Spending review, Roberto Perotti lascia Palazzo Chigi e torna alla Bocconi.
I tagli si fermano a 6 miliardi, a metà dell'opera
Andrea Carugati, L'Huffington Post
Pubblicato: 14/10/2015 18:50 CEST Aggiornato: 3 ore fa
La scena si consuma una settimana fa a palazzo Chigi. Roberto Perotti, 54 anni, ordinario di Economia politica alla Bocconi, da un anno consulente economico di palazzo Chigi e commissario alla spending review, ha appena finito di leggere le ultime bozze della legge di Stabilità. E non è per nulla soddisfatto. Del suo lavoro sulla spending, un lavoro certosino e pronto all’uso, non c’è praticamente nulla. Soprattutto mancano i tagli più qualificanti: ai ministeri, alle partecipate, agli stipendi dei dirigenti dell’apparato centrale e locale. Dopo un anno di lavoro gratuito a fianco di Renzi, è il momento di mettere la parola fine. Il premier si sforza di convincerlo a restare, raccontano fonti di palazzo Chigi. Promette che i tagli si faranno al più presto. Ma il prof è irremovibile. E decide di lasciare la “war room” di palazzo Chigi, senza però dimissioni formali alla vigilia della manovra. I due si lasciano con un punto interrogativo. “Dobbiamo riparlarne”. Da quel momento Perotti smette di seguire la manovra in prima persona. Si fa da parte. Potrebbe rientrare- spiegano fonti di palazzo –solo davanti alla prova di una “reale volontà politica” del governo di mettere mano ai tagli. Quella volontà che finora è mancata. L’occasione potrebbe essere l’anticipo di alcuni dei decreti attuativi della riforma della Pa targata Madia.
Del lavoro sui tagli alla spesa iniziato nel settembre 2014, a fianco del deputato dem Yoram Gutgeld è rimasto poco: solo 6 i miliardi di tagli che saranno effettivamente realizzati a fronte dei 10 più volte annunciati dal governo. Di questi, 2 miliardi saranno di mancato aumento al Fondo sanitario. Con un risultato che rischia di assomigliare pericolosamente alle finanziarie fatte di tagli lineari.
La separazione tra Perotti e Renzi, raccontano le fonti di palazzo, non è stata polemica. Il premier ha cercato di trattenere il professore, il quale però è rimasto sulla sua posizione. Della serie: per restare serve una chiara inversione di rotta, altrimenti è tempo sprecato. Del resto, dopo un anno di “servizio civile” (la definizione l’ha coniata Renzi per un altro consulente, Andrea Guerra), è plausibile che Perotti abbia deciso di tornare al suo lavoro. E tuttavia colpisce il fatto che in questo primo semestre il professore non debba tenere lezione alla Bocconi. Inizierà solo nei primi mesi del 2016. E il suo incarico al governo non aveva una data di scadenza, ma era legato alla durata dell’esecutivo. E dunque, al netto dei rapporti cordiali col premier, sembra prevalere la maledizione dei commissari, che prima aveva colpito altri professionisti del calibro di Enrico Bondi e Carlo Cottarelli: la difficoltà nell’infilare il bisturi dentro la carne viva degli sprechi italici, senza tagliare i servizi. “Il mio lavoro è finito, ora la palla passa al governo e al Parlamento”, ha detto Perotti a chi lo ha contattato nelle ultime ore. Il premier, del resto, avrebbe voluto che la notizia delle dimissioni uscisse solo dopo il sì alla manovra, ma è filtrata prima.
Del lavoro fatto in un anno insieme a Gutgeld, resta praticamente solo il mega accorpamento delle centrali di acquisto, da 32mila a 35, a cui ha lavorato il deputato renziano. Niente invece sui delicati capitoli delle partecipate, dei tagli non lineari ai ministeri, della rivisitazione delle agevolazioni fiscali e dei sussidi alle imprese. Niente sul taglio degli stipendi ai dirigenti delle regioni e dei ministeri, nel delicatissimo fronte dei costi della politica.
A palazzo Chigi il timore è che la notizia delle dimissioni di Perotti (che il premier ha in qualche modo congelato fino a dopo la sessione di bilancio, con l’avallo del professore) venga letta come un modo per non mettere la firma sulla manovra che verrà partorita giovedì dal Consiglio dei ministri di giovedì. Una preoccupazione fondata, salvo sorprese della ultima ora. I numeri, del resto, parlano chiaro: dei 6 miliardi di tagli, 2 sono di mancato aumento del fondo sanitario; altri 1,5 miliardi derivano dall’accorpamento delle centrali di acquisto, e 1,5 dai tagli ai ministeri. Nel totale, è previsto un altro miliardo da altre voci ancora non dettagliate. I tagli ai ministeri non sono quelli previsti da Perotti, ma col vecchio meccanismo semi-lineare, con una media del 3% che però maschera i minori tagli ai comparti della Difesa, Sviluppo, Agricoltura e Ambiente. Stop al taglio delle agevolazioni fiscali e dei sussidi alle imprese, e anche al progetto di calare la scure su almeno un migliaio delle 8mila partecipate. La stessa Nota di aggiornamento del Def, che parla di una maggiore “gradualità” della spending, ricorda i ritardi accumulati da Regioni, enti locali e università nella predisposizione del piano sulle partecipate.
In zona Cesarini, il governo potrebbe decidere di anticipare alcuni decreti attuativi della riforma Madia della Pa. Ma in ogni caso i risparmi previsti per il 2016 resterebbero sotto il miliardo. E così, di quei 6 miliardi di tagli per il 2016, poco o nulla può essere definito seriamente come una spending review. Per coprire una manovra da 27 miliardi, il governo sta pensando, oltre ai margini di flessibilità europei (13 miliardi di richiesta a Bruxelles di cui 6,5 già certi) e al rientro dei capitali dall’estero (già 2 miliardi incassati a fine settembre) ad alcune “una tantum”, da agganciare ad altre clausole di salvaguardia. Con il rischio di scaricare una parte cospicua della manovra 2016 sull’anno successivo. Un menu assai diverso dagli auspici del ministro Padoan. E assai lontano dal lavoro certosino di tagli predisposto dal professore della Bocconi. In queste ore tra palazzo Chigi e via Venti settembre il lavoro sui testi e sui numeri è incessante. Renzi preme per aggiustare in corsa la direzione di una manovra che rischia di deludere molte aspettative da lui stesso suscitate. Ma, dopo il successo in Senato, non è detto che stavolta riesca a centrare l’obiettivo.
Da -
http://www.huffingtonpost.it/2015/10/14/spending-review-perotti-lascia-palazzo-chigi_n_8295436.html?1444841435&utm_hp_ref=italy