o aziendali. Allargare ad altri settori fragili il modello del protocollo sui call-center per responsabilizzare le aziende e impegnarle su salari e il no a delocalizzazioni.

Ribadire la nostra appartenenza all’occidente, all’alleanza atlantica e all’Unione europea, come garanzia di stabilità, sicurezza e progresso

Investire nelle trasformazioni, per allargare la base dei vincenti, su infrastrutture materiali e immateriali (università, scuola e ricerca). Finanziare un piano di formazione continua per accompagnare la rivoluzione digitale. Proseguire il piano impresa 4.0 e portare a 100.000 i diplomati degli Istituti Tecnici Superiori. Implementare la Strategia Energetica Nazionale e velocizzare i 150 miliardi di euro previsti per raggiungere i target ambientali di CoP21. Aumentare la dotazione dei contratti di sviluppo e del fondo centrale di Garanzia per ricostituire al Sud la base industriale che serve per rilanciarlo. Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza. Prevedere un meccanismo automatico di destinazione dei proventi della lotta all’evasione fiscale alla diminuzione delle tasse, partendo da quelle sul lavoro.

Promuovere l’interesse nazionale in UE e nel mondo. Riconoscendo che non esistono le condizioni storiche oggi per superare l’idea di nazione. Al contrario abbiamo bisogno di un forte senso della patria per stare nel mondo e in UE. Partecipando al processo di costruzione di una Unione sempre più forte, in particolare nella dimensione esterna (migrazioni, difesa, commercio), tra il nucleo dei membri storici ma ribadendo la contrarietà all’inserimento del fiscal compact nei trattati europei e all’irrigidimento delle regole sulle banche. Promuovere la rimozione dei limiti temporali sulla flessibilità legata a riforme e investimenti approvata sotto la Presidenza italiana della UE. Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export, ma mantenere una posizione intransigente sul dumping rafforzando clausole sociali e ambientali nei trattati.

Conoscere. Piano shock contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura. E’ nostra ferma convinzione che una liberal democrazia non può convivere con l’attuale livello di cultura e conoscenza. L’idea di libertà come progetto collettivo deve essere posta nuovamente al centro del progetto di rifondazione dei progressisti.

Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza

Il crocevia della Storia che stiamo vivendo alimenta paure che non sono irrazionali o sintomo di ignoranza. Abbiamo davanti domande epocali a cui nessuno può pensare di dare risposte semplicistiche. La tecnologia rimarrà uno strumento dell’uomo o farà dell’uomo un suo strumento? lo spostamento di potere verso oriente, conseguente alla globalizzazione innescherà una guerra o avverrà, per la prima volta nella Storia, pacificamente? Le nostre società sono destinate a una stagnazione secolare?

Occorre affermare con forza che la paura ha diritto di cittadinanza. E rifondare su questo principio l’idea che compito della politica è rappresentare, anche e soprattutto, le attuali insicurezze dei cittadini. La competenza non può sostituire la rappresentanza come l’inesperienza non può essere confusa con la purezza. Questo vuol dire prendersi cura del presente e gestire le transizioni piuttosto che idealizzare il futuro, esorcizzare le paure e affidarsi alla teoria economica e alla meccanica del mercato e dell’innovazione tecnologica, come processi naturali che rendono ogni azione di Governo inutile e ogni processo dirompente inevitabile.

Per fare tutto ciò occorre tornare ad avere uno Stato forte, ma non invasivo che garantisca in primo luogo ai cittadini gli strumenti per comprendere i processi di cambiamento e per trovare la propria strada NEI processi di cambiamento, ma che non butti i soldi pubblici per nazionalizzare Alitalia o Ilva. Stato forte vuol dire burocrazia efficiente e dunque una rivoluzione nel modo di concepire, regolare e retribuire la pubblica amministrazione. L’Italia ha bisogno poi di un’architettura istituzionale che coniughi maggiore autonomia alle regioni con una clausola di supremazia dell’interesse nazionale che consenta di superare i veti locali. Esiste un altro nemico da battere ed è il cinismo e l’apatia che di una larga parte della classe dirigente italiana. Dai media alla politica, dalle associazioni di rappresentanza agli intellettuali l’idea che ogni passione civile sia spenta e che si possa contemplare “Roma che brucia” con la “lira in mano” godendosi lo spettacolo, è diventata una posa tanto diffusa quanto insopportabile. La battaglia che abbiamo di fronte si vince anche sconfiggendo il cinismo dei sostenitori di un “paese fai da te”.

Si può fare: L’Italia è più forte di chi la vuole debole!

Da - https://www.ilfoglio.it/politica/2018/06/27/news/il-manifesto-politico-di-carlo-calenda-202545/
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« Risposta #9 inserito:: Luglio 06, 2018, 04:20:03 pm »

Concordo, Calenda è il nome che potrebbe ricostruire un PD credibile... che non insegue.

Propone, costruisce.

Senza sconti, né all'interno né fuori... purtroppo le coalizioni che si formano intorno a Zingaretti, pur avendo senso, non sono l’anima possibile di un Pd che si deve ridefinire e proporre innanzi tutto ai propri iscritti senza ambiguità.

In area Zingaretti mi sembra ci sia troppa simpatia per le componenti della sinistra che fanno guerra al PD da dentro.

Ben vengano le larghe intese, ma per chi si iscrive al PD deve essere chiara la linea del Partito.



Umberto Minopoli

Oggi Mieli, ottimo articolo, scoperchia la pentola del Pd e solleva l’allarme: il Pd è spento, inerte, silente, inutile.
Questo governo non è minimamente preoccupato dell’opposizione. Oggi le critiche ai gialloverdi vengono dalla Confindustria, dalla Banca d’Italia, persino dall’Inps.
Ma l’opposizione parlamentare è un colabrodo. Peggio: le uniche iniziative economiche annunciate da membri del Pd sono due proposte (Damiano e Orlando), su pensioni e mercato del lavoro, che copiano e supportano le scellerate proposte dei 5 Stelle e di Maio. Proposte fatte di sponda con la Cgil che tratta Di Maio come “ministro amico”. Il Pd è caduto, un po’ da babbeo, nella trappola: concentrarsi nella battaglia frontale, simbolica e impopolare a Salvini e sbracare, impotente e complice, sulla politica sociale di Di Maio. Che è ben più pericolosa delle bullonate di Salvini: smonta le riforme dei governi Pd e mina alle basi la ripresa del Paese. Oggi, ha ragione Mieli, nel Pd è rintracciabile solo una linea politica: sperare, passivamente, contraddizioni crescenti tra Lega e 5 Stelle, nella rottura tra i due per offrirsi poi ai 5 Stelle. Si illudono di fare, denuncia Mieli, come nel 94: quando la Lega impose il ribaltone per rovesciare Berlusconi. La sinistra si prestò. Fu la sua tragedia: Berlusconi vinse e, per 20 anni, dominò la scena italiana. E la sinistra non lo batte’ mai più nelle urne. Ora un Pd, scandalosamente passivo, risogna il ribaltone. Essendo più debole che nel 94 e con un possibile alleato (5 Stelle) che è il doppio di lui. Purtroppo nel Pd questo è oggi l’humus dominante. Nessuno si alza a denunciare questo remake sciagurato del 94, la ripetizione di una tragedia che si materializzerà come farsa. Sabato, per la terza volta in tre mesi dal 5 marzo, all’Assemblea del Pd non si parlerà di politica, di opposizione, di iniziative per fermare il governo ma di date, rinvii, compromessi tra correnti sui calendari interni, in attesa delle decisioni dei capetti (chi si candida, se si fanno le primarie, chi sta con chi ecc). Penoso. Si capisce che Salvini sogna 30 anni di Lega. A Berlusconi nel 94 riuscì. Perchè, visto lo stato del Pd, non dovrebbe pensarci? Verrebbe da chiedersi, amaramente, con Totò: “ma il Pd serve? ...dottò, la serva non serve”. Occorrerebbe una scossa: una figura che sconvolga il tran tran dei capetti, li metta (politicamente) all’angolo e imponga un’altra agenda politica. Forse solo Calenda col sostegno di Renzi...

Da Fb del 5 luglio 2018
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