Quelli che non ce la fanno
Roberto Cotroneo
È come una tragica fotografia in bianco e nero la notizia che le agenzie hanno battuto alle 14 di ieri. Un operaio di Macerata si è impiccato in fabbrica perché non poteva più pagare il mutuo della casa. Lascia una moglie senza lavoro e una bimba di sei anni. È una fotografia in bianco e nero lontana nel tempo e lontana dall'immaginario di questi anni. Lontana dall'idea che il futuro sarà sempre meglio che il passato. Dall'idea che in un modo o nell'altro le cose si aggiusteranno. Lontana dall'immagine di un paese che non esiste più.
Un paese che storicamente e socialmente non ha nulla a che fare con certi drammi dei paesi che sopportano un capita-lismo spietato e senza ancore di salvezza, dove si può passare da una vita agiata o dignitosa alla povertà più assoluta in un tempo brevissimo, senza che ci si possa fare qualcosa.
Un uomo si uccide perché non può pagare il mutuo. Perché non saprà più dove andare ad abitare. Quella casa è tutto quanto possiede. E non sa come andare avanti. E fino a pochi mesi fa il suo mutuo lo poteva pagare facilmente. La moglie era precaria, con il suo lavoro, diciamo così, flessibile, e la famiglia si poteva mantenere. Poi il lavoro flessibile non c’è stato più. E con un solo stipendio, uno stipendio da operaio, le cose sono peggiorate.
Il gesto tragico di quest’uomo di 43 anni rappresenta uno spartiacque tra due italie. Il punto di non ritorno. Lo si capiva già da un dato, pubblicato qualche settimana fa. Nel 2007, 19 mutui su 100 non potranno essere più pagati. È una cifra altissima, che prelude a un dramma sociale che da noi non ha precedenti. E che è la fine di un paradigma. L’idea di un paese generoso dove una via di uscita c’è sempre, dove nessuno ti porterà mai via quello che hai, dove i tuoi figli vivranno un po’ meglio di come hai vissuto tu. Un paese non ricco forse, ma certo con dei punti fermi. L’assistenza sanitaria per tutti e la casa per tutti, e magari anche un lavoro sicuro. Dunque un futuro accettabile. Un paese dove si lavorava tutta la vita in un posto. E quelli che cambiavano troppe volte lavoro venivano guardati con sospetto, perché era gente inaffidabile. Ricordo ancora che da ragazzo a casa mia si leggeva La Stampa. Ed era frequente trovare nei necrologi, sotto il nome della persona appena scomparsa, la dicitura: «anziano Fiat». Un titolo di merito. Una vita passata nella stabilità e nella serietà, nella fedeltà a un lavoro che ti aveva accompagnato fino alla pensione. Sono tempi, visti oggi, lontani anni luce. Sono i tempi in cui le case si riscattavano, e i figli studiavano un po’ di più. Nessuno dice che si poteva rimanere un paese come quello: è un’ingenuità. Il popolo delle partite Iva, la flessibilità del lavoro sono oggi dei punti fermi, e non si torna indietro. Anche se dietro la flessibilità troppo spesso si nascondono ipocrisie e falsità. E la parola è spesso sinonimo di precarietà, incertezza e soprattutto avvicina troppe volte e pericolosamente alla soglia della povertà. Però quello che è accaduto ieri ha qualcosa di intollerabile, perché è il primo segnale di un futuro che nessuno vorrebbe vedere. E si accompagna alle mille storie di homeless e disperati che, soprattutto nelle nostre grandi città, aumentano di giorno in giorno. E se qualcuno avesse voglia e curiosità di ascoltare le loro storie, scoprirebbe che oltre il dramma della malattia mentale o dell’alcolismo, o della droga, ci sono molte persone che sono finite a dormire per strada dopo aver vissuto vite normali, e persino agiate.
Ci avviciniamo rapidamente alla realtà di paesi come gli Stati Uniti, dove eventi tragici come quello dell’operaio di Macerata sono all’ordine del giorno. Poi si potrà dare la colpa alla congiuntura mondiale, alla recessione, allo spirito dei tempi, oppure a un postcapitalismo becero e aggressivo che tutti chiamano liberismo, il più delle volte con la stessa furbizia e cattiva fede dei venditori di tappeti falsi. Ma è vero che il sistema bancario italiano è tra i meno limpidi e moderni d’Europa, è vero che le banche negli anni scorsi hanno incoraggiato i mutui a tasso variabile già sapendo benissimo che in pochi anni non sarebbero più stati convenienti per il cliente. Ma vantaggiosissimi, va da sé, per gli istituti di credito. Ed è vero che quel paese misericordioso e generoso, forse clientelare e poco lungimirante che siamo stati ha lasciato il posto all’anarchia di un capitalismo di pochissimi, sempre più ricchi e sempre più avidi, privo di etica ed estremo. Sembra un luogo comune, o una leggenda metropolitana, una favola dove i cattivi sono facili da individuare, ma è vero che se c’è un contropotere granitico e inafferrabile, che influenza questo paese, a tutti i livelli, in un modo che non ha precedenti, è proprio il potere delle banche. Dal piccolo debito di quel pover uomo di Macerata, al controllo diretto nelle grandissime aziende da miliardi di euro di fatturato. Senza dare quasi nulla in cambio.
Pochi giorni fa un amico cardiochirurgo che opera in Italia come negli Stati Uniti mi ha raccontato un episodio. Due giovani biotecnologi americani freschi di laurea hanno brevettato un nuovo modello di valvole cardiache. Si sono rivolti a una banca, e hanno chiesto un finanziamento per produrle in tutto il mondo. Sconosciuti, privi di esperienza, senza poter dare garanzie, ma con una fiducia assoluta nel loro prodotto. La banca ha valutato, è entrata in società con loro, e gli ha dato i soldi. E da un anno a questa parte buona parte degli ospedali di tutto il mondo comprano e utilizzano quelle valvole. In Italia sarebbe impensabile.
Eppure da un po’ di tempo a questa parte siamo sommersi da messaggi pubblicitari dove mutui, prestiti, vantaggi vengono concessi con il sorriso, con facilità, persino con simpatia. Anche se si appartiene a quel settore dei lavoratori flessibili, che tradotto prosaicamente, significa quelli che non hanno un posto fisso. Due inviati di una trasmissione televisiva hanno fatto la prova. Sono andati a chiedere un mutuo, con la telecamera nascosta, e non gli è stato dato. Una volta chiesi a un funzionario di banca, da non esperto, il motivo per cui ci fossero così grandi difficoltà a elargire i mutui. Visto che in caso di non pagamento, l’istituto di credito è in grado di riprendersi la casa. La risposta è stata questa, testuale: «Non è vero, facciamo fatica a riprenderci la casa. Se un cliente ad esempio ha un figlio piccolo che all’improvviso si ammala gravemente. È costretto a pagare costose cure mediche per lungo tempo, e per questo motivo non riesce contemporaneamente a pagare anche il mutuo, soprattutto se è l’unica casa che possiede, la casa familiare, per noi ci vogliono anni per recuperare l’immobile». Davvero preoccupante. Più limpido ed eloquente di così...
roberto@robertocotroneo.itPubblicato il: 19.10.07
Modificato il: 19.10.07 alle ore 8.50
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