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Autore Discussione: «Silvio come Lenin, genio e fisicità»  (Letto 3896 volte)
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« inserito:: Novembre 20, 2007, 11:11:37 pm »

«A San Babila Berlusconi mi ricordava Eltsin che parla dal carroarmato»

«Silvio come Lenin, genio e fisicità»

Parla il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, amico di lunga data del Cavaliere: «Silvio ha la potenza»


ROMA - «Le immagini di piazza San Babila stracolma di gente che lo circonda, e lui che sale sul predellino dell'auto per salutare, mi ricordano l'arrivo di Lenin in Russia a bordo del treno piombato».

Solo Confalonieri poteva permettersi di paragonare Berlusconi al capo dei bolscevichi. Ma se azzarda l'accostamento tra il Cavaliere e il fondatore dell'Unione Sovietica, è perché vuol dare l'idea che domenica a Milano si è verificato un evento storico, «mi ha fatto venire in mente anche Eltsin che parla ai moscoviti dalla torretta del carro armato, all'epoca del tentato golpe contro Gorbaciov... Insomma, quelle foto sono la dimostrazione che Berlusconi, oltre i contenuti, ha la potenza della fisicità».

L'enfasi basta e avanza per capire quanto il presidente di Mediaset sia «entusiasta» della svolta decisa dal Cavaliere, «una mossa geniale e coraggiosa »: «Perché serviva davvero coraggio, e lui ha dimostrato di averlo». Per un istante il senso del dovere lo frena, «visto il mio ruolo è preferibile che non parli di politica». Ma poi il vincolo dell'amicizia prevale e il capo del Biscione si offre. E ovviamente si schiera: «Un giorno il maestro Muti mi ha raccontato una bella frase del pianista Richter, secondo il quale un artista è unexpected. Ecco, il lato artistico di Berlusconi è quello di essere sorprendente». Non c'è nemmeno il tempo di rammentargli che Sviatoslav Richter appartiene alla tradizione sovietica, perché Confalonieri è già oltre, «Berlusconi non è stato solo sorprendente, ha avuto anche tempismo. Volevano processarlo... Processarlo. Ed era chiaro quale fosse l'obiettivo».

Metterlo da parte, togliergli il ruolo di leader, insomma, esautorarlo. «Lui invece, pam, ha scompaginato tutto. Chapeau». È compiaciuto per il fatto che «la politica si evolve, anche se come presidente di Mediaset mi auguro che nel mio settore continui lo status quo». E la risata è un modo per mettere tra parentesi l'unico sconfinamento, e per troncare le voci che avrebbero voluto le tv di Berlusconi al centro di un'operazione mediatica contro il leader di An: «Il nostro comunicato era dovuto, perché non potevamo far accreditare l'idea di un complotto ai danni di Fini. Ed era una tiratina di orecchie a Striscia la notizia, salvaguardando però la libertà di espressione che da noi è sacra».

Probabilmente anche quella vicenda ha contribuito alla mossa del Cavaliere, che è parsa come una seconda discesa in campo, dopo la famosa sortita di Casalecchio di Reno nel '93: «È diverso. Se possibile ancora più importante. A quei tempi Berlusconi fu ridicolizzato: "Come si permette — gli dissero — di occuparsi di politica". Dopo un decennio non è più un outsider, tutti lo conoscono. Eppure anche stavolta è riuscito a sorprendere gli addetti ai lavori».

Inutile chiedergli se e quanti errori ha commesso l'amico in questi anni, e soprattutto in questa fase, punteggiata da spallate mai realizzate: «Mi auguro che la scelta di Berlusconi produca una scossa nel Palazzo. Si decidano ad affrontare i problemi del Paese, che per riprendersi chiede di essere governato».

Francesco Verderami
20 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 20, 2007, 11:12:32 pm »

«Berlusconi rivela la sua forza. Per il Pd rischio di un populismo dolce»

«Si torni subito al proporzionale»

Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti: ora il sistema tedesco è più forte. «Un De Gaulle non è nelle nostre corde»

 
ROMA — L'appuntamento con il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, era fissato per parlare del voto sulla Finanziaria, del precario equilibrio di governo e della legge elettorale. Ma ecco, a mandare all'aria le carte, Silvio Berlusconi, con l'annuncio del partito del popolo e la sentenza di morte del bipolarismo.

Ancora una volta il Cavaliere riesce a spiazzare tutti?
«Ancora una volta rivela la sua forza trasformando una cocente sconfitta in un'opportunità. È la mossa di un surfista che sta sull'onda e compie un'acrobazia. Nella crisi della politica, Berlusconi capisce che abbiamo alle spalle la pars destruens, che è iniziata proprio con lui, e che ora comincia la pars costruens nella quale si definiscono nuovi soggetti. Capisce e si allinea. Nello stesso tempo mantiene la sua cifra originale e la potenzia. Scioglie l'incertezza tra un solitario protagonismo, quello che durante la campagna elettorale gli ha consentito un'imprevedibile rimonta, e il vecchio impianto di alleanze. Ha scelto di fare il leader della gente. Ha scelto la via del populismo. Tutto è scavalcato in un rapporto assoluto tra il leader e il popolo, è l'unica alleanza riconosciuta».

Ma Berlusconi sancisce anche la fine del bipolarismo.
«È evidente che un sistema politico non si cancella con un decreto, neppure se ad emanarlo è uno dei principali inventori del sistema medesimo. Ma il fatto che proprio Berlusconi oggi ne sanzioni la fine è davvero il segno del fallimento più totale di questa lunga fase di transizione».

Saluta con soddisfazione questa ammissione?
«Constato che è così. Non vado oltre perché, come nell'Angelus Novus, mentre si può andare verso il futuro, non si può non vedere il cumulo di macerie che ci sta alle spalle. È franata l'idea del revisionismo della Costituzione, che si voleva mettere in discussione dalle fondamenta. Ed è fallita la concezione del sistema maggioritario e delle alleanze coatte. C'è stata al contrario una frammentazione delle forze in grado di alterare la dialettica politica. Il rischio è tornare al Parlamento di Giolitti e al trasformismo».

Colloca Lamberto Dini in questo quadro?
«Il mio ruolo di presidente della Camera mi impedisce di dare giudizi specifici. Posso dire che nel tempo presente non c'è alternativa al far fuoco con la legna che si ha».

Il governo Prodi deve andare avanti?
«La maggioranza deve trovare la forza di proseguire. Bisogna accelerare lo sblocco del sistema e uscire dalla prigione delle alleanze coatte».

La via d'uscita è il sistema proporzionale?
«Sì. Bisogna restituire ai partiti l'onere e l'onore di essere i protagonisti della vita politica. È l'alfa e l'omega della partecipazione democratica. Questo è il punto dirimente senza il quale non c'è un'uscita virtuosa dalla crisi. Altrimenti si passa dalle alleanze coatte alla tentazione del fare da solo».

Di nuovo Berlusconi?
«Sì, ma non è l'unico».

Si riferisce anche al Pd e a Veltroni?
«Non vorrei attribuire una tentazione esplicita. Certo, il populismo non è unicamente di destra, non c'è solo il populismo hard di Berlusconi ma anche quello dolce di centrosinistra che si concentra sul fenomeno di opinione piuttosto che sul radicamento nella società e sulla individuazione dei soggetti di riferimento».

Un rischio che intravede nel Pd?
«Non è obbligatorio ma c'è». Lei invece vuole rimettere i partiti con i loro programmi e il sistema delle alleanze al centro delle scena. «Sì. E se non ci riusciamo il rischio è quello di un logoramento simile alla quarta repubblica francese. Un impantanamento senza soluzione organica che dà luogo ad un aggravarsi della crisi in attesa del colpo di maglio».

In attesa di un De Gaulle italiano?
«No, perché non è nelle corde del Paese e perché non c'è De Gaulle. Se devo materializzare questa deriva non penso ad una soluzione autoritaria ma tecnocratica, dei poteri forti».

Paventa Draghi, Monti o Montezemolo a Palazzo Chigi?
«Lasciamo stare il governatore della Banca d'Italia. I nomi possono essere molti. Questa soluzione non è alle porte ma se la crisi continua e la politica declina, declina, declina, poi arriva qualcosa che la mette fuori anche senza bisogno di colpi di Stato».

E la proposta di Veltroni di riforma del sistema elettorale?
«Tutto ciò che ci fa uscire da una condizione di impotenza va apprezzato. Rimarco con favore le dichiarazioni di Veltroni sul passaggio al proporzionale e sul no al premio di maggioranza. Da partigiano del modello tedesco, penso che si debba fare presto, con un doppio canale, quello parlamentare e quello del confronto tra le forze politiche».

Ma anche Berlusconi si dice convertito al sistema tedesco. Può essere un compagno di strada?
«Nelle riforme istituzionali non valgono i confini tra maggioranza e opposizione. Ogni forza politica presente in Parlamento va considerata per le proposte che avanza e, con la dichiarazione di Berlusconi, l'opzione già prevalente per il sistema tedesco si rafforza notevolmente».

Veltroni deve trattare con Berlusconi?
«No, no, sarebbe un errore. La trattativa è una via sbagliata perché individua degli azionisti di maggioranza. E invece serve il concerto di tutte le forze, senza che nessuno abbia il diritto di veto e senza entrare in collisione con il percorso parlamentare».

Berlusconi dice: facciamo la riforma purché sia chiaro che alla fine si vota.
«Bisogna separare la sorte del governo da quella delle riforme istituzionali, perché l'una riguarda la maggioranza e l'altra tutto il Parlamento».

Ma il percorso resta minato. Che succederà sul Welfare, con Dini che tira da una parte e Rifondazione dall'altra?
«Quello che è successo per la Finanziaria può valere anche per altri temi. Pensare di uscire da un quadro di incertezza con un sistema politico che l'incertezza l'ha introdotta è velleitario e pericoloso».

Me se l'incidente c'è e Prodi cade?
«La soluzione è un governo istituzionale che faccia la riforma elettorale. Noi abbiamo un presidente della Repubblica che svolge il suo ruolo in maniera eccellente e che è una garanzia per il Paese, possiamo contare sulla sua cultura democratica e sulla sua autorevolezza. Saranno sue scelte, ma ha già detto in più occasioni che non gli pare convincente andare a votare con questa sistema».

Governo di larghe intese?
«Nemmeno per sogno. Perché mai? Le larghe intese o anche un governo tecnico sono soluzioni politiche. Il governo istituzionale è un'altra cosa».

Però il presidente del Senato Franco Marini si è tirato fuori.
«Non voglio andare oltre in questa discussione. Diventa un'ulteriore destabilizzazione della politica. Abbiamo un governo in carica e penso che debba durare».

Ma è stato lei stesso a dire che il governo è malato.
«Nessuno può pensare che dopo un anno e mezzo di questa esperienza possa esserci un colpo d'ala fino a configurare una sorta di potente governo della grande riforma. Ciò potrebbe venire solo da un nuovo sistema politico e dalla rifondazione a sinistra di nuovi grandi soggetti. Questo governo deve affrontare i problemi quotidiani, pur con la capacità di interventi importanti».

Eppure Prodi nella sua intervista a «Repubblica » ha parlato proprio di grandi programmi.
«Se ce la fa, meglio. È giusto che il capo del governo abbia l'ottimismo della volontà. Io, per realismo, dico che una compagine così eterogenea determina un'esigenza di tessitura. Un compromesso dinamico che non deve essere considerato un'ipotesi minimalista. Certo, un miglioramento del rapporto tra il governo e il Paese è necessario, a partire dalla capacità di affrontare le grandi questioni sociali».

Ma se la deriva non si arresta, lei non avrebbe la tentazione di aprire la crisi da sinistra prima di una caduta da destra?
«Insisto, non sono protagonista di questa vicenda politica. Tuttavia questa ipotesi di una caduta da sinistra non la vedo e non l'ho mai vista».

Quindi andate avanti aiutando il malato con i brodini.
«Non è male. Se poi riusciamo a metterci anche qualche pezzo di carne, meglio».

Marco Cianca
20 novembre 2007

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