Viaggio tra i Grandi della Finanza.
Ora negli Usa si scommette sull'Italia
Viaggio tra i Grandi della Finanza. Ora negli Usa si scommette sull'Italia
"Finché il vostro paese non sarà uscito dal tunnel a pieno titolo non potremo contare sull'area della moneta unica", dicono gli investitori. "Quando accadrà il mondo potrà definitivamente chiudere la pagina drammatica della crisi". Il megafondo BlackRock ha comprato titoli italiani e continua a farlo. Si attendono gli effetti della nuova politica della Fed e le eventuali ripercussioni di un'escalation militare in Siria
NEW YORK - Sono due le parole che si sentono più frequentemente a Wall Street e dintorni in questi giorni: "tapering" e "Italy". Più la seconda della prima. Tapering vuol dire "ridimensionamento": indica la fine degli aiuti all'economia americana che la Federal Reserve, la banca centrale, ha messo in campo fin dall'inizio della crisi nel 2008 e ha tenuto in piedi in tutti questi anni. Ben Bernanke, il presidente della Fed, ha annunciato che queste misure straordinarie stanno per finire, e la finanza ha cominciato non senza qualche scossone a fare i conti con la realtà. È un segnale importantissimo: l'America è definitivamente fuori della crisi, salvo ovviamente che qualche evento straordinario non provochi un nuovo ribaltone, e può guardare al presente e al futuro con ragionevole speranza.
La responsabilità dell'Italia. Ma ancora di più si sente parlare di Italia. Il nostro Paese fuori dalla crisi non è ancora, ma - come ripetono con crescente insistenza i ministri del nostro governo - è ad un passo dall'esserlo, è sul crinale che la dovrebbe portare fuori dalla recessione. E la finanza americana guarda con enorme interesse a questa svolta: perché l'Italia è rimasto l'unico fra i grandi Paesi occidentali ad essere ancora invischiato in questa crisi spaventosa, per certi versi ancora più grave di quella del '29. Se anche l'Italia ne verrà fuori, com'è ormai probabile, il mondo potrà davvero chiudere questa pagina drammatica. La crisi si sposta altrove, in Cina o sui mercati emergenti, altre sfide si aprono specialmente ora che la Siria sembra sul punto di esplodere drammaticamente, ma l'Occidente può finalmente tirare un respiro di sollievo. Questa è la posta in gioco, questo è il destino e insieme la responsabilità per il nostro Paese, e qui nella cittadella dove si giocano i destini dell'economia del pianeta, se ne rendono tutti conto benissimo. Per questo si parla tanto di Italia, e per questo abbiamo passato un mese girando di porta in porta presso tutte le maggiori banche, i centri studi, i fondi d'investimento, le finanziarie di New York, per raccogliere le opinioni sul nostro Paese.
"Ce l'avete fatta, finalmente". Nel luccicante nuovissimo grattacielo della Bank of America, appena inaugurato dietro Times Square, ci accoglie Curry MacNeil, capo delle strategie mondiali della Merrill Lynch, la banca d'investimento del gruppo (acquisita dopo lo scrollone del 2008). "L'Italia per noi ce l'ha fatta, finalmente", spiega. "E visto che siete al centro dell'Europa, per noi rappresenta la riscossa dell'intera area dell'euro. D'accordo, la Germania è e resta forte, la Francia più o meno ha schivato l'onda lunga della recessione, ma finché non c'è l'Italia a pieno titolo non potevamo contare sull'area dell'euro. Certo, non sarà un percorso tutto in discesa, probabilmente avrete ancora qualche sussulto di difficoltà, ma il grosso dello sforzo è stato fatto". Ma cos'è stato a vincere lo spettro della recessione? Le prime faticosissime riforme strutturali, i risparmi di spesa pubblica che fra mille resistenze si sono finalmente avviati, la tenacia degli imprenditori? "Diciamo un misto di tutti questi fattori. Certo, la volontà, la determinazione, la resistenza a tutte le difficoltà anche quelle apparentemente insormontabili, del vostro tessuto di piccoli e medi industriali, è sorprendente e ammirevole".
Non sono tutte rose e fiori. "Rimane, come fattore numero uno d'inquietudine, una preoccupante debolezza e sottocapitalizzazione del sistema bancario, che del resto è comune a tutta l'Europa", riflette Rick Rieder, capo del settore reddito fisso della BlackRock, maggiore società di gestione finanziaria del mondo con qualcosa come 3.860 miliardi di dollari di fondi amministrati. "Tenete ben presente questo: finché non ci sarà un settore creditizio forte e ben strutturato, in grado di assicurare un flusso di denaro costante e sicuro all'economia reale, nessuna ripresa vigorosa potrà essere assicurata per il lungo termine. Guardate cosa è successo qui in America: fino a quando non si è cominciato a rifinanziare direttamente le banche, con iniezioni di capitale dirette, aumenti di capitale sottoscritti dallo Stato, prestiti straordinari (che peraltro sono stati già restituiti con tutti gli interessi), fino ad allora non si riusciva ad impostare una ripresa strutturale".
L'uomo che credeva nei Bot. "Per fortuna mentre la Federal Reserve garantiva il quantitative easing e i tassi bassi, il Tesoro con un'insperata forma di coordinamento avviava tutte le misure che dicevo. Il risultato è stato il consolidamento del settore bancario che non ha fatto mancare le risorse al settore industriale. Finito il credit crunch, la stretta creditizia, è finita la crisi", dice ancora Rieder. Già, facile a dirsi, ma in Europa? Le risorse sono limitate, specialmente in Italia... "Dovete seguire la stessa strada. Del resto, non c'è motivo per cui la Banca centrale europea non debba seguire la strada della Fed, e sono sicuro che lo farà. Lo dice uno che un anno e mezzo fa divenne famoso a Wall Street perché ricominciò in silenzio a comprare titoli del Tesoro italiano. E ha proseguito, mentre tutti erano ancora sotto shock e non volevano saperne, fino ad oggi. Abbiamo un minimo rallentato in primavera, quando dopo le elezioni non si riusciva a fare il governo, ma poi abbiamo ripreso con aumentata convinzione. Certo, è difficile giudicare da così lontano le complicate convulsioni della vostra politica, ma insomma le assicuro che c'è una fiducia che finalmente si sta diffondendo: l'Italia è un Paese ricco e forte, che adesso ha anche un governo ragionevole, con una struttura industriale di prim'ordine e tutti i requisiti per figurare degnamente nello scenario mondiale".
L'affresco. Per arrivare all'ufficio di Michael Materasso, co-presidente del "Fixed income policy committee", nella sede della Cinquantaquattresima strada della Franklin Templeton, un altro megafondo d'investimento globale, bisogna salire quattro piani di una scala interna moderna e futuribile, tutto un gioco di aperture e trasparenze. Affiancata ad essa c'è una grande parete visibile da ogni gradino, sulla quale è stato dipinto un affresco alto tutti e quattro i piani. Rappresenta il panorama che si vedeva dal piano 101 della torre sud del World Trade Center: ci sono i grattacieli di Manhattan visti dall'altro, poi man mano che si sale lungo la scala si apre la vista del fiume Hudson, poi il porto con Ellis Island e la Statua della Libertà, quindi il panorama si allunga ancora sul New Jersey, e poi verso il mare aperto. Un effetto straordinario e agghiacciante. "Anche lì avevamo quattro piani, dal 98 al 101. L'11 settembre 2001 sono morti in 94, novantaquattro amici e colleghi", dice con voce ferma ma senza lacrime agli occhi. "Noi abbiamo reagito, perché di fronte alle disgrazie occorre opporre ottimismo, nel senso di volontà costruttiva, e determinazione", e indica, dall'altra parte della stessa scala, i grandi saloni delle contrattazioni e delle analisi dove in febbrile silenzio scorrono sugli schermi di un'infinità di computer numeri, grafici, stime, prospetti.
Come si lavora. Già, ma come lavorano questi signori del denaro? Quali dati esaminano con maggiore attenzione, quali elementi sono decisivi per stabilire le priorità d'investimento? "Ritengo che ogni istituzione abbia i propri criteri, a seconda del focus privilegiato degli investimenti", risponde "Noi abbiamo ben 65 anni di esperienza, uffici in 35 Paesi, operazioni in 150 nazioni, e una struttura di ricerca e analisi talmente ramificata e articolata che riusciamo a cogliere le opportunità di investimento più impensate. Operiamo in ogni settore, dai fondi pensione a quelli specificamente designati qui in America al pagamento del college per i figli (ne abbiamo ben 529 di questi ultimi), dalle azioni più gloriose del Dow Jones fino ai titoli sconosciuti del più remoto mercato. Ogni analista segue il suo settore, e su di esso acquisisce in tempo reale assolutamente tutti i dati disponibili. Ai quali, ed è il vero valore aggiunto, si sommano i contatti personali che questi dati permettono di interpretare, aggiornare e spesso anticipare".
Siamo di nuovo in serie A. Ma torniamo alle rinnovate aspettative sull'Italia. Che sia rientrata nella serie A delle valutazioni globali si intuisce anche dal tono delle dichiarazioni. Michael O'Sullivan, capo delle strategie di portafoglio del Credit Suisse, per esempio, dice di stare prudenti sugli investimenti in azioni nel nostro Paese ma solo perché i titoli sono saliti tanto negli ultimi tempi. Per esempio definisce "impressionante" la performance dei titoli bancari, che sono cresciuti nel solo mese di luglio del 17%: "L'Europa si contraddistingue dalle altre 'regioni' del mondo per il fatto che il dinamismo degli ultimi dati macroeconomici è nettamente migliorato, segnalando che l'area sta lentamente uscendo dalla recessione. Il nostro parere è che gli indici azionari di Eurolandia ora riflettano il miglioramento dei dati sugli utili e sull'economia".
Cambio di strategia della Fed. Tutte queste valutazioni si intrecciano per quanto riguarda invece l'America, come si diceva, con le aspettative sulla mutata politica monetaria della Fed. "Il presidente Ben Bernanke ha annunciato già in maggio il rallentamento del quantitative easing, e in questo mese di settembre questa misura comincerà ad essere effettiva", spiega Steven Woods, capo economista della Russell Investmens nel suo ufficio affacciato su Bryant Park. "Quanto al rialzo dei tassi abbiamo ancora un bel po' di tempo davanti: noi non ce lo aspettiamo prima della seconda parte del 2015. Del resto, stiamo parlando, a partire dai tassi innaturalmente bassi, di misure eccezionali adottate in tempi di eccezionale emergenza. Passata questa, non c'è più ragione per cui queste misure di stimolo debbano restare in piedi. Anzi, a questo punto c'è il pericolo che il sistema economico si abitui a queste misure, che però non possono essere mantenute per sempre attive".
La Siria spingerà il petrolio. Negli ultimissimi giorni, per la verità, alle discussioni sull'Italia e le politiche di stimolo della Fed si sono sovrapposte quelle sull'escalation della crisi in Siria con la minaccia dell'intervento militare americano. Eppure negli ambienti finanziari si mantiene la calma. Spiega Keith Wade, Chief Economist della Schroders: "I prezzi del petrolio saliranno inevitabilmente, probabilmente toccheranno quota 120-125 nel Brent, cioè 5-10 dollari in più rispetto alla vigilia degli attacchi chimici e del conseguente irrigidemento americano, ma non crediamo che raggiungeranno i picchi del passato né che la crisi abbia conseguenze vistose sulla ripresa in corso in America ed Europa. La mente corre soprattutto alla tensione che precedette la prima guerra del Golfo nel 1990-91, quando l'inflazione s'impennò e famiglie ed imprese dovettero rinviare le strategie d'investimento, ma troppo diversa è la situazione da allora". Perché è diversa? "Intanto perché l'America è molto più indipendente dal punto di vista energetico", risponde Ed Morse nella sede della Citigroup nel quartiere di Tribeca, proprio di fronte al ristorante aperto da Robert De Niro.
Lo shale gas cambia gli scenari. Morse è considerato uno dei massimi esperti mondiali del settore "petrolio e commodities", già consulente della Banca Mondiale e dello stesso governo americano, ed è stato recentemente ingaggiato dalla banca appunto per seguire questo comparto d'investimenti di importanza sempre crescente. "In America la scoperta dello shale gas, quello estratto dagli scisti bituminosi a grande profondita con tecnologie innovatve, ha cambiato completamente lo scenario. E' stato uno dei fattori determinanti della ripresa industriale del Paese perché ha abbattuto i costi dell'energia, oggi pari ad un quarto dei concorrenti europei. Senza contare che ha rivoluzionato in pochi anni il quadro geopolitico rendendo gli Stati Uniti completamente indipendenti dalle forniture mediorentali. Anzi, ora che si sta aggiungendo anche lo shale oil l'America è diventata una potenza energetica in grado di fronteggiare ad armi pari l'Arabia Saudita, e quindi di fronteggiare efficacemente ogni tensione nell'area. Anche in Europa si dovrebbe avviare la produzione di idrocarburi estratti dagli scisti. Non è vero che servono distese sconfinate, da noi il maggior giacimento è sotto la città di Pittsburgh in Pennsylvania: ci sono in Francia, Spagna, Germania territori che si presterebbero benissimo. Dovrebbero solo cadere i pregiudizi ambientalistici su questa ricerca, che gli studi più recenti hanno dimostrato essere infondati".
04 settembre 2013
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