Grandi bugie su un debito che fa paura
Pubblicato il 29/05/2018 - Ultima modifica il 29/05/2018 alle ore 10:40
Marco Zatterin
Negare il problema non lo risolverà. Sarà anche inutile dire che è colpa di come si calcola il Pil, che è un complotto delle lobby, delle banche e dei «poteri forti», un diktat dell’asse franco-tedesco, dell’Europa o delle agenzie di rating. Tempo sprecato il demonizzare lo spread e chi si inquieta a vederlo salire. Il debito è fra noi e su di noi, granitico come il macigno che è. Succhia denari che andrebbero investiti in cose buone come ospedali, lavoro e scuole. Ruba futuro al futuro, perché senza soldi non si va lontano. Non ha alcun senso confutarne l’esistenza. Il debito è qui, il debito è ora. E rischia di imbrigliare a lungo ogni legittima ambizione di maggior benessere.
Alla fine del 2017 la voragine accumulata dalla Repubblica Italiana era pari a 2.263.056 milioni, ovvero il 131,8 per cento del Pil. In parole semplici, per ogni 100 euro di valore aggiunto creato in Italia se ne contano 131 e rotti di esposizione verso i creditori: nessuna azienda o famiglia avrebbe una vita economica su cui scommettere in queste condizioni. Brutta storia, anche perché è andata peggio solo un’altra volta dalla nascita dello Stato Italiano nel 1861. Nemmeno la sconfitta di Adua, nel 1897, riuscì a spingere «il macigno» oltre il 130% del Pil e solo dopo il primo conflitto mondiale, fra il 1919 e il 1924, fu superata questa rotonda soglia. È grave, visto che non abbiamo alle spalle il milione e passa di morti seminati dalla Grande Guerra.
L’allarme ricorrente della Banca d’Italia, le parole fresche di Mattarella e Cottarelli, sembrano scontati per molti, ma faticano ad arrivare ai più. Il governatore Ignazio Visco non potrà fare a meno di reiterarle nelle sue considerazioni finali di questa mattina. È un dovere - oltre che un’esigenza -, ricordare che ogni abitante residente nella Penisola porta con sé 37 mila euro di debito, neonati compresi. E che ogni anno spendiamo oltre 60 miliardi per coprire quasi mille miliardi di buco al giorno. Che l’aumento dei tassi è una micidiale gabella taglia-Welfare. E che il debito è per due terzi in mani nazionali, soprattutto banche e ora Banca d’Italia, e per un terzo all’estero.
Davvero? Si, davvero. Senza guardare tanto lontano, ricordiamo che di qui alla fine dell’anno il Tesoro deve collocare poco meno di 200 miliardi di debito. Ogni punto di aumento del prezzo percentuale da pagare per convincere il mercato a comprare i titoli costa circa 2 miliardi in più su base annua. Si svuotano così i forzieri di via XX Settembre e, allo stesso tempo, il clima più nervoso rincara l’accesso al credito delle imprese. È una operazione «perdi-perdi». Che conviene solo a chi specula a breve e contro.
Nel suo saggio sul debito pubblico, lo scozzese David Hume ammonì: «O la nazione distruggerà il debito o il debito distruggerà la nazione». Al punto a cui siamo, la politica che foraggia «la grande menzogna» del debito trascurabile magari farà proseliti, ma non alleggerirà la mostruosa eredità che stiamo lasciando ai nostri figli. Nessuna ricetta economica ci farà stare meglio finché saremo schiacciati sotto un gravame che brucerà l’ossigeno delle famiglie e delle imprese sinché non sarà fatto a pezzi. Possiamo capirlo, e allora accettare di faticare per rimettere le cose a posto. O tenere la testa nella sabbia e dire che è colpa dell’Europa o di chi capita. Scegliendo un alibi senza scopo e rinunciando a una scelta conclusiva, per quanto dolorosa, per concederci di nuovo a un dolore senza fine.
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