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Autore Discussione: Camilla Ilaria Colombo Perché Milano è la nuova capitale italiana delle start up  (Letto 1988 volte)
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« inserito:: Luglio 20, 2016, 05:31:57 pm »

Perché Milano è la nuova capitale italiana delle start up
Il Financial Times incorona il capoluogo lombardo come principale hub italiano per l’innovazione: ecco i numeri dietro al successo

ANSA
19/07/2016
Camilla Ilaria Colombo
Milano

Se il Financial Times incorona Milano capitale delle start up in Italia, forse qualcosa è davvero cambiato nel modo di fare business nel nostro Paese. In un articolo pubblicato a fine giugno, il quotidiano inglese ha definito la città di Expo 2015 il più grande hub per le imprese innovative. I motivi elencati sono la presenza di un’importante università come la Bocconi, che offre un master in Finance tra i primi dieci al mondo, la disponibilità economica e finanziaria, una normativa più flessibile e la capacità della città di fare imprenditoria. 

Lo stilista Giorgio Armani, Nerio Alessandri, fondatore di Technogym, e Federico Marchetti, Amministratore delegato di Yoox, sono i nomi citati dal Financial Times come esempio del successo made in Milano. I dati della Camera di Commercio confermano il quadro dipinto da uno dei più autorevoli giornali economici in circolazione. Con una popolazione di 1.2 milioni di abitanti e un capitale investito nel 2014 pari a 133 milioni di euro, il capoluogo lombardo vanta 802 start up sulle 1.183 presenti in tutta la regione, che equivalgono al 14,8% sulle 5.439 registrate in Italia. Un po’ meno del doppio di Roma che si ferma al secondo posto con 475 imprese innovative e quasi il triplo di Torino al terzo posto a quota 273. La parte del leone è fatta dal settore servizi: più di 600 start up milanesi sono nel campo delle telecomunicazioni, dei software, della consulenza informatica e dell’assistenza sanitaria. 

IMPRENDITORIA 2.0 
«Milano è come Londra e New York. C’è lo stesso ecosistema, la stessa voglia di fare: le banche sono più disponibili a erogare prestiti, i media sono sensibili al tema, i professionisti sono disposti ad ascoltare nuove proposte mentre gli imprenditori si moltiplicano». Carlalberto Guglielminotti, Ceo di Electro Power Systems, una società attiva nelle energie rinnovabili quotata alla Borsa francese, vede nella gestione pragmatica, innovativa della città il motivo del suo grande sviluppo negli ultimi cinque anni. «Nel 2010 non si sapeva nemmeno cosa fosse il venture capital (quel tipo di attività finanziaria rivolta al finanziamento di un’attività appena nata e dall’alto potenziale di sviluppo, ndr). 

 
Grazie alla legge sugli incentivi fiscali del governo Monti e alla semplificazione delle procedure burocratiche voluta da Matteo Renzi con il Decreto Crescita 2.0, Milano ha potuto beneficiare delle competenze e dalla creatività di tanti giovani che invece di voler fare i dirigenti in un’azienda preferiscono essere imprenditori di qualcosa di proprio». In Eps questa tendenza all’auto-imprenditoria viene coltivata direttamente, perché i dottorandi del Politecnico interessati e selezionati dall’azienda possono svolgere il loro Phd dentro la società di Guglielminotti. «Il passo successivo è allargare il modello di Milano a tutto il sistema Paese così che l’Italia non viaggi più a due velocità», conclude l’Amministratore delegato di Electro Power Systems. 

UN GIOCO DA RAGAZZI 
«Perché Milano? Primo perché abbiamo fatto tutti l’università in questa città e poi perché Milano ha sempre dimostrato di essere un terreno fertile per l’innovazione». Di terreni, di campi da calcio per la precisione, Giuseppe De Giorgi e soci ne sanno parecchio. Sono loro ad aver ideato nel 2007 Fubles, la prima piattaforma di Social Sport Sharing italiana. «Quando sono arrivato a Milano da Lecce non sapevo dove poter giocare a calcio quindi con i miei amici ho pensato: perché non creare qualcosa che permetta di organizzare e gestire le partite risparmiando tempo? ». 

Quando Fubles è diventata una Srl, De Giorgi e soci hanno sentito che la città e gli investitori erano interessati a questa novità. Nel marzo del 2011 hanno ottenuto la prima tranche di investimenti da parte di alcuni brand. «Purtroppo noi non abbiamo beneficiato della normativa del governo Renzi perché siamo nati prima, ma all’epoca il Comune di Milano e la Camera di Commercio si sono dimostrati aperti nei nostri confronti. E i numeri attuali confermano questa disponibilità all’innovazione», aggiunge De Giorgi, «perché i progetti crescono, la raccolta fondi aumenta, il ritorno economico si fa più interessante». 

SI TORNA IN ITALIA 
È un ritorno verso casa la storia di Bending Spoons. Matteo Danieli, padovano trapiantato in Danimarca per un dottorato di ricerca, nel 2011 si rende conto che studiare non gli basta. Vuole fare qualcosa di più, vuole lasciare un segno nella vita delle persone. Così con due soci e una totale inesperienza nel campo delle app e del web, decide di dare vita a Evertale, una sorta di diario della vita, ovviamente digitale, realizzato grazie alle interazioni con lo smartphone. «Un po’ come fanno oggi Facebook e Google, solo che allora il pubblico non era interessato a un prodotto del genere», ammette Danieli «Abbiamo quindi lasciato perdere il progetto e con un designer polacco e un programmatore italiano abbiamo ricominciato da zero». Così è nata Bending Spoons, una «società tutta nostra», ci tiene a precisare Danieli, che offre app mainstream diversificate subito vendibili sull’App Store. 

 

Dato il respiro internazionale dell’ex start up, che nel lungo periodo mira a dominare il mondo delle app firmato Apple, la domanda sul ritorno in Italia è più che legittima. «Cercavamo talenti e abbiamo sentito che Milano poteva essere la città giusta per questo. Così nel luglio 2014 siamo tornati in Italia e siamo cresciuti al punto che da cinque fondatori che eravamo oggi siamo in 23». Quindi nessun difetto nella città di Expo 2015? «Forse quello che scontiamo ancora», riflette Danieli, «è l’incapacità di attirare professionisti dall’estero. Dobbiamo andare oltre l’idea che siamo il fanalino di coda dell’Europa. In fatto di start up non è vero». 

UN OCCHIO AL SOCIALE 
«Fare una start up nel campo del sociale significa lavorare sul medio-lungo periodo. Non è l’invenzione di un’app per soddisfare una moda del momento, ma la realizzazione di un progetto che dia risposte a un bisogno sociale». Silvia Turzio, fondatrice e amministratrice unica di Villagecare, non è una giovane laureata, ma un’imprenditrice da anni attiva nell’assistenziale che grazie al bando FabriQ 2 indetto dal Comune di Milano ha potuto dare vita a una start up a vocazione sociale. «La differenza con le altre imprese innovative è l’obbligo di compilare un report ogni sei mesi sugli obiettivi raggiunti. Per il resto stesse agevolazioni, stessi vantaggi fiscali, garanzie di prestiti dalle banche, minori possibilità di perdita». Villagecare è una piattaforma che mette in comunicazione le famiglie che hanno bisogno di assistenza per i parenti anziani con le strutture che possono ospitarli. 

In una città come Milano che ha il 13,1% di abitanti oltre i 65 anni una realtà del genere può essere di grande aiuto. «Il diverso approccio da parte del legislatore, più innovativo, più flessibile in termini burocratici e finanziari, si è molto sentito nel nostro caso», riconosce Turzio. «Ovviamente siamo partiti con un nostro capitale e con il sostegno di amici e famigliari, poi quando siamo diventati più stabili siamo stati in grado di attrarre i Business Angels, ovvero quei finanziatori che investono aspettandosi benefici dopo cinque o sei anni. Solo nel caso delle start up molto grandi si arriva a ottenere l’investimento dei venture capital, quando in gioco ci sono potenziali di ritorno a doppia cifra».

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