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Praga magica con il Golem
Di Giulio Busi 24 giugno 2017
Rodolfo e il leone.
Una delle «L’Ombra del Golem» di Éliette Abécassis, illustrato da Benjamin Lacombe. Copyright Benjamin Lacombe, Éliette Abécassis, L’Ombre du Golem, Flammarion, 2017
Svatopluk, il gobbo. Segnatevi il nome, vi può esser utile la prossima volta che venite da queste parti. Passate il grande ponte di pietra, entrate nel mercato, e non vi sarà difficile trovarlo. A Svatopluk piacciono i vestiti stravaganti, d’ogni forma e colore, e poi basta guardargli le mani, per essere sicuri che è lui. Ha le dita a uncino, così afferra meglio la sua mercanzia. Bava di rospo in polvere, radici di mandragora, mandibole di sirena, pellicce e lucertole che costano più di pietre preziose. A Praga tutti sanno chi è Svatopluk, ma pochi sono capaci di fare un incantesimo come diavolo comanda. Una volta che avete gli ingredienti giusti, andate in via degli Alchimisti. Non aspettatevi gran palazzi. Troverete solo una fila di casupole. Se gli alchimisti fossero già pieni di soldi, non se ne starebbero giorno e notte tra alambicchi, pozioni e gatti neri, sudati e spiritati, per mutare il piombo in oro. Andrebbero alle feste da ballo, o su nel castello, ospiti dell’Imperatore e della sua corte. Un alchimista ricco è come un ladro che ha fatto fortuna. Viaggia in carrozza, fa vita da signore, e smette di dannarsi.
Se però ricchi ancora non siete, potete bussare alla casupola più sbilenca di tutte. Lì abita la piccola Zelmira. Bionda, curiosa, sempre in giro per la città, a ficcarsi nei guai e sbirciare dove non dovrebbe. Alchimista il babbo, maga la mamma, prepotente il fratellino, in miseria tutta la famigliola. Per provarci, ci provano tutto il santo (si fa per dire) giorno, facendo ballare le ampolle e scaldando certi pentoloni neri neri, da cui salgono vapori rossi, gialli o verdi, turchesi o violacei. Ma il piombo, dispettoso, non ne vuol saperne proprio di trasformarsi, e così il papà di Zelmira passa le sere in osteria, per dimenticare i suoi guai nel bicchiere, e lei, la bimba, scappa di casa appena può. Specie al vespero, Praga la incanta con i suoi suoni misteriosi. Dalle chiese escono certe musiche dolci, le taverne son piene di chiasso e di risate sguaiate, e anche le cento torri della città risuonano profonde, quando il vento le accarezza come canne di un organo. Gira e rigira, eccola davanti a un vecchio edificio tutto bianco, di pietra spessa, quasi senza finestre né porte. Voltate la pagina, e vedrete disegnate le vie del quartiere ebraico. Le stradine s’incuneano tra le case, i tetti sono aguzzi, la gente è ferma a chiacchierare. Chi è quel tizio con la barba lunghissima, e lo sguardo così luminoso che, a fissarlo, Zelmira quasi s’acceca? Il Maharal è il gran rabbino della città. E già questo basterebbe a metter soggezione alla bambina. Non solo è sapiente e pio.
Tutti credono che sia anche un mago potentissimo, e un cabbalista. Come dite? È meglio fare il punto della situazione, perché, se vogliamo diventare ricchi, e in fretta, non possiamo perderci in una favola. Un alchimista che si rispetti, non ha tempo da vendere. L’unica cosa che può vendere è l’anima, ma questa è un’altra storia. Ricapitolando: abbiamo un paio di maghi falliti, una bimba curiosa, una città piena di tentazioni, e un mago vero, con gli occhi che saettano chissà quale sapienza. Possibile che non ci sia nessun cattivo? E quel tizio magrissimo sotto la tonaca nera, dritto come un palo, disegnato a pagina 141? Ho capito, per far prima vi siete messi a saltar il testo, e a scorrere le figure. Quello è il monaco Thaddeus, che è consigliere dell’Imperatore Rodolfo. Se non è malvagio lui, non c’è più religione. Thaddeus ha un’idea fissa. Portare tutti i bimbi ebrei nelle prigioni del castello, e buttar via la chiave, così li potrà guardare dalle sbarre (a pagina 147, tanto so che sfogliate dove vi pare, senza disciplina), e sentirsi felice. Ci vuole un’arma, pensa il Maharal, una difesa, per salvare il ghetto, i bambini, il mondo. Maharal è sapiente, Zelmira curiosa, la terra umida e antica. La Moldava fluttua nella nebbia densa, la luna in cielo è una moneta d’argento, l’ora è grave, che peggio non si può. Lo sguardo del maestro va dal suolo alla luna, dalla luna al suolo. Via, si comincia! Il Maharal prende un grumo di fango, lo modella con le mani, ne tira fuori un volto strano, un po’ uomo e un po’ macchina. Non andate subito a vedere che faccia ha, aspettate che il cabbalista e i suoi allievi compiano il loro rito attorno al gigante appena abbozzato. Sette giri in un senso, sette nell’altro, e poi ancora sette. Avete mai visto un Golem? Se dite che sapete benissimo cos’è, fate solo la figura dei bugiardi. L’avrete visto al cinema o ne avrete letto in un libro. Ma proprio lì, mentre il Maharal lo fa rizzare sui suoi piedoni smisurati, e poi gli dà movimento, corpo, forza, non ci può avervi portato nessuno. Senza Zelmira, scommetto che vi sareste dovuti accontentare di un video su youtube. Questo è il Golem vero, così come è vero il monaco Thaddeus. Vero, sacrosanto, in fango ed ossa, tanto che a una pagina che non vi dico, così ve la cercate da soli, quel Golemone tutto zolle, che adesso è al servizio del Maharal, spiaccica Thaddeus contro il muro – et requiescat in pace. La storia non è mica finita qui. Se il cattivo di Praga è debellato, i suoi figli, cugini, nipoti, pronipoti se ne vanno ancora liberi per il mondo. Per metter gli altri, gli stranieri, i diversi, in prigione, al rogo, dietro un muro, in un ghetto. Se volete un consiglio, lasciate perdere Svatopluk e le sue bave di rana. Andate dritti dal Maharal, e lasciate fare a lui.
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