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Autore Discussione: Filippo SENSI - Cosa resta della Terza Via di Blair e Schroeder  (Letto 1918 volte)
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« inserito:: Giugno 10, 2014, 11:02:14 am »

Cosa resta della Terza Via di Blair e Schroeder

Filippo SENSI
7 giugno 2014

Una sfida che riguarda tutto il Continente e che richiede, ora come allora, il tentativo di una risposta comune, da definire forse anche oggi da parte di una avanguardia di paesi che intendano prendere sul serio il rischio e l’opportunità che l’Europa ha di fronte

Fanno quindici anni giusti giusti del documento sull’Europa, firmato da Tony Blair e dall’allora cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, rimasto famoso come il manifesto della Terza Via che in Germania venne tradotta come Nuovo Centro, la Neue Mitte che riecheggiava il New Labour britannico.

A vergarlo, in realtà, furono Peter Mandelson e il suo omologo tedesco Bodo Hombach, che raccolse in un libro, Aufbruch, lo sforzo teorico di provare a mettere a sistema una sensibilità, un senso di urgenza anche generazionale, la necessità di un taglio netto rispetto ad alcuni dei luoghi comuni più frusti della sinistra continentale.

Da quel tentativo – di cui parlo qui a titolo personale senza che questo riguardi il mio attuale incarico – scaturì un dibattito elevato ed aspro, ormai consegnato agli studiosi, sul senso e la missione, sull’identità stessa di un riformismo che rivendicava come propria sfera d’azione il centro del campo, nella società, nell’economia, nella politica.

Non è il caso di ripercorrere oggi i punti qualificanti di un manifesto che ebbe comunque diversi meriti.

Quello, innanzitutto, di provare ad uscire dall’isolamento delle diverse appartenenze e tradizioni per azzardare una visione comune europea, apparentemente fuori portata per mondi così diversi fra loro come quello inglese e quello tedesco. L’idea, poi, di fare tesoro delle diverse esperienze e dei differenti percorsi in un arco narrativo condiviso che avesse nella innovazione e nella sfida del cambiamento di una società globale i suoi punti focali. Il tentativo, infine, di costruire sopra questa visione un percorso di confronto, una via appunto, perché si uscisse dalla aspirazione dei principi e si costruisse una risposta complessiva, all’altezza, articolata e fondata, ad una società in trasformazione.

Sta di fatto che il passaggio da quella che sembrava una belle époque, sotto tutti i punti di vista (fulminante l’incipit: «I socialdemocratici sono al governo in quasi tutti i paesi dell’Unione») alla duerftiger Zeit attuale, mette in guardia tanto dalla nostalgia – per le mutate condizione socioeconomiche – quanto dalla banalizzazione di una proposta politica che mantiene, sotto diversi aspetti, una perdurante attualità.

Basti pensare all’insistenza sulla “giustizia sociale” come stella polare di quel manifesto, all’impatto delle nuove tecnologie sulla vita quotidiana, alla riflessione su uno stato facilitatore e “enabler”, ai lacciuoli della pubblica amministrazione, all’ingiustificato sospetto da sradicare nei confronti dell’impresa, all’insistenza su politiche fiscali non punitive ed anzi premianti per chi rispetta regole che devono essere più semplici, a politiche del lavoro attive (con l’idea di uno stato che non sia solo «il recettore passivo delle vittime del fallimento economico»), sulla modernizzazione come chiave per una trasformazione radicale anche nella sinistra europea.

Allora come ora si era temporalmente intorno ad una tornata elettorale nell’Unione che oggi porta, tuttavia, con sé l’ansia per l’ascesa di forze nazionalistiche ed antieuropeiste, in particolare in Francia ed in Inghilterra.

Una sfida che riguarda tutto il Continente e che richiede, ora come allora, il tentativo di una risposta comune, da definire forse anche oggi da parte di una avanguardia di paesi che intendano prendere sul serio il rischio e l’opportunità che l’Europa ha di fronte.

Per cambiare le proprie istituzioni troppo lente e complesse; per rispondere alle difficoltà del modello sociale che per anni è stato il vanto dell’Unione; per creare lavoro e competere sul mercato globale con attenzione ai diritti e all’ambiente; per promuovere una politica energetica che metta l’Europa in condizione di agire con visione e pragmatismo; per realizzare finalmente il progetto di una difesa comune a fronte delle minacce che vengono dai confini e dall’interno stesso della Ue.

«La missione per l’Europa di oggi – ha scritto di recente proprio Blair – non è la pace, ma il potere». Un disincanto forse eccessivo, che mette a nudo, tuttavia, una domanda di azione e di elaborazione comune, pena l’obsolescenza, l’irrilevanza e la negazione dello stesso progetto europeo dei Fondatori. Domanda che oggi – come quindici anni fa seppe fare la strana coppia anglotedesca – chiede ancora di essere raccolta e messa rapidamente a frutto.

@nomfup

Da - http://www.europaquotidiano.it/2014/06/07/cosa-resta-della-terza-via-di-blair-e-schroeder/
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