L’EDITORIALE
Nuovi squadristi
Può darsi che alla fine il combinato disposto tra una (indecente) guerriglia parlamentare e la (tragicomica) richiesta di impeachment del presidente della Repubblica si trasformi in una trappola micidiale proprio per il Movimento Cinque Stelle che lo ha apparecchiato. Può darsi. Magari è pure probabile. Ma, anche in questo caso, quello che sta accadendo a Montecitorio e dintorni resterebbe gravissimo.
Le speranze, se ancora ce n’erano, di una qualche parlamentarizzazione del Movimento Cinque Stelle sembrano definitivamente dissolte. La realtà è tutt’altra. Un partito antipartito (votato, sarà il caso di ricordarlo, da quasi uno su quattro degli italiani che nel 2013 sono andati alle urne) ha deciso a freddo di cercare di far fronte alle proprie crescenti difficoltà utilizzando il Parlamento della Repubblica a mo’ di cassa di risonanza di un’agitazione politica che non morde più come un anno fa. A Grillo, Casaleggio e compagni, compresi quei parlamentari che vestono i panni dei bravi scolaretti intenti a imparare a destreggiarsi tra norme e regolamenti, la cosa riesce abbastanza facile: in fondo (nemmeno troppo in fondo) hanno sempre considerato le Aule parlamentari come la sentina di tutti i vizi, e i loro abitatori non grillini come inesausti tessitori di sordidi intrighi contro il Movimento. Se hanno deciso di partire lancia in resta adesso, chiudendosi da soli ogni possibilità di ritirata, è per un motivo molto semplice. Non il decreto Imu-Banca d’Italia, che è stata solo la prova generale. Ma la riforma elettorale.
Per giorni, all’indomani dell’incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, si è scritto soprattutto dei come e dei perché delle (comprensibili) resistenze dei piccoli partiti e della minoranza del Pd. Giusto, queste resistenze ci sono. Ma molto più forti, e in termini analitici più comprensibili, erano, sono e saranno quelle dei Cinque Stelle: tutto possono desiderare fuorché l’avvento di un bipolarismo «normale». A questa possibilità, divenuta concreta, si oppongono cercando di ipotecare pesantemente sin d’ora il confronto parlamentare. Di per sé, non è peccato: quello di opporsi con ogni mezzo consentito da leggi e regolamenti è un sacrosanto diritto. Ma praticare qualcosa che somiglia da vicino allo squadrismo, ingiuriare il capo dello Stato, ricorrere alle più triviali infamità sessiste, e insomma fare tutto quello cui stiamo assistendo in questi giorni, e che del Dna del grillismo fa purtroppo parte, no, proprio no, fortissimamente no. Sui parlamentari se ne sono dette di tutti i colori, spesso (non sempre) a ragione. Stavolta, a quelli di loro che resistono, in nome di una dignità del Parlamento senza la quale la democrazia non esiste, deve andare tutta la nostra solidarietà.
31 gennaio 2014
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Paolo Franchi
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