Faro della politica su nuove povertà e Sud
Di Emilia Patta 13 dicembre 2016
«Lascio alle forze politiche il dibattito sulla durata del governo. Io sto alla Costituzione: il governo dura finché c’è una maggioranza parlamentare che lo sostiene». Non poteva che dire questo, il neopremier Paolo Gentiloni. Perché nessun governo può nascere con la data di scadenza stampata addosso. E naturalmente neanche questo governo, vista la situazione confusa del sistema elettorale attuale, con il maggioritario Italicum in vigore solo per la Camera - su cui però incombe il giudizio della Corte costituzionale fissato per il 24 gennaio - e con il proporzionale Consultellum per il sopravvissuto Senato.
Ma l’orizzonte temporale è dato dallo stesso programma del premier: rafforzare la ripresa puntando sule grandi infrastrutture e su industria 4.0, mettere in sicurezza il sistema bancario non escludendo l’intervento del governo, attuare la parte che manca della riforma Madia della pubblica amministrazione, votare la riforma del processo penale bloccata in Senato prima del voto referendario con grande disappunto del riconfermato Guardasigilli Andrea Orlando, e affrontare gli impegni europei che attendono l’Italia con il doppio binario della condivisione del peso dei migranti e della lotta all'austerità per spingere la crescita.
Gentiloni: il governo dura finché ha la fiducia del Parlamento
Insomma, un programma minimo di continuazione e di attuazione del programma del governo Renzi, senza progetti nuovi. Ed è la conferma di un dato politico già evidente: Gentiloni sembra condividere l’orizzonte temporale che il leader del Pd Matteo Renzi ha fissato, ossia il ritorno alle urne entro giugno.
L’unica discontinuità rispetto a Renzi che si può notare nel discorso di insediamento di Gentiloni appartiene non tanto ai contenuti quanto alla "narrazione": laddove il premier mette l’accento sulla necessità di dare risposte alla «parte disagiata della classe media, dai dipendenti alle partite Iva», categorie fortemente colpite dalla crisi e a rischio nuova povertà. Il riconoscimento di un disagio forte, soprattutto al Sud, che forse finora non c’era stato. Quanto alla legge elettorale, si conferma l’intenzione di lasciare al Parlamento e al confronto tra le forze politiche, confronto che il governo si limiterà ad incoraggiare, la responsabilità di recepire nel miglior modo possibile le indicazioni che verranno dalla Consulta. Così da rendere più omogenei i sistemi delle due Camere. Tuttavia da qui a scommettere che questo accadrà ce ne passa, e basta ricordare la ferma intenzione di Renzi di non mettere la sua firma e quella del Pd su un proporzionale che «ci riporterà alla Prima Repubblica». Ma visto che si andrà probabilmente in quella direzione, resta il nodo non di poco conto del futuro di un partito come il Pd nato a vocazione maggioritaria in un sistema politico e istituzionale che maggioritario non sarà. Ma questa, evidentemente, è semmai materia del prossimo dibattito congressuale e non di un governo che nasce con un orizzonte temporale limitato.
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