Economia & Lobby
Crisi Grecia: la tragedia ellenica è anche un problema di visione del mondo
Di Michele Carugi | 7 luglio 2015
La vicenda greca che sta volgendo al termine ha scatenato nelle opinioni pubbliche mondiali un dibattito che è andato ben oltre l’analisi tecnica della situazione, dividendo tra rigoristi completamente intransigenti e solidaristi a oltranza a prescindere e questa differenza si sta radicalizzando dopo il referendum.
Al netto delle estremizzazioni prevalentemente ideologiche, ciò si riporta nella sostanza al dibattito eterno tra i fautori della redistribuzione del reddito e i “meritocratici” che vedono la via d’uscita dalla povertà nell’impegno e i diritti come tali solo se guadagnati.
Questa diversa visione di società possibile si è estrinsecata storicamente anche nella marcata differenza tra cattolici e protestanti, con i primi tendenti a mettere al primo posto tra le priorità sociali la solidarietà e i secondi che la subordinano da sempre non al solo stato di necessità, ma anche al fatto che esso non derivi da mancanza di impegno e di rigore prima di tutto verso sé stessi.
E non è casuale che le campane della solidarietà a prescindere verso la Grecia e più in generale verso le frange meno abbienti nelle varie nazioni vengano suonate a distesa soprattutto dalla Chiesa cattolica (gli interventi dell’attuale Papa lo testimoniano giornalmente) e da organizzazioni politiche che si rifanno ideologicamente (anche se in maniera progressivamente meno marcata) al pensiero comunista.
In principio, l’affermazione che tutti gli uomini sono uguali, che devono avere pari opportunità e accesso alla ricchezza non fa una piega e su questa tutti concordano; chi si sognerebbe di promuovere un’idea di società basata sulla diseguaglianza, sull’opportunità basata sulla nascita e sull’impermeabilità della ricchezza tra le varie classi sociali? Il feudalesimo è morto da duecentocinquanta anni e non se ne sente la mancanza, come certamente farebbe piacere che tutte le nazioni (non solo quelle europee) potessero godere di una buona condizione di vita.
Tuttavia il diavolo sta nei dettagli; per esempio nella definizione di pari opportunità e di come le si generino o nella definizione di equità. I devoti al solidarismo danno l’impressione di guardare meramente a pari opportunità di spesa e di tenore di vita attraverso la distribuzione equa (secondo loro) della ricchezza indipendentemente dal perché alcuni Stati o individui l’abbiano accumulata e altri no. E sempre i solidaristi paiono intendere equità come sinonimo di eguale disponibilità di mezzi.
Per i rigoristi, viceversa, le pari opportunità consistono, nell’ambito delle singole nazioni nel dare a tutti analoghe possibilità di successo indipendentemente dal censo di nascita e ciò dovrebbe concretizzarsi per esempio nel supporto allo studio (non necessariamente e anzi forse meglio se non, attraverso la scuola pubblica) e nell’accesso a finanziamenti per chi voglia fare impresa e non abbia una ricchezza familiare che lo consente.
Garantite (in modo rigoroso) le pari opportunità di partenza, tuttavia, il rigorista non prescinde da ciò che ciascuno vuole o riesce a farne e qui, fatalmente, nascono differenze anche enormi, perché il rigorista interpreta l’equità come “eguale compenso per eguali impegno e capacità”.
Su questi dettagli lo scontro diventa nello specifico fatalmente violento perché per i solidaristi al popolo greco dovrebbe essere condonato il debito perché possa godere dei necessari mezzi mentre per i rigoristi l’idea è che se hai vissuto (a debito) per anni sopra le tue possibilità fatalmente dovrai vivere per anni al di sotto delle tue possibilità (cioè in ristrettezze) per ripagarlo.
Per i solidaristi lo Stato deve rastrellare più risorse possibili (quando riesce a trovarle al netto dell’evasione fiscale anche incoraggiata dall’eccessiva tassazione) e ridistribuirle in forme varie, sotto forma di posti di lavoro artificiali, sussidi senza troppa analisi sull’effettiva indigenza, fiscalizzazione delle tariffe dei servizi commisurandole al reddito (ahimè, accertato); diversamente, i rigoristi ritengono che la tassazione non debba essere esasperatamente progressiva, che i patrimoni quando onestamente accumulati siano da rispettare, che una volta assolti i propri compiti fiscali i servizi debbano essere pagati in funzione della loro fruizione e che il tenore di vita possa essere molto diverso a fronte di diverse storie di impegno, lavoro, capacità, talvolta anche fortuna.
Guardando puramente allo stato delle economie delle varie nazioni sembra non esserci partita; i paesi dell’Europa del Nord che hanno radici solide nell’etica protestante o quelli anglosassoni che pongono l’iniziativa e la libertà dell’individuo al primo posto (anche negli assetti costituzionali) se la passano assai meglio di quelli dell’Europa del Sud.
E’ assai difficile che le nazioni che hanno raggiunto un benessere più diffuso grazie anche alla loro organizzazione sociale siano disposte a sacrifici e benevolenza per e verso chi sembra dimostrare di non essere troppo disposto ad adeguare taluni sistemi (per esempio quello pensionistico) a quello che gli altri Paesi hanno già fatto, ma soprattutto che siano disposte a lasciar credere che essere politicamente e socialmente rigorosi oppure no possa alla resa dei conti essere un particolare marginale, con il rischio che anche le proprie opinioni pubbliche comincino a crederci e a desiderare soluzioni apparentemente facili ma fatalmente perdenti.
Pertanto, assunto che la tragedia greca resterà in ogni caso una tragedia, l’unica via possibile sembra che la Ue, sotto l’influenza determinante di Europa centrale e del Nord tenga duro, riportando la Grecia di fronte alla sua democratica e autonoma decisione se fallire o riformarsi e poi fornisca alla Grecia aiuti umanitari, cosa che è già stata ventilata.
Perché il problema principale non è se aiutare la Grecia, ma il non volerlo fare alle condizioni di chi a dispetto della storia pensa che la redistribuzione esasperata del reddito sia la via. E perché i paesi del Nord e gli anglosassoni hanno ben assimilato la famosa frase della Thatcher che “il problema del socialismo è che, prima o poi, i soldi degli altri finiscono”.Di Michele Carugi | 7 luglio 2015
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