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Autore Discussione: L’Italia in Cina fa +7% e guarda alle nuove città  (Letto 2127 volte)
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« inserito:: Giugno 03, 2013, 04:53:34 pm »

2013

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29

L’Italia in Cina fa +7% e guarda alle nuove città


Arrivano buone notizie per l’Italia da Pechino: il nostro export verso la Cina nei primi quattro mesi del 2013 è cresciuto del 7%, mentre le importazioni sono lievemente calate (anche se questo secondo dato rivela la contrazione dei consumi dovuta alla crisi). Il risultato è tanto più significativo se si considera che nello stesso periodo le esportazioni francesi hanno segnato un -7%: e non per niente qualche settimana fa il presidente Hollande è venuto a Pechino e Shanghai con un vasto seguito di industriali. Segno negativo per la Germania: -3% circa.
Questi numeri risultano a Riccardo Monti, presidente dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, venuto a Pechino per fare il punto con i colleghi cinesi e preparare il terreno per i prossimi passi della nostra penetrazione commerciale (in attesa dei necessari contatti al massimo livello di governo).

Monti ha spiegato che l’obiettivo dev’essere quello di raggiungere con i prodotti made in Italy le circa 20 città «di seconda fascia» della Cina, non più solo le megalopoli, da Pechino a Chongqing e Shanghai. Nei centri urbani «di seconda fascia», che sono agglomerati da milioni di abitanti comunque, i consumatori cinesi stanno scoprendo che l’Italia non ha da offrire solo il lusso, ma anche «il ben fatto di qualità» e non troppo costoso. I cinesi hanno cominciato a viaggiare per il mondo (83 milioni di turisti l’anno scorso, se ne prevedono 100 nel 2013): quelli che sono venuti in Italia hanno conosciuto «i prodotti consumati dagli italiani». E tornati in patria ora chiedono cose dello stesso livello. Le nostre aziende possono fornirle: per esempio il settore delle calzature l’anno scorso ha venduto per 440 milioni di dollari nella Repubblica Popolare. Non sono «fuoriserie» griffate, ma le stesse scarpe di buona qualità e buon gusto che portano uomini e donne comuni in Italia.
Ci sono poi due campi che possono offrire opportunità enormi e ancora inesplorate: la difesa e la riqualificazione dell’ambiente e la nuova ondata di urbanizzazione.

L’inquinamento industriale accumulato negli ultimi trent’anni di crescita ha danneggiato gravemente l’aria, i terreni e i fiumi della Cina. E l’Italia ha sviluppato tecnologie d’avanguardia nell’ingegneria della bonifica.
E poi c’è il piano del nuovo governo di Pechino per sostenere la crescita dell’economia nei prossimi dieci-vent’anni: il premier Li Keqiang vuole portare 400 milioni di cinesi a vivere in città. Per fare questo, spiega il presidente dell’Ice, dovranno costruire circa 200 milioni di unità abitative. E le imprese italiane potranno partecipare nel settore dell’arredamento degli interni e delle rifiniture, dai serramenti alla rubinetteria. Non è cosa da poco: basta moltiplicare per 200 milioni. Più cittadini significherà anche meno contadini, la mano d’opera manuale nelle campagne dovrà essere sostituita dai macchinari agricoli: anche questo settore può sostenere l’export italiano.

Un avvertimento di Riccardo Monti: «La Cina non è l’Eldorado, ci si può fare male senza investimenti, serietà e pazienza».

DA - http://pechino.corriere.it/2013/05/29/litalia-in-cina-fa-7-e-guarda-alle-nuove-citta/
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