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Autore Discussione: Monica Ruocco DENTRO E OLTRE L'ISLAM. LA LETTERATURA ARABA  (Letto 2538 volte)
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« inserito:: Marzo 28, 2016, 07:31:45 pm »

DENTRO E OLTRE L'ISLAM. LA LETTERATURA ARABA
Una foto del premio Nobel Nagib Mahfuz recentemente scomparso. Immagine tratta dal sitto www.lastampa.it

Di Monica Ruocco*

Accostarsi alla letteratura araba vuol dire attraversare una storia ricchissima e luoghi la cui complessità è ancora tutta da scoprire. È un mondo che sorprende per la ricchezza del vissuto storico, la molteplicità dei contesti sociali, economici e geografici, dove oggi realtà modernissime vivono a stretto contatto con culture tradizionali. Voci di grandi autori di epoche e di Paesi diversi intessono narrazioni legate tra loro, per comporre una storia senza confini.

La letteratura classica: l'epoca preislamica
Le prime testimonianze della letteratura araba risalgono all'epoca preislamica (500 d.C.-622) indicata come giàhiliyya, ovvero 'dell'ignoranza' del messaggio coranico. La produzione letteraria di quest'epoca, il cui centro sono le città e i deserti della Penisola Araba, è principalmente poetica e dominata dal genere della qasìda, un poema monorima lungo anche centinaia di versi. Tra questi possiamo ricordare i noti componimenti detti mu‘allaqàt, le odi con cui poeti nomadi cantavano il rimpianto per il proprio accampamento abbandonato alla ricerca di luoghi più ospitali (Daniela Amaldi, Le Mu‘allaqàt. Alle origini della poesia araba, Venezia, Marsilio, 1991).

L'avvento dell'Islam e il califfato omayyade
Il periodo segnato dalla rivelazione coranica e dalla diffusione della religione islamica (622-661) è dominato dalla figura del profeta Muhammad, alla cui morte succedono i primi quattro califfi detti 'ben guidati'. La produzione letteraria di quest'epoca rimane essenzialmente poetica ed è caratterizzata dal permanere di forme precedenti, alle quali si accostano temi legati alla costruzione del nuovo messaggio religioso. A metà del VII secolo gli Omayyadi (661-750) danno vita al primo grande califfato, che si distingue per l'espansione della civiltà arabo-islamica verso oriente e occidente. La capitale Damasco e le città dello Higiaz, la fascia costiera occidentale della Penisola Araba, sono i centri dei nuovi generi. Fra questi il ghazal, la poesia d'amore i cui cantori sono Giamil, difensore di un amore casto, e 'Umar ibn Abi Rabi‘a, sostenitore di una passione più leggera e incostante. Generi più antichi si rinnovano, come la poesia satirica utilizzata in passato nelle dispute intertribali, che diventa uno strumento di satira politica e religiosa per i poeti al-Akhtal, Giarir e al-Farazdaq. In questo periodo ha inizio anche un'importante produzione in prosa, che comprende biografie del profeta (sìra); epistole (rasà'il); racconti sulle spedizioni militari (maghàzì). L'esempio più alto è l'opera di Ibn al-Muqaffa‘, di origine iranica, considerato il fondatore della prosa letteraria araba, definita prosa d'adab. Il suo capolavoro è Kalìla wa dimna (a cura di A. Borruso e M. Cassarino, Roma, Salerno Editrice, 1991), una raccolta di favole e apologhi a carattere educativo che hanno come personaggi principali degli animali.

L'età d'oro della letteratura classica: la corte di Baghdad
Durante il successivo califfato guidato dagli Abbasidi, la civiltà arabo-islamica conosce la sua massima espansione e uno spostamento della corte verso Oriente, nell'attuale Iraq. Durante il primo periodo del califfato (750-847) i centri nevralgici della vita politica e culturale sono la capitale Baghdad, oltre alle città di Bosra e Kufa. Lo sviluppo della cultura urbana avviene nei circoli letterari (maglis) voluti dagli stessi califfi, dove si raccolgono grammatici, lessicografi, filologi, letterati e poeti. L'enorme produzione poetica si divide tra i classicisti, come Abu Tammam, e i modernisti, come Abu Nuwas, esponente del genere della poesia bacchica. È in questo periodo che viene fondata, per volere del califfo al-Ma'mun, la Bayt al-hikma, ovvero 'dimora della saggezza', l'importante centro di traduzione che ha permesso all'Occidente di conoscere i classici greci tradotti in arabo tramite la loro versione siriaca. Nel secondo periodo abbaside (847-945) la prosa è il genere in assoluto più innovativo, soprattutto la prosa d'adab, che ha tra i suoi protagonisti al-Giahiz, divulgatore di un sapere enciclopedico (Gli Avari, a cura di V. Colombo, Genova, Marietti, 1996). Nel terzo periodo (945-1005), in cui fanno il loro ingresso a Baghdad le truppe della dinastia turca dei Selgiuchidi, si assiste a un decentramento del potere in più poli nevralgici.
Per quanto riguarda la poesia, le voci più interessanti sono quelle del neoclassico al-Mutanabbi e di Abu al-‘Ala' al-Ma‘arri, la cui Epistola del perdono anticipa nella struttura e nei temi la Commedia dantesca. In questo periodo appare il nuovo genere della maqàma, un testo in prosa rimata diviso in brevi racconti sui temi più vari tenuti insieme dalla stessa voce narrante, il cui creatore è al-Hamadhani (Le maqàmàt, a cura di M. Montanaro, Milano, Ariele, 1995).

Nel frattempo, la civiltà arabo-islamica si era radicata anche in altri contesti, come in Andalusia sede di un califfato, la cui produzione letteraria è dominata dal genere poetico delle muwashshahàt; oppure in Sicilia, dove gli Arabi rimarranno più secoli, dando origine ad un'importante scuola poetica (Poeti arabi di Sicilia, a cura di F. Corrao, Milano, Mondadori, 1987). L'ultimo periodo abbaside (1055-1258) termina con la conquista di Baghdad da parte dei Mongoli. La letteratura in lingua araba deve contrastare lo sviluppo di una produzione in turco e persiano e si dedica soprattutto a compilazioni. Al-Hariri continuerà l'opera iniziata da al-Hamadhani e le sue maqàmàt diventeranno il testo arabo fino ad oggi più letto dopo il Corano. Parallelamente ai generi letterari colti, si sviluppa una letteratura popolare, trasmessa soprattutto oralmente, che comprende epiche cavalleresche e racconti divenuti molto noti in Occidente, come la famosa raccolta delle Mille e una notte (4 voll. a cura di F. Gabrieli, Torino, Einaudi, 1997).
A partire dalla caduta di Baghdad, il dominio turco sul mondo arabo si espande sempre più, fino all'affermarsi della dinastia ottomana nel XVI secolo. Fino al XVIII secolo, la letteratura araba attraversa un'oggettiva e profonda crisi, e verrà trascurata anche dagli studiosi che solo negli anni più recenti si accingono a una sua riscoperta: se nella poesia prevale il panegirico, la prosa si concentra su opere enciclopediche. Solo dopo la nascita di un sentimento nazionalista anti-ottomano, gli autori arabi sapranno imporre alla produzione letteraria una svolta significativa.

La letteratura contemporanea
Il periodo che va dalla fine del XVIII secolo al 1930 è chiamato nahda, ovvero 'rinascita'. In questo periodo si assiste a un rinnovamento generale della cultura, dallo sviluppo della stampa alla diffusione delle traduzioni di opere occidentali, alla nascita di nuovi generi letterari come il romanzo. È anche l'epoca che segna l'inizio delle spedizioni imperialiste occidentali, prima fra tutte quella napoleonica in Egitto, riletta dal romanziere egiziano Magid Tobiya nel suo Odissea nel paese del Nilo. La spedizione francese in Egitto (Jouvence, 2005). A quella francese fanno seguito le imprese coloniali delle altre nazioni europee che estendono il loro dominio su tutti i paesi del Mashreq, il Vicino Oriente e del Maghreb, il Nord Africa. Dagli inizi del XX secolo, quindi, per i paesi arabi, si comincia a parlare di singole letterature nazionali impossibili da riassumere brevemente, il cui riconoscimento a livello mondiale avviene nel 1988 con l'assegnazione del premio Nobel all'egiziano Nagib Mahfuz.
Il modo migliore per conoscere realtà così diverse tra loro è farlo attraverso la narrativa, genere che ha conosciuto un enorme sviluppo negli ultimi decenni. Per una visione d'insieme, la raccolta Scrittori arabi del Novecento (Bompiani, 2002) offre una panoramica sui maggiori autori contemporanei. Il sito www.arablit.it è una preziosa fonte sulle traduzioni pubblicate in Italia e un utile strumento per avvicinarsi alle letterature del mondo arabo.

Dal deserto alla megalopoli
La civiltà araba ha sempre avuto due anime, una nomade e legata al deserto, l'altra profondamente urbana. La guida ideale per un viaggio tra le sabbie è Ibrahim al-Koni il quale, attento a questioni ambientaliste, denuncia la distruzione dell'equilibrio tra uomo e natura in Pietra di sangue (Jouvence, 1998) e ricrea l'atmosfera mistica del deserto in L'oro (Ilisso, 2005). Le città arabe sono sempre state centri cosmopoliti e multiconfessionali, prima fra tutte il Cairo, punto d'incontro tra l'Oriente e l'Occidente arabo. I suoi vicoli fanno da sfondo alla trilogia di Naghib Mahfuz - che si chiude con La via dello zucchero (Pironti, 2002) -, in cui l'autore percorre la storia egiziana dalle lotte contro il colonialismo fino al nazionalismo e all'ascesa dei movimenti legati all'islam politico. Eredi di Mahfuz sono Gamal al-Ghitani che, in Schegge di fuoco (Jouvence, 2005), si propone come il cronista della sua città, e 'Ala al-Aswani che, in Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, 2006), trasforma un edificio al centro del Cairo nel microcosmo dell'Egitto dei nostri giorni dominato dal cinismo del potere, all'arroganza del denaro e dalla miopia dell'estremismo religioso. Edwar al-Kharrat ci parla di una metropoli animata da genti dalle lingue e religioni diverse in Alessandria città di zafferano (Jouvence, 1994); 'Abd al-Rahman Munif ci racconta di Amman in Storia di una città (Jouvence, 1996); Mohammed Shukri descrive la Tangeri meta degli scrittori beat americani in Soco Chico (Jouvence, 1997); Hasan Nasr narra di un viaggio che inizia e finisce in un quartiere della città vecchia di Tunisi in Dar al-Basha (Jouvence, 2001).

"Quando c'è la guerra le cose prendono un'altra forma"
Il dilagare di guerre di portata internazionale e l'inasprirsi dei conflitti in corso sconvolge numerosi Paesi del Vicino Oriente. Molti scrittori sentono il dovere di raccontare la propria verità riguardo fenomeni spesso presentati in maniera semplicistica e, talvolta, unilaterale. Nel Libano nuovamente devastato è ancora viva l'elaborazione della tragedia della guerra civile. Proprio negli echi di quel conflitto ritroviamo le macerie di oggi, come in Il viaggio del piccolo Gandhi (Jouvence, 2001) di Elias Khuri, il cui protagonista è un uomo qualunque, eroe e vittima inconsapevole della guerra. Il conflitto palestinese è al centro del romanzo di Khuri La porta del sole (Einaudi, 2004), dove la guerra è narrata attraverso storie in cui l'amore deve lottare contro l'orrore, e il vivere quotidiano diventa la forma suprema di resistenza. Il destino di migliaia di palestinesi è descritto da Ghassan Kanafani in Uomini sotto il sole (Sellerio, 1991) e in Ritorno a Haifa, in cui l'autore propone il confronto tra due diaspore, quella ebraica e quella palestinese. Un ritratto amaro, ironico e acuto della situazione palestinese è quello di Emil Habibi che, con Il Pessottimista (Bompiani, 2002), descrive la vita degli arabi che vivono in Israele. Per molti intellettuali palestinesi il tema dell'esilio è una costante e la ghurba, il sentimento di nostalgia per il proprio Paese, va di pari passo con la rivendicazione di un diritto collettivo alla memoria, come esprimono Mahmud Darwish in Una memoria per l'oblio (Jouvence, 1997) e Murid al-Barghuti che, in Ho visto Ramallah (Ilisso, 2005), racconta con leggerezza e lirismo del rientro in Palestina dopo un esilio lungo trent'anni. Per capire come la guerra abbia trasformato un paese ricco anche culturalmente come l'Iraq bisogna farlo con Fu'ad al-Takarli, L'altro volto (Jouvence, 2005), e Yassin Jabbar Hussin, che percorre le strade della capitale irachena in Il lettore di Baghdad (Valtrend, 2003).

Il mondo arabo raccontato dalle donne
Il contributo delle scrittrici è indispensabile per cogliere un'interpretazione 'al femminile' delle società arabe. Oggi più che mai le donne sono protagoniste della vita dei propri Paesi, impegnate in ruoli politici, istituzionali e, recentemente, religiosi, nella veste di mufti, anche se contesti di povertà, analfabetismo, norme sociali le costringono talvolta a vite di subordinazione. Un quadro d'insieme è quello presentato da alcune antologie, Rose d'Arabia e Rose del Cairo (e/o, 2001), e Parola di donna, corpo di donna (Mondadori, 2005) in cui le autrici affrontano i temi più attuali con un linguaggio accattivante, ironico e spregiudicato.
Tra i romanzi che meglio hanno colto la disparità delle donne arabe e degli ambienti in cui vivono, Donne nel deserto diHanan al-Shaykh (Jouvence, 1994) mette a confronto diverse condizioni femminili. La ricerca di una propria individualità e l'incapacità di adattarsi a regole imposte dalla tradizione sono descritte dei romanzi Naftalina di Aliya Mamduh (Jouvence, 1999) e Blu melanzana di Miral al-Tahawi (Frassinelli, 2004). La partecipazione alla vita politica del proprio Paese è al centro del lavoro di Latifa al-Zayyat Carte private di una femminista (Jouvence, 1996), che ripercorre la militanza politica di una femminista egiziana, e dell'opera della palestinese Sahar Khalifa che, in La porta della piazza (Jouvence, 1994), descrive il ruolo delle donne palestinesi dopo lo scoppio dell'Intifada.

Oltre l'Islam…
Nella visione occidentale sulla dimensione religiosa del mondo arabo prevale l'immagine unitaria di un islam le cui componenti reazionarie diventano l'unico elemento che caratterizza oltre mezzo miliardo di individui. Sul ruolo della religione islamica nel mondo arabo è utile l'autobiografia La mia vita con l'Islam (Il Mulino, 2005) in cui il filosofo egiziano Nasr Hamid Abu Zayd si impegna a individuare un Islam che si rivela "un'entità immaginaria, una costruzione, una finzione, tanto quanto lo è quell'Occidente di cui abbiamo paura noi musulmani".
Uno dei maggiori poeti arabi, Adonis, ha dedicato alla cultura araba, all'Islam e all'Occidente il saggio La musica della balena azzurra (Guanda, 2005), in cui invita le società a un dialogo con il proprio passato per riconsiderare, cristiani e musulmani, orientali e occidentali, l'uomo e la sua opera in una prospettiva universale. Il romanzo che meglio descrive l'educazione musulmana attraverso l'esperienza di un ragazzo è I giorni (Istituto per l'Oriente, 1965; Zanzibar, 1994) di Taha Huseyn. Mentre Khaled Ziyade nel suo Venerdì, Domenica (Jouvence, 1996) rievoca un'epoca recente, in cui l'appartenenza religiosa non era una discriminante, così come Ibrahim Giabra in I pozzi di Betlemme (Jouvence, 1997) richiama tempi in cui in Palestina convivevano cristiani, musulmani ed ebrei.

*Docente di Lingua e letteratura araba presso l'Università di Lecce.

Pubblicato il 12/09/2006

Da - http://www.treccani.it/scuola/tesine/letteratura_e_globalizzazione/3.htm
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