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Autore Discussione: Leonardo Padura Fuentes Il segreto di Cuba? È l’altro Mediterraneo  (Letto 2456 volte)
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« inserito:: Settembre 11, 2008, 05:49:40 pm »

Il segreto di Cuba? È l’altro Mediterraneo

Leonardo Padura Fuentes


Ho sempre pensato che uno degli eventi più drammatici della storia sia che Cristoforo Colombo non ha mai saputo di aver scoperto un nuovo mondo, che si sarebbe poi chiamato America. La sua ostinazione e l’audace convinzione che navigando verso l’occidente si arrivasse all’estremo oriente, ricco di spezie e oro, gli impedì di capire che fra un punto e l’altro esisteva un intero continente alle cui prime isole approdò proprio quando l’ammutinamento e la corda dei suoi marinai gli stavano quasi al collo.

Per sua fortuna di mortale e per la sua immortalità storica, il genovese che navigava sotto bandiera spagnola arrivò alla terra insperata che gli avrebbe salvato la vita e che avrebbe continuato ad esplorare nei dieci anni a venire, determinato a trovare le tracce dei regni remoti di Catay e Cipango, che aveva promesso ai suoi patroni, e che doveva trovare per confermare il valore economico e geografico della sua impresa. L’apetto significativo della scoperta geografica - considerato, a ragione, da Alejo Carpentier come l’evento più importante della storia - è, senza dubbio, che Colombo non «scoprì» l’America, ma solo i Caraibi. Navigando per quelle isole e quelle coste, senza immaginare l’estensione della terra, le montagne, le culture che esistevano oltre il suo sguardo, Colombo, genovese e uomo del Mediterraneo iniziò, con la sua presenza e quella dei suoi uomini - cristiani, ebrei, mori convertiti - una storia che, ben presto, sarebbe stata una replica moderna della grande avventura umana e culturale che, dall’antichità, centinaia di uomini, razze e modi di vita avevano sperimentato nella cornice geografica più importante della cultura occidentale: il Mediterraneo.

Non pretendo di rivelare niente di nuovo quando dico che i Caraibi sono il Mediterraneo americano. Però varrebbe la pena ricordare quali ragioni abbiano reso questa zona dell’America la più vitale e convulsa nella storia e nella cultura del Nuovo Mondo, e di conseguenza abbiano creato uno scenario propizio in cui oggi nascono alcuni dei processi etnici e culturali più trascendenti dell’umanità. Motivi storici ben noti potrebbero riempire pagine e libri, però, come è stato per il Mediterraneo, sembra che ci sia una particolare condizione al fondo e alla superficie di tutto: la mezcla (mescolanza, miscuglio, ndt). Zona di confluenza di quasi tutte le culture del mondo contemporaneo, nei Caraibi si è creata, nel corso degli ultimi cinque secoli, l’unione delle nazionalità e delle lingue europee più diverse - dagli spagnoli (non erano andalusi, catalani, castigliani, aragonesi, estremegni...?) ai portoghesi, dagli olandesi agli inglesi, dai tedeschi ai francesi - , in una convivenza necessaria con le differenti tribù originarie della zona - caraibici, arahuaco, maya, seminole - e, subito dopo, con numerose culture africane - yoruba, bantu, mandinga, angolana -, alle quali si sarebbero aggiunti, nei secoli successivi, schiere di hindù, giapponesi, cinesi, capaci di creare nella convivenza un impressionante caleidoscopio di abitudini, religioni, lingue e modi di vita, di amare e perfino di morire mai visti prima in tutta la storia dell’umanità, e disposti a mischiarsi per dar origine a questa combinazione effervescente che è la vita e l’uomo nei Caraibi.

Inoltre dovrei dire che come figlio dei caraibi, nato in una città cosmopolita ed essenzialmente mulatta come l’Avana - punto di incontro di tante idiosincrasie e storie - sono un difensore a oltranza della mezcla culturale e umana come genesi di una cultura e una umanità migliore. Pertanto non è casuale che quando ho visitato l’Europa le mie predilezioni affettive si sono rivolte a paesi come l’Italia e la Spagna, essenzialmente mediterranei, e in questi paesi nelle città così bastarde, ibride e quindi vitali come Barcellona, Marsiglia, Napoli o Genova, sempre con la faccia rivolta verso il mare Mediterraneo da cui hanno ereditato tutto il loro carattere, le loro avventure e disavventure, attraverso il corso dei secoli della storia del mondo occidentale.

Questa convivenza con il diverso, la capacità di assimilare tutto ciò che arriva via terra e via mare, che ha reso e rende differente l’uomo del Mediterraneo dagli abitanti di altre regioni più fredde e «pure» dell’Europa, si è riprodotto anche in queste isole e terre bagnate dal mare dei Caraibi. Così, grazie alla mescolanza profonda e essenziale nella quale sono stati coinvolti i suoi abitanti, il mondo gode oggi di alcuni dei contributi culturali più stimolanti a livello universale, e che sempre con maggior forza espandono la loro influenza fino a confini inimmaginati. Senza dubbio il caso più conosciuto è quello della musica chiamata «afroantillana» o «afrocaraibica», che da New Orleans a Bahìa di San Salvador, da Veracruz a Cartagena delle Indie, passando per Cuba, Santo Domingo, Giamaica, Porto Rico e infinità di isole, ha condito il mondo con ritmi così trascendenti come il jazz, la musica cubana, il calipso, il regaee e il bossa nova brasiliano, oltre a modalità tanto diffuse come il bolero, la habanera, il «danzòn» o il merengue - fra tanti altri - e, come culmine, quell’ibrido di tutto il suonabile e ballabile che è la mezcla musicale e culturale che oggi muove il mondo sotto il nome di salsa.

Per questo, a ragione, si dice che tre tipi di musica muovono oggi il mondo intero: la cubana, la brasiliana e la nordamericana. Però, al di là delle appartenenze nazionali, ciascuno di questi fenomeni culturali è di origine ed essenza caraibica e le sue radici, piene di colori fino ad apparire quasi dissonanti, deve molto alle musiche europee e africane, mischiate dalla vita e dalla storia caraibica. Quindi, viva la mezcla!

Più di recente il mondo occidentale ha iniziato a scoprire, con novità e stupore, altri apporti culturali non meno trascendenti, figli di questa mescolanza propria del Mediterraneo americano. E uno di questi - ben accolto nei recenti tempi di crisi dei valori morali e spirituali - è stato il ricco complesso religioso afrocaraibico che in paesi come Cuba e Brasile ha raggiunto la sua massima elaborazione. Frutto di una complessa simbiosi della più estesa religione occidentale, il cristianesimo, e dei diversi culti religiosi africani portati in questa parte del mondo dagli schiavi neri che per più di tre secoli hanno lavorato nei campi e nelle miniere, i culti chiamati «sincretici» offrono una prospettiva attraente all’uomo d’oggi: una combinazione profonda di tradizione e anche primitivismo, con una importante dose di di pragmatismo sconosciuto alle altre religioni, che convertono la cosiddetta «santería» in un’alternativa che, oltre a metterci in contatto con l’aldilà, ci risolve anche i problemi dell’aldiquà, in cui il credente trova soluzioni ai problemi amorosi, economici, etici, con una capacità di parlare dell’umano e del divino che ci mette in contatto direttamente con quelle vecchie religioni greco-latine che, nella loro epoca, dominarono l’ambito del Mediterraneo.

È necessario ricordare altri esempi? Perché se così fosse, me ne vengono in mente subito altri due per il prestigio e la fama in tutto il mondo: il tabacco e il rum, segni per di più di una voluttuosità e un appagamento dei piaceri della vita che non sembrano essere solo caraibici. Sarà forse per questa profondissima mescolanza, dove niente più è puro o incontaminato - né il buon habano né il buon rum sono puri, se non magnifiche e sapienti combinazioni -, capaci anche di dar origine a nuove lingue, come il «papiamento» delle Antille Olandesi o il «creole» degli haitiani, che l’uomo dei Caraibi sente, molte volte, che i suoi dialoghi culturali più fruttuosi si producono con altri uomini e culture del vecchio Mediterraneo europeo. Non è affatto casuale che, per tali condizioni quasi genetiche, i caraibici si sentono più vicino a un italiano che a un indigeno andino, più prossimi a uno spagnolo che a un flemmatico inglese, più in consonanza con un uomo del sud della Francia che con un africano. Coloro che oggi difendono la purezza razziale e culturale, che si nascondono tra i bastioni della incontaminazione, che alzano le bandiere del nazionalismo contro gli «emigranti» del sud, forse non capiscono il significato e il valore spirituale della mezcla. Però io, uomo dei Caraibi, come quell’altro uomo del Mediterraneo, non posso fare altro che elogiare questa capacità di mescolanza che fa degli spaghetti - inventati in Cina - con sugo di pomodoro - americano-, lo stesso rituale imprescindibile di una tazzina di caffè - arabo- addolcito con zucchero - indiano- bevuto di mattina: è una festa di papille e di sensazioni, una festa dell’identità come sintesi del meglio che, per lunghi secoli, l’uomo ha preso e portato per il mondo: la sua capacità di conoscere l’altro e, giunto il momento, di mescolarsi con l’altro affinché nasca il nuovo, che quasi sempre è migliore.
(traduzione di Paola Pinna)

Pubblicato il: 11.09.08
Modificato il: 11.09.08 alle ore 11.14   
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