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Autore Discussione: Umberto DE GIOVANNANGELI -  (Letto 101387 volte)
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« Risposta #180 inserito:: Aprile 17, 2018, 08:58:55 pm »

Trump vs. Putin, Israele vs. Iran. Le partite siriane (in cui la Siria è un comprimario)
Partite autonome ma connesse. Da un lato Usa e Russia, con il destino di Assad in mezzo. Dall'altro Israele vs. Iran, ad altissimo potenziale di escalation

By Umberto De Giovannangeli

In Siria si stanno giocando due partite: quella tra Trump e Putin, con Assad in mezzo e quella tra Israele e Iran. Partite che hanno punti di interazione, ma altrettanti di autonomia. Partite dall'esito tutt'altro che già scritto. E dalle alleanze variabili.

Mosca, ad esempio, non ha certo scaricato Assad, ma non rispondendo agli attacchi occidentali ha lanciato un messaggio al rais di Damasco: non puoi montarti la testa e comportarti come il vincitore della guerra siriana. La "pax siriana" elaborata dal Cremlino non prevede l'immediata uscita di scena di Bashar al Assad, ma neanche la sua centralità. Ed è per questo che i rapporti tra Putin e Assad sono molto meno idilliaci di quanto la propaganda siriana vorrebbe far intendere. Racconta anche questo la "notte dei missili". Annota a ragione, su Internazionale, Bernard Guetta: "C'è anche chi sostiene che in ogni caso questi missili non cambieranno nulla. È vero, i missili non trasformeranno la Siria in una democrazia in pace con se stessa e con i suoi vicini. Ma ci sono due aspetti da considerare. Innanzitutto Assad ci penserà due volte prima di ordinare nuovi bombardamenti chimici. In secondo luogo due alleati del regime hanno preso le distanze da Damasco. La Russia lo ha fatto evitando di contrastare gli attacchi occidentali. La Turchia lo ha fatto spingendosi fino ad approvare l'operazione, perché sconvolta dall'utilizzo di armi chimiche fatto con l'implicito sprezzo di qualsiasi compromesso. La situazione ora è più chiara – rimarca Guetta- e non è impossibile che russi e turchi facciano presente al macellaio di Damasco e al suo alleato iraniano che è arrivato il momento di mettere da parte l'intransigenza, perché porta solo a una guerra senza fine e a un impantanamento della Russia".

Bashar al-Assad annuncia che i raid occidentali "hanno unito la Siria", torna a bombardare i ribelli, mentre il fronte sciita prepara la risposta. Centinaia di combattenti sciiti si sono spostati negli ultimi due giorni dall'Iraq alla Siria, diretti a Deir ez-Zour e di lì al fronte a Est dell'Eufrate, dove l'esercito lealista e i suoi alleati sono a pochi chilometri dalle posizioni della coalizione curdo-araba sostenuta dagli Stati Uniti. Dopo "l'incidente" dell'8 febbraio, quando miliziani filo-governativi tentarono un blitz per riprendersi un campo petrolifero e almeno un centinaio, compresi molti contractor russi, vennero uccisi da raid americani, il fronte è "congelato". Il blitz di Usa-Francia-Regno Unito ha cambiato le cose. Le milizie sciite sono "in stato di combattimento". L'ordine è di colpire, anche se non con attacchi frontali.

Ma il protagonismo armato sciita non rientra nei disegni russi. Putin vede per sé il "garante" della stabilizzazione in Siria e per aver riconosciuto questo ruolo deve ricevere il gradimento delle petromonarchie del Golfo, in primis dell'Arabia Saudita, e tenere in vita l'alleanza con la Turchia di Erdogan che tutto vuole meno che veder rafforzato l'odiato Assad.

Quanto alle vere intenzioni americane, vale la pena prestare ascolto a quanto affermato da Nikki Haley, una dei pochi che sta crescendo all'ombra di Trump, forse l'unica, protetta da un ruolo, rappresentante permanente alle Nazioni Unite, che le permette di fare da portavoce della Casa Bianca ma rimanere a debita distanza dal quotidiano presidenziale. Haley, intervistata dalla tv filo Trump Fox News, afferma che le truppe americane rimarranno in Siria fino a quando non verranno raggiunti tutti gli obiettivi. Che sarebbero tre: 1) Assicurarsi che le armi chimiche non vengano più usate in nessun modo e non ledano interessi americani. 2) Sconfiggere lo Stato islamico; 3) Monitorare da vicino le mosse dell'Iran. E quest'ultima ragione sembra quella strategica perché come ha confidato Trump poco tempo fa a un suo consigliere "ogni volta che mi giro, ogni cosa che sento, riguarda sempre l'Iran, l'Iran, l'Iran". E siccome gli ayatollah sono più attivi che mai nella regione, è difficile pensare che gli americani si ritirino.

Per Trump la Siria non è strategica, ma strategica è la partita aperta con la Russia, e fino a quando non sarà risolta, gli americani non si ritireranno. Di questa partita fanno parte le sanzioni. Washington ha annunciato l'arrivo di nuove sanzioni contro la Russia nel giorno in cui gli esperti internazionali dell'Opac hanno avviato le loro indagini per verificare se a Douma siano state effettivamente utilizzate armi chimiche. Ma la delegazione britannica denuncia che agli osservatori dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche non è stato ancora consentito di entrare nella città. Parte il consueto scambio di accuse, con Londra e Washington contro Mosca e Damasco, mentre la Russia, con il viceministro degli Esteri di Mosca, citato dalla Tass, spiega che il ritardo "è dovuto agli effetti dell'attacco condotto dagli Usa e dai loro alleati".

Nella partita delle sanzioni è chiamata in causa anche l'Europa. A farlo è l'inquilino della Casa Bianca e i suoi più stretti collaboratori che battono sempre sullo stesso tasto: la fedeltà atlantica porta con sé più soldi stanziati nella sicurezza, e in ambito Nato, e rinunciare, almeno in parte, a fare affari con Mosca. Per Washington ancor più che la partecipazione attiva ad operazioni militari limitate, il grado di fedeltà dell'Europa verrà misurato dall'adesione o meno ad una nuova ondata sanzionatoria e dall'incremento delle spese militari in chiave atlantica e mediorientale. "Su questo – confida ad Huffpost una fonte diplomatica Usa – misureremo la vicinanza dei singoli governi europei, tra i quali quello che nascerà in Italia".

Per Washington la partita aperta con Assad è in parte una ricaduta di quella con Putin. Al di là degli insulti che Trump ha scagliato contro Assad, definito "animale", "macellaio", "dittatore sanguinario", ciò che per l'America conta è di essere al tavolo di chi deciderà o la spartizione della Siria o colui che ad Assad dovrà succedere. Anche se il suo sguardo va al Sud-Est asiatico, The Donald non può e non vuole essere tagliato fuori o comunque relegato in seconda fila in una "Yalta mediorientale". Per Trump, la partita con Assad non può finire "win-win" e non ammette pareggio. Al massimo si può negoziare sui tempi della uscita di scena dell'"animale di Damasco" e di un destino personale diverso da quello riservato a Saddam Hussein o Muammar Gheddafi, ma nulla in più.

D'altro canto, la diplomazia russa sa bene che sul quadrante siriano si muovono attori regionali che, al di là delle alleanze momentanee, intendono giocare in prima persona la partita siriana. E' il caso d'Israele. Un alto funzionario militare israeliano ha confermato oggi al quotidiano statunitense The New York Times che Israele ha compiuto il raid aereo della scorsa settimana su una base militare siriana. Secondo quanto riferito da questa fonte al giornalista del New York Times, Thomas Friedman, firma storica del quotidiano, "era la prima volta che attaccavamo obiettivi iraniani, comprese strutture militari e soldati". Il funzionario ha anche osservato che il raid sulla base aerea T-4 vicino a Palmira, nel centro della Siria, è avvenuto dopo che l'Iran ha lanciato a febbraio un drone carico di esplosivi nello spazio aereo israeliano. Secondo quanto riferito, l'attacco ha preso di mira l'intero programma di droni iraniano presente nella base. I media di Teheran avevano riferito di almeno 7 vittime tra i soldati iraniani, su un totale di 14 morti provocati dal raid. L'incidente del drone è stato "la prima volta che abbiamo visto l'Iran fare qualcosa contro Israele e non per delega", ha detto il funzionario, secondo cui quell'attacco "ha aperto una nuova era" di scontri tra Israele e Iran.

L'articolo in questione ha un titolo che sa di profezia. Ravvicinata, inquietante: "La vera prossima guerra in Siria: Iran contro Israele". In via ufficiale il governo israeliano non ha commentato la rivelazione del NYT, ma fuori dall'ufficialità, e con la garanzia dell'anonimato, fonti di Gerusalemme vicine al primo ministro Benjamin Netanyahu hanno ribadito ad HuffPost che "Israele ha fatto più volte presente, sia in vertici istituzionali che nelle relazioni fra servizi di intelligence – che i Guardiani della Rivoluzioni iraniani erano stati incorporati nella catena di comando militare siriana ai livelli più alti, e che l'Iran stava rafforzando la propria presenza militare in Siria. Questa – conclude la fonte – è per Israele una minaccia diretta alla propria sicurezza, e quando questa è la posta in gioco, nessuno può impedire di esercitare il nostro diritto di difesa". Più esplicito è Amos Yadlin, già capo dell'intelligence militare e attualmente direttore dell'Institute for National Security Studies all'università di Tel Aviv. Yadlin ha invocato un intervento "ufficiale", soprattutto alla luce dell'attacco chimico a Douma. L'ex capo dell'intelligence militare non usa solo argomentazioni geomilitari, ma va al di là, toccando corde sensibili nella coscienza del popolo ebraico: è importante – afferma – che Israele espliciti la sua posizione morale, a pochi giorni dal momento in cui commemoriamo la Shoah, e colpisca un assassino che non esita a usare armi di distruzione di massa contro la sua gente. In questo caso – conclude Amos Yadlin – gli interessi strategici coincidono con un obbligo etico". Un obbligo che Israele avrebbe già iniziato ad assolvere, non solo nel raid contro T-4, ma con altre incursioni in territorio siriano.

Serghei Lavrov, capo della diplomazia di Mosca, aveva messo in guardia dal rischio di escalation del conflitto in Siria, anche perché compaiono sulla scena "attori che nessuno ha invitato e anzi si sono autoinvitati". Rendendo le partite siriane ancora più incerte e combattute, e quest'ultimo aspetto non ha ormai niente di metaforico.

Da - https://www.huffingtonpost.it/2018/04/16/trump-vs-putin-israele-vs-iran-le-partite-siriane-in-cui-la-siria-e-un-comprimario_a_23412494/?utm_hp_ref=it-homepage
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