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Autore Discussione: Marco Galluzzo. Il summit di Brisbane  (Letto 2764 volte)
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« inserito:: Novembre 16, 2014, 05:46:02 pm »

Il summit di Brisbane

G20: i Paesi più ricchi crescono, ma aumenta la diseguaglianza
Quest’anno il 36% della crescita dei Paesi più ricchi del mondo (in totale 17mila miliardi di dollari) è andata all’1% della popolazione più agiata

Di Marco Galluzzo inviato a Brisbane

Sono in teoria i Paesi più ricchi e influenti del mondo, ma sono anche molto più indebitati di prima, non riescono più a crescere come vorrebbero, non creano a sufficienza posti di lavoro e soprattutto costruiscono diseguaglianza. L’Italia eccelle in alcuni difetti: il debito in primo luogo, poi la crescita; qui a Brisbane è la Cenerentola del summit, 19esima per capacità di aumentare il prodotto interno, al 20esimo posto c’è la Russia di Putin.

La ricetta
I numeri e le statistiche del G20 sono in qualche modo impietosi: sabato e domenica i leader del pianeta cercheranno di mettere a punto una ricetta globale per la crescita, ma dal giorno in cui l’Australia ha assunto la presidenza del vertice, nel dicembre del 2013, la ricchezza complessiva dei 20 è cresciuta di 17 mila miliardi di dollari. Mica male, peccato che il 36% di questa crescita, 6200 miliardi, è andata all’1% dei più ricchi nei rispettivi Paesi. Alla ricerca disperata di crescita dunque ma anche di eguaglianza, come evidenziato in un rapporto pubblicato alla vigilia del summit da Oxfam International. Il problema è che per la crescita ci vogliono gli investimenti: in Australia ne attraggono a tassi che in Europa sono sconosciuti, e proprio il governo di Canberra ha pensato ad un hub finanziario e globale per coordinare gli investimenti internazionali.

Investimenti
Si deciderà forse fra sabato e domenica, così come fra sabato e domenica, come ha chiesto più volte Renzi, il nuovo presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, dovrebbe far capire qualcosa di più del piano di investimenti da 300 miliardi che sta preparando per il Vecchio Continente. «Solo qualcuno in Europa non coglie la priorità della crescita», ha detto qualche giorno fa il capo del governo, pensando probabilmente proprio alle autorità della Ue, forse anche a Berlino e alle rigide regole di austerity dei bilanci. Di sicuro la crescita che da Brisbane viene rincorsa ha come obiettivo diretto il Prodotto interno lordo, concetto diverso dalla ricchezza dei cittadini. I Paesi del G20 rappresentano il 90% del Pil mondiale, l’80% degli scambi commerciali, ma ospitano anche la metà dei poveri del mondo. E l’elusione fiscale della grandi corporation, che qui a Brisane verrà discussa e in qualche modo affrontata, farebbe perdere ai Paesi in via di sviluppo almeno 100 miliardi di dollari di mancate entrate fiscali. L’Italia, la Cenerentola del summit, almeno per crescita di Pil, è fra coloro che chiedono a gran voce la crescita economica.

Oggi Juncker, accusato di aver diretto per alcuni lustri un Paese come il Lussemburgo, dove tutte le corporation del mondo eludono i propri regimi fiscali, parlerà del prossimo piano di investimenti che Bruxelles sta preparando. Oltre alle speranze, anche le contraddizioni, qui a Brisbane, non mancano. Nel frattempo, mentre rincorrono la crescita, di sicuro aumenta la diseguaglianza: in 15 dei 19 Paesi del G20 (il ventesimo posto è della Ue), negli ultimi dodici mesi, il reddito è cresciuto in gran parte solo per l’1% della popolazione più ricca. Le 4 eccezioni sono Giappone, Arabia Saudita, Stati Uniti e Canada.

15 novembre 2014 | 10:40
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/economia/14_novembre_15/g20-paesi-piu-ricchi-crescono-ma-aumenta-diseguaglianza-b33cad20-6ca9-11e4-b935-2ae4967d333c.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 08, 2015, 12:01:00 am »

Il retroscena
Renzi apre alle modifiche: «Ma il futuro della scuola non è in mano ai sindacati»
Il premier: discutiamo senza cambiare i punti sostanziali.
La minoranza dem continua a giudicare la riforma «lontana dalla nostra cultura politica»

Di Marco Galluzzo

ROMA «La scuola italiana non è dei sindacati, è degli studenti e del loro futuro e negli ultimi decenni questo futuro non lo ha costruito. Con questa riforma per la prima volta l’autonomia non è solo una parola introdotta da Berlinguer, ma un concetto su cui stiamo investendo e cambiando tutto».

Matteo Renzi guarda le piazze, le manifestazioni, il primo sciopero generale della scuola dopo 7 anni, ma non cambia idea. «Non cediamo di un millimetro», su questo come su altri punti. «Ho appena rischiato di andare sotto sulla legge elettorale figuriamoci se ci fermiamo perché i sindacati e tanti professori difendono un sistema scolastico costruito su un’ipocrisia, un’autonomia che non è mai realmente partita, una scuola scollegata dal mondo del lavoro, un preside che non può decidere nel proprio istituto».

Del resto è la «sua» riforma anche in senso letterale: il testo che gli fu presentato, il giorno prima del Consiglio dei ministri che approvò la riforma, lo giudicò «poco coraggioso». Finì di leggerlo e le sue mani strapparono in due i fogli della bozza, davanti ad un attonito ministro. Palazzo Chigi riscrisse, il governo il giorno dopo approvò la nuova versione, con le correzioni che Renzi in prima persona volle a tutti i costi.

Anche per questo, oggi, davanti alla protesta, le aperture del premier possono essere «sulle modalità di assunzione» dei precari, come ha detto ieri a Trento, o ancora su correttivi organizzativi, o ancora sul potenziamento dei poteri del consiglio d’istituto, ma su tutto il resto figuriamoci «se ci mettiamo a concertare».

Ed è curioso che ieri sia stato proprio Renzi a tendere, almeno a parole, una mano alle ragioni dei manifestanti, «siamo disposti ad ascoltare e condividere, confrontarci su tutto con grande serenità». E questo mentre invece il ministro offriva ai cortei dello sciopero la faccia più dura, e si incaricava di bollare la protesta come «politica ed elettorale».

Renzi non lo ha fatto, pur condividendo il giudizio, ma ha fatto sapere, ovviamente anche al suo partito, che i pilastri della riforma non si toccano: potenziamento dell’autonomia e poteri del preside, che può avere alcuni contrappesi, ma che deve conservare la possibilità di scegliere realmente i docenti, di avere in concreto la capacità, anche finanziaria, di essere considerato «come il sindaco di una piccola città» (metafora governativa che richiama l’esperienza precedente del premier) e di conseguenza valutato se non è all’altezza.

Insomma una cornice che riapre lo scontro, almeno ideologico, di alcuni giorni fa, su un tema apparentemente molto distante, come la legge elettorale. Ieri Civati e altri della minoranza dem hanno giudicato la riforma della scuola «lontana dalla nostra cultura politica».

Per Renzi invece dare più poteri e più responsabilità al preside-sindaco, togliendone magari ai sindacati, significa esattamente il contrario: introdurre elementi di trasparenza, democrazia decisionale, merito e responsabilità, che dovrebbero riavvicinare il nostro sistema a quello di Paesi che hanno migliori risultati e maggiori risorse da spendere.

È una frattura, anche ideologica, difficilmente componibile. Renzi immagina un preside che deve essere valutato ed eventualmente sanzionato se la scuola non è all’altezza: poteri insieme a responsabilità, reali. Stigmatizza come se fossero la ragione di tutti i mali «le circolari ministeriali e sindacali». Una parte del suo partito ha costruito e difeso il mondo delle circolari, all’insegna di una centralità ministeriale, e di un’idea egualitaria di scuola, che per il leader del Pd hanno finito per soffocare l’istruzione.

Per questo gli emendamenti che in queste ore si discutono in Parlamento passano il vaglio diretto del premier: nel confezionare l’offerta formativa il preside può essere affiancato dal consiglio docenti, nel premiare il merito può essere «coadiuvato» da un comitato di valutazione, due emendamenti, via libera da Palazzo Chigi. Ma sullo scegliere i docenti il potere del preside-sindaco non può essere intaccato. Per Palazzo Chigi è stato pollice verso.

6 maggio 2015 | 07:26
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/15_maggio_06/renzi-apre-modifiche-ma-futuro-scuola-non-mano-sindacati-b7a0841c-f3af-11e4-8aa5-4ce77690d798.shtml
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