Giochiamo di sponda con Berlino
Pubblicato il 31/07/2017
MICHELE VALENSISE
In attesa delle elezioni federali tedesche del 24 settembre, lo scenario europeo è in movimento. Negli ultimi giorni, mentre come ogni anno Angela Merkel iniziava le sue vacanze sulle note di Wagner a Bayreuth, l’attenzione italiana si è concentrata naturalmente sulle decisioni unilaterali di Emmanuel Macron che ci riguardano da vicino: Stx-Fincantieri, migranti, Libia. Ma in questa calda estate il raggio d’azione è più ampio di quello delle nostre relazioni con la Francia.
Se l’attuale assetto dell’Europa è fatto di connessioni e interdipendenze così evidenti, per l’equilibrio dell’Unione e per la crescita comune è bene ragionare anche con il socio di maggioranza relativa, la Germania. Al di là della collaborazione franco-tedesca, «unicum» non replicabile, con radici profonde nella storia e nella prassi dei due Paesi, per i tedeschi resta importante aprire quel formato all’apporto dell’Italia. Le ragioni sono molteplici.
Secondo Paese manifatturiero d’Europa, terza economia dell’eurozona, ponte naturale verso il Mediterraneo e l’Africa, quest’ultima oggetto ora di un rinnovato impegno tedesco, senza precedenti, sul piano politico ed economico, l’Italia continua a essere considerata un elemento essenziale nella visione europea della Germania. Contrariamente a qualche interpretazione un po’ troppo ideologica, non solo non si vede alcuna «conventio ad excludendum» ai nostri danni, ma sussiste un’aspettativa, in parte insoddisfatta, di ruolo e di protagonismo italiano in Europa, ancor più in tempi di Brexit.
Ecco allora un quadro in cui inserire e gestire la nostra giustificata contrarietà al vibrante e rischioso attivismo unilaterale francese. Il confronto innanzitutto con il motore franco-tedesco può servire a far valere qualche rivendicazione, che non è solo nell’interesse dell’Italia. Intese operative che siano in linea con i fondamenti del mercato unico, stabilità finanziaria europea, visibili impegni congiunti nel controllo delle frontiere esterne dell’Unione, più intensa collaborazione tra gli organismi di sicurezza nazionali sono temi importanti per tutti, sui quali ciascuno ha da dare e avere come in ogni società ben funzionante. La Germania, sia con Merkel sia con Schulz, dovrebbe tenere a evitare derive nazionali e l’Italia può essere funzionale a quell’obiettivo, nonostante le incertezze della nostra congiuntura politica interna.
Il raccordo governativo è già stretto ed efficace, a Berlino si apprezza l’interlocuzione con l’attuale presidente del Consiglio, più agevole e produttiva di quella con il suo predecessore. Nulla di nuovo, quindi, da inventare su questo piano. Uno spazio ulteriore di dialogo e scambio con il nostro primo partner in Europa, per rafforzare convergenze esistenti e contenere diffidenze più o meno latenti, c’è invece nel campo dei partiti, dei gruppi intermedi, della comunicazione. Troppo spesso negli ultimi anni responsabili tedeschi di partiti o di fondazioni hanno cercato invano sponde tra i colleghi italiani, irreperibili, distratti o prigionieri di agende disordinate. Certo, i partiti italiani di oggi sono ben diversi da quelli del passato e le fondazioni culturali tedesche, ricche e influenti, non sono comparabili con le nostre. Cominciamo comunque a identificare persone e strutture valide in partiti e gruppi per curare i rapporti con l’Europa e il mondo, come una volta. Qualcuno lo sta facendo, può aiutare.
Il pomeriggio del 9 novembre 1989 a Bonn la porta dell’ufficio di Willy Brandt, presidente della Spd, si aprì per far entrare una vecchia conoscenza italiana, Giorgio Napolitano, «ministro degli Esteri» del governo ombra del Pci. Oltre che per la coincidenza fortuita con la caduta del muro di Berlino (sviluppo imprevisto anche per loro due, noterà poi con ironia lo stesso Napolitano), quell’incontro può essere indicativo della fitta rete e della solida consuetudine di rapporti di allora tra partiti politici a livello europeo. Per sfruttare a pieno le potenzialità dei rapporti tra Italia e Germania, anche per compensare costruttivamente qualche fuga in avanti «bonapartista» a Parigi, sarebbe utile puntare a un rinnovato dialogo politico e culturale italo-tedesco, nel quale riconoscersi con la confidenza che a suo tempo la generazione di Brandt e Napolitano alimentava sistematicamente.
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