Le diseguaglianze e i traditori dello stato nascente: il voto del 4 marzo
Marco Dell’Acqua
5 marzo 2018
Francesco Alberoni, nel suo libro Movimento e istituzione, spiegava la genesi dei movimenti collettivi attraverso il passaggio dallo stato nascente (momento potentissimo di fondazione) alla loro istituzionalizzazione. Da questo punto di vista le elezioni del 4 marzo ci dicono molte cose.
Lo stato nascente o (lo statuto nascente) di alcuni partiti si è consumato tra la passione o la costruzione a tavolino di qualcosa. Quello dei Cinque Stelle, evidentemente, ancora no. Qualcuno ha scherzato col fuoco e dileggiandoli ha finito per bruciarsi. La fantomatica estrema destra, poi, non è praticamente esistita. E la sinistra è “sparita” da sola.
Nell’autunno 2011 c’era la crisi che stava esplodendo e qualcuno diceva che i ristoranti erano pieni, che il sistema bancario era solido, che ci sarebbe stato un taglio delle tasse, che gli italiani non capivano. Ci fu il governo Monti, perché la sinistra non ebbe il coraggio di vincere le elezioni, sostenuto da tutti. Tranne che dalla Lega e dai 5 stelle che non c’erano.
Anche in questa campagna elettorale, qualcuno ha detto che in Italia si sta bene, che c’è la crescita, che alle banche non è successo niente, che ci sarebbero stati dei tagli delle tasse. Che erano gli italiani a non rendersi conto di quanto stessero bene.
A utilizzare al meglio lo stetoscopio sono stati coloro che hanno viaggiato, girato, sentito il cuore dell’Italia (e che non hanno appoggiato la legge Fornero, non credo sia un caso). Hanno ascoltato il cuore, il sentimento (fosse anche un sentimento becero e cattivo) e a quello hanno parlato. La storia della pancia, dopo ieri sera, non sta più in piedi vista l’ampiezza dei numeri. Troppo facile parlare della pancia degli altri per ergersi a Robespierre del candore.
Gli altri hanno creduto di parlare al paese andando da Marchionne, facendosi fotografare con Tim Cook, assumendo Piacentini di Amazon al governo e silurando Perotti e Cottarelli.
L’Italia è un paese dove c’è gente che sta male, come è possibile che nessuno se ne sia accorto (soglia di povertà, disoccupazione, sanità o costosa o traballante; salari ribassati, lavoro sempre più precario)?. Sui social ci sono certamente gli hater e i leoni da tastiera, ma il social funziona se la comunicazione si trasforma in interazione e non diventa un muro dove affiggere un manifesto. Se qualcuno avesse letto, ascoltato, visto un po’ di più, oggi non starebbe a leccarsi le ferite. E non si dia la colpa agli algoritmi.
L’aumento delle diseguaglianze è, secondo me, il padre di questi risultati; la madre è stata la trascuratezza con cui sono state affrontate.
La diseguaglianza tra giovani e anziani; la diseguaglianza tra contributivo e retributivo (baby pensionati compresi); la diseguaglianza tra nord e sud, la diseguaglianza tra i truffati dalla banche e i loro manager; la diseguaglianza tra i ministri con i parenti inquisiti (o addirittura rinviati a giudizio) e quelli costretti a dimettersi senza neanche un avviso di garanzia; la diseguaglianza tra chi vive in centro e chi vive in periferia; la diseguaglianza tra chi deve pagare le tasse (salate) direttamente in busta paga e quelle dei giganti del web (peraltro idolatrati); la diseguaglianza tra la casta e chi vive con la minima. Diseguaglianza tra chi ha conservato l’art. 18 e le vecchie condizioni e chi invece ha i contratti a 3 ore a settimana. Tra chi ha un posto sicuro e chiede che gli sia pagato il congedo per neve e i fattorini che, senza tutele garanzie, pedalano sotto la neve. Le diseguaglianze tra chi l’alta velocità e chi muore sul regionale. La diseguaglianza tra donne e uomini. La diseguaglianza tra il fighettismo in purezza delle metropoli e la sofferenza di chi si trova la casa occupata nella periferia della stessa metropoli.
La diseguaglianza teorizzata dal Marchese del Grillo “io, so io. E voi non siete un cazzo”.
Una lontananza dalla vita reale che è incredibile, delle élite di scarsa qualità che hanno trovato delle élite ancora più scarse.
Diseguaglianze a cui la sinistra, deputata per storia a occuparsene non ha dato risposte. Lasciando dare le carte agli altri. E, come è accaduto molte volte nella storia, qualcun altro ha dato la colpa delle diseguaglianze a quelli che arrivano da fuori.
Albert Hirschmann scrisse che si avevano sostanzialmente tre opzioni per rapportarsi alle organizzazioni: exit, voice, loyalty. Lealtà, defezione, protesta.
Questo voto ha mostrato come la lealtà sia venuta meno (ci sono stati spostamenti di voto molto consistenti) a tutti quelli che non hanno avuto risultati soddisfacenti; l’exit (non ci sia stata più di tanto, l’affluenza è rimasta comunque alta); a essere esplosa è la protesta. La protesta che dallo stato nascente ha ora davanti a sé la sfida dell’istituzionalizzazione.
Forse bastava leggere Hirschmann o Weber da parte degli strateghi e degli spin doctor ma anche qualche post sugli Stati Generali, invece di crogiolarsi nelle proprie pozzanghere (i collegi blindati). Adesso, come direbbe Spike Lee, “Fai la cosa giusta!”
Però è difficile, lo sappiamo.
TAG: elezioni 2018
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