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Autore Discussione: Sara NICOLI - "Davvero dobbiamo dimetterci tutti?"  (Letto 2640 volte)
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« inserito:: Settembre 28, 2013, 04:21:08 pm »

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E con l’applauso a B. scatta il “dimettiamoci tutti”. Pdl si isola per compiacere il capo

Retroscena della giornata che ha portato al redde rationem dei berlusconiani agitata dalla competizione tra Santanchè e Brunetta nel mostrarsi solidali con Berlusconi.

I peones si immolano ma restano smarriti: "Davvero dobbiamo dimetterci tutti?"

di Sara Nicoli | 26 settembre 2013


Il giorno del “grande errore” del Pdl, quello che sta portando i berluscones verso un redde rationem da dove potrebbero uscire con le ossa rotte (e il partito in frantumi) è cominciato ieri all’ora di pranzo a Palazzo Grazioli, dove un Berlusconi in uno stato di prostrazione fisica e mentale (ha preso 11 chili di peso per lo stress, non li ha persi, come invece si era detto in precedenza) aveva chiamato i suoi colonnelli (presenti tutti, compreso Alfano) per decidere come agire. Una discussione cominciata già dall’antipasto, con Daniela Santanchè e Renato Brunetta che da subito hanno incrociato le spade sparando le ipotesi più fantasiose per rispondere all’esigenza berlusconiana di “dare un segnale forte” al Pd sulla sua decadenza e al governo sulla necessità di non pestare troppo sull’acceleratore sia sul fronte delle riforme (quella elettorale in particolare) che su quello del patto di legislatura, che il Cavaliere non ha alcuna intenzione di firmare. A quel punto, in un clima surriscaldato dal litigio, Renato Brunetta ha spiazzato l’uditorio dei commensali facendo sua la proposta delle dimissioni di massa, proposta che in passato era stata invece avanzata dalla Santanchè. Una “guerra tra falchi”, insomma, che ha portato verso una sorta di cupio dissolvi del centrodestra berlusconiano: se deve “morire” il capo, noi moriremo con lui.

Mossa strategicamente e politicamente sbagliata che ha vissuto, però, il suo momento più drammatico (ma forse anche grottesco) la sera, nella sala della Regina di Montecitorio, dove Berlusconi aveva convocato i gruppi parlamentari. E, infatti, c’erano tutti, al tavolo Schifani, Brunetta e Alfano, davanti le truppe berlusconiane al gran completo. E’ stato Schifani, con un discorso definito da alcuni dei presenti come “di alto profilo istituzionale” a rimarcare sullo sgarbo fatto dal Pd nell’accelerazione compiuta in Giunta sulla decadenza di Berlusconi da senatore “senza aver neppure voluto prendere in considerazione la nostra richiesta di avere contezza della retroattività della legge Severino”.

A quel punto è stata la volta di Brunetta, che si è attaccato proprio alla legge Severino per comunicare ai presenti che le dimissioni di massa sarebbero state la mossa decisa dal vertice per il “segnale”. Quindi la parola sarebbe dovuta passare ad un Alfano assolutamente titubante e per nulla convinto della necessità “di arrivare a tanto” quando ha fatto il suo ingresso nel salone Silvio Berlusconi, scusandosi “per aver interrotto l’assemblea”. Schifani, a quel punto, si è rivolto ai colleghi chiedendo la disponibilità di chi “si era iscritto a parlare” di lasciare spazio “al presidente”, “anche se credo di parlare a nome di tutti – questo il passaggio chiave – nel dire che nel momento in cui il Presidente dovesse essere dichiarato decaduto, noi non potremo certo restare qui, quindi ci dobbiamo considerare fin da ora tutti formalmente decaduti al suo fianco…”.

E’ partito un applauso che ha suggellato (almeno in apparenza) la volontà dei parlamentari pidiellini di “morire insieme al Capo”, anche se poi, finita la sbornia dell’emozione, le facce di molti peones si sono fatte subito pallide e impacciate: “Ma davvero dobbiamo dimetterci tutti?”. Si, e lo ha deciso Brunetta, si dovrebbe sottolineare. “Che non si è reso conto – commenta un ‘alta fonte del Pdl – di portarci tutti verso un vicolo cieco; se si andrà ad una verifica parlamentare della crisi, il partito andrà in mille pezzi, ma soprattutto adesso non sappiamo come uscirne: è stata fatta una vera cazzata…”. Berlusconi, ieri sera, dopo l’applauso dei suoi, si è mostrato commosso, ma c’è chi sostiene, dentro il Pdl, che la sua paura di essere arrestato “da una delle tante procure d’Italia che vuol mettersi la medaglietta e mettermi le manette ai polsi” sia tale da aver ormai preso ampiamente il sopravvento sulla strategia. E, soprattutto, sulla ragione.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/26/e-con-lappluso-a-b-scatta-dimettiamoci-tutti-pdl-allangolo-per-compiacere-capo/724517/
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 07, 2014, 08:29:14 am »

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Senato, niente intesa nella maggioranza e nel Pd: corsa contro il tempo per la riforma
Percorso impantanato in commissione. Si lavora a un ordine del giorno da approvare entro la notte.
Relatori contro: Calderoli ne presenta uno suo. La presidente Finocchiaro: "Non ne ero informata"

Di Sara Nicoli | 6 maggio 2014

Slitta il voto sul testo della riforma del Senato che era previsto in commissione Affari Costituzionali. L’accordo nella maggioranza, ma anche dentro il Pd, è ancora lontano. E nonostante il presidente della commissione, Anna Finocchiaro, abbia promesso per questa sera (quando riprenderanno i lavori della commissione in notturna) la presentazione dell’ordine del giorno dei relatori con le modifiche concordate all’interno della maggioranza, di questo testo ancora nessuna traccia. Una parte del Pd, infatti, fa muro e chiede che venga recepito come testo base l’elaborato del governo, mentre la sinistra del partito, su cui spicca il “mediatore” Miguel Gotor, sarebbe dell’idea di presentare direttamente un nuovo testo emendato con le modifiche che la stessa ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, presente in commissione fin dalla prima mattina, ha detto di poter accettare. Comunque vada si tratta dell’ennesimo rallentamento del percorso delle riforme (elettorale compresa) annunciate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ad ogni modo la mediazione, a cui si stava lavorando da ieri sera (5 maggio) fino a oltre le 23, era stata quella di approvare, contestualmente al testo base del governo, un ordine del giorno, il cosiddetto “pillolato”, con tutti gli emendamenti messi nero su bianco, in modo da non avere sorprese. Cioè: la diminuzione del numero dei senatori nominati dal capo dello Stato, un riequilibrio della rappresentanza a favore delle Regioni rispetto ai comuni, un numero diverso di senatori a seconda della grandezza delle regioni.

Poi, però, nella notte, qualcosa è cambiato. E infatti questa mattina, all’apertura della seduta, del testo dell’ordine del giorno non c’era traccia. Perché a mettere i bastoni tra le ruote ai mediatori ci si è messo direttamente Renzi. Al capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, il premier ha detto con chiarezza di non aver alcuna intenzione di fare un passo indietro sul testo da lui firmato con la Boschi. Il motivo? Il timore di perdere terreno sul fronte dei sondaggi che, in questo momento, stanno premiando soprattutto la sua velocità e il suo decisionismo. Ecco perché, sempre questa mattina, il portavoce e vicesegretario Lorenzo Guerini ha chiarito: “Nessun passo indietro, gli stop di Berlusconi sono solo propaganda elettorale”. Ma non è tanto – e di certo non solo – lo stop del Cavaliere ad impensierire il Pd e, soprattutto, Renzi. Sono i malumori dentro la maggioranza. Gaetano Quagliariello, uscendo dalla commissione del Senato, ha lanciato un sasso pesante: “Il testo del governo sulle riforme è condivisibile nelle linee essenziali, ma va migliorato, è importante che vengano ridotti o eliminati i 21 senatori di nomina presidenziale, che i senatori siano consiglieri regionali indicati dagli elettori, che i sindaci siano meno dei consiglieri regionali, che le Regioni vengano rappresentate proporzionalmente alla popolazione”. Che questo si faccia “con odg o con emendamenti non fa differenza, l’importante è trovare un minimo comun denominatore”. Che, invece, proprio non c’è. “Forse, ora, viste come si sono messe le cose sarebbe meglio che si rinviasse tutto…”, ha poi chiosato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Paolo Romani.

E’ successo, infatti, anche che il leghista Roberto Calderoli abbia inaspettatamente presentato un suo personale ordine del giorno di cui l’altra relatrice, la Finocchiaro, non sapeva niente e questo l’ha parecchio indispettita: “Credo che Calderoli debba pensare a ritirarlo se vuole che andiamo avanti…”, ha detto, con tono minaccioso, ma da parte del vicepresidente del Senato nessun passo indietro, tanto che lo stesso Romani è arrivato a dargli man forte: “Quello di Calderoli è stato senz’altro uno sgarbo istituzionale, ma il suo è comunque un testo molto complicato e non si può ora esprimere un giudizio su due piedi…”.

Tutto rinviato, allora? L’aria che tira al Senato è pesante. Non c’è un testo base e nessun ordine del giorno, non c’è intesa tra i relatori, ma la Finocchiaro vuole comunque arrivare ad un risultato entro la nottata. “Questa sera – ha annunciato alla fine della seduta del mattino – presenteremo l’ordine del giorno dei relatori che riassume il dibattito di stamattina e le indicazioni venute dai gruppi. Calderoli ha presentato oggi un odg di cui non ero stata avvertita ma è pronto a ritirarlo. Sono fiduciosa che il percorso possa arrivare a buon fine e mi auguro ci sarà un voto sull’odg”. Ma se non si arriverà a questo risultato, per la presidente della commissione “non sarà la fine del mondo”, cosa che, invece, in ambienti renziani viene commentato in modo del tutto opposto. Al momento, l’’orientamento del governo sarebbe di accettare anche delle modifiche al testo uscito dal consiglio dei ministri, ma a patto di non stravolgere l’impianto della riforma. La deadline per la prima lettura del testo per ora resta fissata dal governo al prossimo 10 giugno.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/06/senato-niente-intesa-nella-maggioranza-e-nel-pd-corsa-contro-il-tempo-per-la-riforma/974995/
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