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Autore Discussione: MARIELLA GRAMAGLIA.  (Letto 2470 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 10, 2013, 07:08:23 am »

EDITORIALI
09/08/2013

Ora servono processi più rapidi

MARIELLA GRAMAGLIA

«Sono orgoglioso, è un cambiamento radicale, un chiarissimo segnale» – così Enrico Letta.
«Ci siamo attrezzati per prevenire, punire, proteggere» – aggiunge Angelino Alfano.
È stato appena approvato il decreto legge contro il femminicidio.  

 
Ambedue hanno lo sguardo fermo e sereno, da veri uomini di Stato: niente ammicchi, niente visi dell’arme. Berlusconi concedente, dopo giorni e giorni che tutti gli occhi erano puntati esclusivamente alla Corte di Cassazione, al Palazzaccio allusivo di sventure, oggi finalmente parlano di nuovo al Paese. E alle donne in particolare, le più insofferenti dei giochi politicanti, le più trascurate nonostante le promesse elettorali.  
 
Che sollievo. Almeno per loro. E per le donne?
 
Vediamo. Innanzitutto questo è un decreto all’insegna della «sicurezza». Nonostante il lavoro della ministra dimissionaria per le pari opportunità Josefa Idem, che Letta ha cavallerescamente ringraziato, e quello, presumibilmente sotto traccia, della sottosegretaria Cecilia Guerra, è dal Viminale che viene l’impronta. Salvo augurabili sorprese al momento della divulgazione del testo ufficiale, non è stato stanziato un solo euro per il rifinanziamento delle case a tutela delle donne maltrattate, picchiate o violentate. E questo, malgrado il fatto che durante il recente dibattito parlamentare sul recepimento della convenzione di Istanbul, la misura fosse stata considerata uno dei punti più qualificanti di una politica innovativa ed efficace.
 
Poi è appunto un decreto. Ci siamo talmente abituati a considerare il Parlamento un catino ribollente di interventi sgangherati e di furie incomprensibili, che ci sfugge quanto sia inappropriato un decreto su questa materia in una legislatura dove la parlamentari sono il 30% e non poche di loro si sono costruite competenze e sensibilità degne di essere considerate.
 
Tant’è che, al momento della conversione in legge del decreto «svuota carceri», sono state proprio le deputate e le senatrici ad accorgersi che, se non si fosse aumentata a cinque anni la pena per lo stalking (persecuzione sistematica), gli stalker avrebbero goduto di un’insperata indulgenza.
 
L’elemento più positivo è che finalmente il governo ha registrato che più del 70% delle violenze avvengono in famiglia, oppure in relazioni parentali o «affettive», dunque è in quel nucleo, che secondo i vecchi giuristi andava solo lambito e mai aggredito dal diritto penale, che bisogna avere il coraggio di affondare il bisturi con la giusta severità. Questo è il senso delle aggravanti per il coniuge o il compagno, e anche delle aggravanti ancora maggiori se la violenza avviene quando la vittima è in stato di gravidanza o in presenza di minori. E della norma che ha fatto più scalpore: «fuori casa il coniuge violento». Sorvegliato, immaginiamo, e tenuto a debita distanza dalla dimora coniugale.
 
Resta il problema della procedibilità su cui tanto si discusse prima del 1996, anno dell’approvazione della legge sulla violenza sessuale. Allora si temeva un «doppio regime», querela in famiglia e procedibilità d’ufficio nei rapporti esterni e soprattutto si contava, forse con eccesso di ottimismo, sulla forza delle donne e nella loro ribellione, per cui, una volta decisa la querela, non sarebbero tornate sui loro passi.
 
Oggi procedibilità d’ufficio e querela irrevocabile spostano sulla collettività molte responsabilità. E bisogna che la collettività tutta - stampa, opinione pubblica, avvocatura, polizia – ne sia degna. Ma soprattutto che ne sia degna la magistratura.
 
In due terzi dei casi oggi le vittime di violenza non vedono la fine del processo nei confronti dei loro persecutori. A volte addirittura il loro procedimento si perde nelle nebbie e non sanno più a che punto sia arrivato. Da oggi la donna sarà sempre informata del punto in cui è giunto il procedimento e potrà usufruire di una corsia preferenziale per rendere la sentenza più rapida.
 
Non sarebbe male una road map. Se, con le nuove regole, nel giro di un anno, le vittime che riuscissero a vedere la fine del loro processo diventassero almeno la metà, potremmo davvero congratularci con noi stessi.  

da - http://www.lastampa.it/2013/08/09/cultura/opinioni/editoriali/ora-servono-processi-pi-rapidi-lxGZgCZXcbBEDOPzBeJiON/pagina.html
« Ultima modifica: Gennaio 04, 2014, 05:04:34 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 04, 2014, 05:03:18 pm »

Editoriali
03/01/2014

Il confine fra legami e libertà
Mariella Gramaglia

Non paia un partito preso ingeneroso verso il governo. È solo semplice e cruda realtà. 

Il decreto legge presentato in Parlamento in agosto e convertito in legge il 15 ottobre 2013 non ha, per ora, sortito l’effetto di ridurre, o quanto meno di contenere, il femminicidio.

Le fonti su cui si basa La Stampa ci dicono che siamo passati da 93 femminicidi nel 2012 a 103 nel 2013. La casa delle donne di Bologna, che usa lo stesso metodo di ricerca, basato sulle notizie di giornale e sui lanci di agenzia, dichiara invece 130 casi nel 2013. La differenza è dovuta alla definizione: «per femminicidio si intende un assassinio – precisa la Crusca – in cui l’uccisore è un uomo e il motivo per cui la donna è uccisa nasce dal fatto di essere donna». Così alcuni calcolano come «borderline» i casi legati a rapine o a follia dei figli, altri no. Il dibattito, non essendoci fonti pubbliche attendibili come nel caso dell’interruzione di gravidanza, è completamente aperto. 

In teoria, dall’anno prossimo tutto cambia: stando alla legge, il ministero dell’Interno «elabora ogni anno un’analisi criminologica della violenza di genere» e la ministra della pari opportunità, entra il 30 giugno, relaziona sull’utilizzo delle risorse stanziate (modestissime: dai sette ai dieci milioni all’anno) per i centri anti violenza. 

«Il più sicuro, ma il più difficile mezzo per prevenire i delitti é perfezionare l’educazione»: studiavamo così da ragazzi sui testi degli illuministi. Il mezzo, proprio perché è difficile, è passato di moda: non fa notizia, non infiamma, non produce consenso. Mentre una legge come questa, basata per i quattro quinti sul diritto penale, sull’esemplarità e sulla deterrenza, lì per lì fa rumore. Ma, se inefficace, facilmente finisce in quel coacervo di sfiducia che ormai separa cittadine e cittadini dallo Stato: «parlano, parlano … e non cambia mai nulla». La novità pratica – a parte l’inasprimento delle pene, compreso quello altamente simbolico verso il persecutore legato alla vittima da matrimonio o da rapporto affettivo – è una maggiore libertà ed efficienza di azione per gli agenti di polizia giudiziaria nell’allontanare dalla casa l’uomo violento, nel vietargli di avvicinarsi, nell’informare la vittima di dove si trova il maltrattante, se agli arresti, a piede libero o in un programma sociale di riabilitazione. Le operatrici dei centri anti violenza riconoscono volentieri i meriti di una polizia più sensibile. Con il tempo, speriamo, ne vedremo i frutti. 

Intanto la distribuzione spaziale e temporale dei delitti fa riflettere. Più Nord che Sud, più megalopoli (Milano e Napoli in particolare) che piccoli centri, meravigliosa quiete in Basilicata e nel Nord della Sardegna. E’ finito il tempo del clan, degli zii e dei fratelli che puniscono la reproba ( sono questi la maggior parte dei femminicidi in Afghanistan e Pakistan) ed è in crescita lo strazio postmoderno dell’amore-non amore, che non sa riconoscere i confini fra legami e libertà. Quel misterioso mese di settembre, quando i delitti aumentano, di cosa è il segno? Di separazioni mal sopportate, di nuovi inizi di lavoro e di cura, sempre più faticosi e frustranti mentre la crisi fa il suo giro?

Forse. Molto ancora c’è da capire e studiare se si pensa a una riforma sociale e morale. Spiace che anche papa Francesco, nell’impostare le 38 domande da discutere nelle parrocchie in vista del Sinodo straordinario sulla famiglia del 2014, abbia pensato a tutto, dai divorziati alle coppie gay, ma non alla violenza sulle donne. Non è per delegare. E’ che la società civile laica è così stanca e rinsecchita che forse uno stimolo dalla comunità cristiana non le avrebbe fatto male.

Da - http://lastampa.it/2014/01/03/cultura/opinioni/editoriali/il-confine-fra-legami-e-libert-1La4by6snxjUzdbO48CvxL/pagina.html
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