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Autore Discussione: C. Martinetti La Legion d’onore non si addice a chi rivela le torture in Algeria  (Letto 2362 volte)
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« inserito:: Agosto 02, 2014, 10:29:26 am »

Cultura
29/07/2014

La Legion d’onore non si addice a chi rivela le torture in Algeria
Nel 2001 il generale Aussaresses aveva infranto l’ipocrisia ufficiale della Francia sulla “sporca guerra”.
Da allora, racconta oggi la vedova, non ebbe più pace

Cesare Martinetti

Chisi ricorda di Paul Aussaresses? Probabilmente pochi, eppure tredici anni fa - eravamo appena dopo l’11 settembre - questo generale dei paracadutisti francesi, benda nera da pirata sull’occhio sinistro, sguardo fiero ma non altero, voce pacata e di antica cortesia, fu il protagonista di un caso storico non da poco. Nel suo primo libro di memorie, uscito dall’editore Perrin con un titolo che più anonimo non si può (Servizi Speciali, Algeria 1955-57) aveva rotto uno di quei tabù storici che costituiscono la memoria del disonore di molti Paesi. Aussaresses disse quello che tutti sapevano ma che non osavano confessare: che l’Armée aveva usato sistematicamente la tortura contro i patrioti algerini che combattevano per un’indipendenza che avrebbero conquistato di lì a poco, nel 1961. 

Si poteva pensare che la Francia del terzo millennio avesse in qualche modo digerito l’imbarazzante confessione e invece si scopre ora che non è così, anzi. È il vero rovescio della medaglia di quella rivelazione, dato che tra i dettagli di questa storia c’è anche una medaglietta in senso proprio, quella di «Commandeur de la Légion d’honneur» che fino al 2005 ha adornato il petto del vecchio generale, fino a quando cioè non gli è stata strappata dal presidente Chirac per «disonore». Il Presidente si era detto subito «horrifié», orripilato, dalle sue rivelazioni. 

Chirac, uno dei politici più longevi (dodici anni all’Eliseo) e influenti della Quinta Repubblica, non si era mai accorto che - per esempio - la proiezione del film di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri è stata vietata per 40 anni nella sale francesi? Eppure proprio di tortura e varie altre crudezze usate dall’esercito della declinante potenza coloniale si raccontava in quella pellicola che divenne persino uno strumento di studio nelle accademie militari, non solo americane. Si guardava il lavoro del regista italiano per elaborare piani di contrasto alle guerriglie urbane, quelle guerre non convenzionali in cui non si deve affrontare un esercito nemico sul campo ma un popolo nemico, talvolta armato anche di bombe ma spesso disarmato.

E invece non solo la Francia non ha digerito le confessioni di uno dei suoi generali più decorati, ma ha severamente castigato il suo autore confermando una volta di più un altro degli atteggiamenti ricorrenti quando entra in gioco la ragion di Stato (in questo caso si può immaginare di non voler dare nessun pretesto di rivolta alle sue esplosive banlieues): il colpevole viene punito non per quello che aveva fatto ma per quello che ha detto. È stata la vedova Elvire a rivelare l’assedio e le umiliazioni subite dopo il 2001 dal vecchio generale: lo ha raccontato nei giorni scorsi a Florence Beaugé, la giornalista di Le Monde che per prima aveva raccolto le sue confessioni. 

 
L’impatto di quelle rivelazioni, ricorda Elvire, fu «enorme». Aussaresses fu sbattuto su una giostra mediatica che lo ha logorato. Ma il punto è che la maggior parte dei suoi interlocutori non volevano sapere la verità, ma cercavano di strappargli un rimorso. E insieme gli chiedevano di giustificare con il «contesto» del momento storico atti che apparivano inaccettabili, ora, all’opinione pubblica. E invece Paul Aussaresses, ha raccontato Elvire, non si è mai pentito di nulla, non ha mai revisionato il suo racconto, aveva semplicemente l’orgoglio di aver detto la «verità».

In quei giorni Paul Aussaresses diede anche un’intervista alla Stampa e possiamo confermare che il vecchio generale era esattamente come lo ha descritto ora la vedova. Ci parlò del «dovere della memoria», confermando che la tortura veniva praticata sistematicamente, non episodicamente. Dandone con ciò una gelida giustificazione: «Quando un governo chiede al suo esercito di combattere un nemico che utilizza il terrorismo per costringere la popolazione a seguirlo, è impossibile che questo esercito non usi mezzi estremi». Et voilà, così, semplicemente e persino banalmente.

Ma cosa è accaduto dopo una così impegnativa rivelazione? Dice Elvire - che ne era la seconda moglie - che due delle tre figlie si rivelarono piuttosto sensibili alle pressioni di vecchi generali che chiedevano loro di internare il padre per impedirgli nuovamente di parlare. Fu il suo avvocato ad avvertire Aussaresses della manovra e aiutarlo a rifugiarsi in Alsazia da Elvire. Da qui non si sarebbe più mosso fino al 2013, quand’è morto alla venerabile età di 95 anni: «Ultimamente era diventato un po’ indifferente a tutto, non ha mai espresso rimpianti, semmai gli dispiaceva che la Francia non avesse ancora ufficialmente riconosciuto ciò che è avvenuto in Algeria». 

La cosa che gli fece più male fu la perdita della Légion d’honneur: per uno che s’era infiltrato tra i nemici facendosi paracadutare con l’uniforme tedesca e che conservava una lettera personale di De Gaulle che lodava l’«audacia e il coraggio» di un eroe della Francia libera, fu davvero uno smacco insopportabile.

Da - http://lastampa.it/2014/07/29/cultura/la-legion-donore-non-si-addice-a-chi-rivela-le-torture-in-algeria-QM8Pxpl1SRbDbdL5Q99rnM/pagina.html
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