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Autore Discussione: Gabriella Chiaramonte Lettera agli abitanti di Gorino, con mia profonda vergogna  (Letto 3273 volte)
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« inserito:: Ottobre 28, 2016, 06:44:18 pm »

Lettera agli abitanti di Gorino, con mia profonda vergogna
Cronaca
Di Sostenitore | 26 ottobre 2016

Di Gabriella Chiaramonte

Poco cari abitanti di Goro e Gorino, come tanti cittadini italiani ed europei ho assistito alle vostre barricate ancora incredula e umiliata dalla vergogna che questo sia accaduto nel mio paese. Che ben noti tribuni della politica italiana esultino e plaudano all’impresa, al grido di “resistenza”, aggrava se è possibile la piaga. “Resistere” è una parola che ha ben altra connotazione, non solo storica ma proprio semantica, rispetto a quello cui abbiamo assistito da parte vostra nei giorni scorsi. Opporsi all’arrivo di 12 donne con bambini, stremati, impauriti… è catalogabile come resistenza?

Insulti, violenze verbali e non, addirittura le barricate per resistere “all’attacco” di uno sparuto gruppo di persone in fuga dall’orrore. La sproporzione sconcertante di una reazione così scomposta e inutilmente aggressiva non sarebbe giustificabile neanche se quelle 12 persone fossero state uomini o più numerosi. Chiederei ai tribuni che vi spalleggiano, così spesso impegnati in dotte disquisizioni e sottili distinguo filologici tra “migranti economici” e “fuggitivi dalle guerre”, in quale sottocategoria collocano ad esempio Boko Haram, alla stregua di una guerra o di un qualche male di natura economica? Perché è anche da quel mostro che le donne nigeriane scappavano.

E ancora, ai professionisti nostrani del commento mi piacerebbe chiedere, visto che cianciano di una presunta “preparazione” che sarebbe dovuta ai cittadini chiamati ad accogliere altri esseri umani, per caso qualcuno si è mai preso la briga di “preparare” all’accoglienza i cittadini di Lampedusa, Pozzallo, Reggio Calabria, Catania, Messina, Augusta, Siracusa… e di ogni altro approdo di carrette del mare? C’è qualcuno che ha organizzato un corso ad hoc per loro? Prima di farli sbarcare dalle navi, ai migranti è mai stato chiesto di raccontare in via preventiva le loro storie di disperazione, per poter muovere così a compassione e quindi elemosinare accoglienza?

Qualcuno ha sostenuto anche questo: “Bisognava far raccontare le loro storie così forse la rabbia si sarebbe placata”. La solidarietà non si fa domande, non attende la compassione, né pretende corsi di formazione. Un essere umano in difficoltà che chiede aiuto non ci dà il tempo di pensare, ponderare, di chiederci se siamo preparati, se abbiamo le carte in regola. Non c’è il tempo di farsi domande se un uomo sta per annegare. E’ un fatto istintivo, è ciò che distingue la civiltà dalla barbarie.

Il problema dell’accoglienza esiste da anni, non è certo un fatto di cronaca recente, nessuno può dirsi impreparato. Le dimensioni del fenomeno oggi richiedono la collaborazione e la responsabilità di tutti, anche la vostra. Finora tutto il peso è stato sostenuto solo da alcune regioni, da alcuni comuni, ha fatto comodo a molti. “I migranti danneggeranno il turismo nella zona”, qualcuno ha sbraitato. Ebbene, io non ho mai saputo dell’esistenza di Goro e Gorino, ma da oggi ho una certezza: saranno le mie colonne d’Ercole, un limite invalicabile. Non ci metterò mai un piede perché per me è il luogo della vergogna e nessun sofisma, nessun ricamo di raffinati commentatori riuscirà a ridurre i termini di quanto accaduto.

Nascosta da qualche parte, forse, potreste anche avere una qualche motivazione plausibile, impossibile da condividere per me. E’ la dimensione e la violenza di quel rifiuto, tuttavia, che non si può accettare, né giustificare. “Il modo ancor m’offende”, scriverebbe il Sommo poeta. Siete entrati a forza sotto i riflettori della cronaca ma la motivazione non vi fa onore, non potete esserne orgogliosi e forse lo sapete già.

Mi auguro che possiate riparare all’onta di cui vi siete fatti artefici.

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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 28, 2016, 06:46:26 pm »

Quando rabbia e ignoranza mettono le radici in paese: l’esempio di Gorino

Valeria Dalcore
25 ottobre 2016

Se pensate che Goro e Gorino siano l’eccezione, vi sbagliate di grosso. Goro e Gorino, che se non fosse per la vergognosa pubblicità potrebbe essere un duo comico o il nome di due personaggi di un cartoon, sono l’Italia tutta intera, quella che quando decide di parlare non parla, urla la propria arretratezza mentale, civile e culturale. E lo fa senza vergogna, senza sforzo, sforzo che invece fanno in silenzio gli italiani che aiutano e che sembrano sempre troppo pochi. E’ nel delta del Po, nel ferrarese, che la sera del 24 ottobre 2016 300 cittadini sui 600 della frazione Gorino, hanno costruito barricate di legno e pallet per impedire a 11 donne e 8 bambini provenienti dall’Africa di trovare temporaneamente accoglienza in un Ostello del paese.

Conosciamola, Goro.
3828 abitanti, Wikipedia ci dice che al 31 dicembre 2007 risultavano residenti 48 cittadini stranieri. Un ostello, un bed & breakfast, tre ristoranti. Tre settimane di festa all’anno, d’estate, quando le vongole e il fritto misto piacciono particolarmente. Ha un porto, Goro: appena al di là del confine con il Veneto, già Emilia Romagna, è un po’ fiume e un po’ mare, in una zona con Parco Regionale, scorci suggestivi, un consorzio di bonifica e un’unione di comuni che lavorano insieme per promuovere una zona geografica e qualche specialità locale.

Immaginate di viverci, a Goro. Un luogo che ha una stagionalità marcata e che vivendo di pesca ma senza essere luogo di villeggiatura marittima è probabilmente anche un paese piuttosto spento, silenzioso, come lo sono migliaia e migliaia di paesi in Italia, lontani dalle grandi città, tranquilli per chi ama la tranquillità e in quella ama vivere e frustranti per chi tenta, invece, di sopravviverci. Senza addentrarci in analisi discutibili sul carattere e sul DNA di chi abita questi luoghi, io mi limito a guardare le loro facce nelle foto che i giornali stanno diffondendo. Sembrano in posa come i protagonisti di una fiction, nei loro sguardi la determinazione di chi sta difendendo il territorio come i lupi che digrignano. Me li immagino mentre si accordano sul materiale da portare, la strada da chiudere, il gazebo per le bevande calde per prepararsi all’invasione. No, non li immagino, devo sforzarmi per farlo perchè io, sinceramente, quella cosa che scatta dentro a chi lotta per ostacolare il benessere o la salvezza altrui, non la conosco.

Ho sentito dire che si sono mobilitati perchè non hanno saputo prima del loro arrivo, perché l’ostello andava lasciato ai turisti (di ottobre), perchè il bar a fianco è un punto di aggregazione importante per il paese. E loro, alla socialità, ci tengono: è l’unico modo per tenersi in contatto con il loro mondo geograficamente limitato, conoscersi e riconoscersi, mantenere saldi i loro punti di riferimento. In sostanza, la forzatura di una decisione ha fatto scattare in loro una rabbia organizzata – molto, organizzata – tipica di chi resta, di chi non ha coraggio di andare oltre, di chi preferisce chiudersi e non sapere, piuttosto che aprirsi e capire. Qualcuno ha detto che donne e bambini avrebbero cambiato gli equilibri di Goro e Gorino: la socialità, anche quella costruita dal DNA, dalla famigliarità, dagli amici d’infanzia al bar, avrebbe vacillato. In un posto così qualunque cosa è un’invasione. Nella pagina sui cenni storici del Comune di Goro, si legge:

“La storia di Goro è caratterizzata dalla continua lotta dell’uomo contro le acque del mare e del fiume. Ne sono testimonianza gli antichi manufatti di regimazione idraulica – Torre Palù, Torre Abate, Balanzetta e la chiavica dell’Agrifoglio – e le “luci dei naviganti”: Lanterna Vecchia e nuovo faro di Goro, che dimostrano l’incessante modificarsi del territorio. L’area è inoltre una delle più importanti e suggestive d’Europa dal punto di vista naturalistico, con uccelli rari che qui vivono e nidificano, valli da pesca e fauna ittica tipica di questa zona salmastra. Alle testimonianze di un passato ricco di storia e tradizioni si aggiungono i pittoreschi borghi di Goro e Gorino, antichi nella loro semplicità ma allo stesso tempo importanti centri pescherecci dell’alto Adriatico, proiettati nel futuro con il porto turistico, il modernissimo mercato ittico, la mitilicoltura e le innovazioni tecnologiche al servizio del mare e del turismo. Il vivace mercato del pesce è simbolo del connubio tra tradizione e modernità”.

In un paese silenzioso, che vive di speranze, turismo stagionale e feste estive dedicate alle vongole, in un paese senza prospettive e garanzie, oggi più di ieri, la paura del domani si mescola all’ignoranza tipica di chi ignora da generazioni, di chi resta piccolo perchè è più conveniente, di chi non ha il coraggio di andarsene, di chi viaggia a testa bassa con lo sguardo saldo sulle radici e sulle facce conosciute del bar vicino a casa e non alza mai gli occhi al mondo che viaggia attorno. Un mondo che costringe a viaggiare chi non ha nulla e una vongola non sa neanche che forma ha. Un mondo empatico quando pubblica foto di bambini sotto le bombe, che forse ha commosso anche uno solo di loro, commozione facile con la sicurezza della lontananza fisica. Una condizione così profondamente radicata non può e non potrà mai essere accoglienza e conforto dello sconosciuto, a meno che non sia un cliente in viaggio per acquistare una cassetta di pesce o un appassionato qualificato di bird watching. L’accoglienza presuppone curiosità sana, energia fisica e mentale di molto superiore – per dignità umana – a quella che serve per ammassare pallet e assi di legno. Per questo, osservando Goro e Gorino, pensiamo a quanti paesi così esistano in Italia e a che grande cuore abbiano tutti coloro che vengono dallo stesso silenzio e non si accontentano di ciò che già sanno, finendo grazie al cielo per fare anche solo un gesto in grado di cambiare anche solo una giornata di qualcuno che non ha niente e non avrà mai un paese in cui riconoscersi.


Da - http://www.glistatigenerali.com/immigrazione_integrazione/quando-rabbia-e-ignoranza-mettono-le-radici-in-paese-lesempio-di-gorino/
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