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Autore Discussione: CLASSI DIRIGENTI, COSCIENZE SPORCHE Cronache dalla palude  (Letto 2473 volte)
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« inserito:: Novembre 20, 2013, 11:55:48 am »

CLASSI DIRIGENTI, COSCIENZE SPORCHE

Cronache dalla palude

Non qualche organo dello Stato italiano, ma l’amministrazione della Marina degli Stati Uniti (si può aggiungere «a nostra vergogna» o è un’espressione esagerata?) si è data cura di elaborare i dati più aggiornati sull’inquinamento ambientale a Napoli e in Campania. I risultati sono noti grazie all’ Espresso : in pratica, chi si azzarda a bere l’acqua del rubinetto da Capodichino a Caserta lo fa a suo rischio e pericolo. Risultato: i giornali si agitano, i napoletani si preoccupano, il loro ineffabile sindaco minaccia azioni legali (immagino contro Obama). Non sembra però che in complesso ci sia una reazione molto diversa da quella che c’è stata una settimana fa, quando si è appreso che secondo un celebre capocamorrista in galera, coloro che abitano nelle medesime zone di cui sopra nel giro di venti anni saranno tutti morti di cancro a causa dei rifiuti tossici che la sua organizzazione ha riversato lì per anni. Profezia che peraltro - come ha raccontato benissimo sul Corriere di ieri Gian Antonio Stella - si sta già puntualmente avverando. In entrambi i casi costernazione, indignazione, ma tutto finisce lì. Il Sud può andare in malora, l’Italia sembra avere altro a cui pensare.

In altri tempi, quando al Parlamento sedevano rappresentanti veri delle popolazioni, e non burattini paracadutati come oggi, fatti del genere (si pensi all’epidemia di colera del ‘73) avrebbero scatenato la loro mobilitazione immediata e una conseguente azione fortissima sul governo. Così come in altri tempi, e sempre per cose del genere, i partiti e le organizzazioni sindacali delle zone interessate avrebbero fatto a dir poco l’ira di dio. Ma allora non c’era il Porcellum . Il Sud c’era ancora come grande questione nazionale. E forse, mi viene da aggiungere, c’era anche un’altra idea d’Italia.

Ma alla fine tutto dipende ancora da noi. Moltissimo è nelle mani dell’opinione pubblica meridionale; molto dipende dal convincimento che essa deve farsi che di questo passo il Mezzogiorno diventerà un posto simile a certi Stati della coca sudamericani. Così come molto dipende dalla capacità dell’opinione pubblica meridionale di resistere alla deprecazione di maniera di coloro che al minimo stormir di fronde sono abituati a strillare contro la «militarizzazione del territorio». Quando invece è proprio da una tale militarizzazione che tanta parte del Sud può aspettarsi la salvezza. Solo con il sostegno di questo nuovo sentimento collettivo lo Stato potrà fare la sua parte. Non servono leggi eccezionali. Serve un controllo capillare delle amministrazioni locali, un’azione continua e penetrante specialmente della Guardia di finanza, serve far funzionare tutto ciò che è pubblico: dai mezzi di trasporto, agli ospedali, alla scuola, alle poste. E servono anche gesti simbolici: per esempio la nomina a Caserta o a Reggio Calabria di un prefetto scelto tra gli alti gradi dei Carabinieri.

Guai a pensare però che sia solo una questione del Mezzogiorno. Lì c’è la testa della Piovra, che dopo essersi alimentata per anni con i rifiuti provenienti perlopiù dal Nord, ora sta allungando anche qui i suoi tentacoli. Essa sa bene, infatti, che l’Italia è una sola. Siamo noi che spesso ce ne dimentichiamo.

17 novembre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ernesto Galli della Loggia

Da - http://www.corriere.it/editoriali/13_novembre_17/cronache-palude-ebd7703a-4f58-11e3-bcac-1da7283cab64.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 23, 2013, 09:56:47 am »

Sei in: Il Fatto Quotidiano > Blog di Susanna Marietti >

Carcere Asti, ancora un caso di torture impunite?

di Susanna Marietti | 22 novembre 2013

All’inizio del 2012 la città di Asti fu teatro di una sentenza memorabile che riguardò il carcere locale. Il processo aveva visto sotto accusa alcuni agenti di polizia penitenziaria per selvagge violenze nei confronti di due detenuti avvenute in anni precedenti. Il giudice non condannò nessuno. Nelle sue ottanta pagine spiegò però molto accuratamente il perché. Raccontò un sistema di brutalità – detenuti appesi a cardini per i lacci delle scarpe, detenuti cui viene fatto lo scalpo, detenuti privati del sonno e del cibo, detenuti picchiati ripetutamente nel sonno – che è emerso dal dibattimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

I fatti in questione, scrisse nero su bianco, sono qualificabili come tortura secondo la definizione che di essa danno le Nazioni Unite. Nel codice penale italiano manca tuttavia un tale reato, nonostante lo scenario internazionale ci imporrebbe la sua introduzione. Con i reati a disposizione, tra prescrizione e altro, quel giudice spiegò di non essere in grado di punire nessuno degli imputati. E ciò nonostante il sistema di violenze e intimidazioni fosse, appunto, sistematico, strutturato, organizzato, tollerato.

Non singole mele marce bensì, come leggiamo dalla penna del giudice, “era possibile per gli agenti porre in essere tali comportamenti poiché si era creato un sistema di connivenza con molti agenti della Polizia Penitenziaria ed anche con molti dirigenti”. Mai era stato detto così chiaramente: se in una istituzione chiusa quale è un carcere si usa sistematicamente la violenza – e in varie carceri la si usa – le responsabilità non possono essere individuali, poiché il sistema non reggerebbe senza l’omertà anche di chi non vi partecipa direttamente.

A distanza di quasi due anni da quella sentenza, esce fuori la denuncia di Mohammed Carlos Gola, che racconta – come riportato anche oggi dalle edizioni locali de La Stampa – di essere stato percosso e umiliato nel carcere astigiano a seguito della sua conversione alla regione islamica. Vediamo cosa dirà il processo e se lo scenario di torture e razzismo denunciato dal giovane sarà o meno confermato. In ogni caso, l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, oltre alla sua concreta valenza processuale, è un segnale culturale del quale troppo si sente la mancanza.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/22/asti-una-nuova-denuncia-nel-carcere-delle-torture-impunite/787172/
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