Primarie, il Pd cambia e apre la sfida a più candidati
Di Maria Zegarelli
18 agosto 2012
Le primarie sono, ufficialmente, un tema al momento in stand by: prima la Carta di Intenti, poi il perimetro del campo dei progressisti democratici, il patto con i moderati e, alla fine, il tavolo dei saggi (di coalizione) che stabiliranno le regole. In realtà si lavora e anche tanto perché il Partito democratico le regole le ha già, ma per decisione dello stesso segretario dovranno essere modificate con una norma transitoria prima che si arrivi all’appuntamento con i gazebo.
Pier Luigi Bersani ha infatti annunciato di non volersi blindare dietro lo Statuto che prevede che il segretario sia anche il candidato premier e dal momento che il sindaco di Firenze ha tutta l’intenzione di volersi candidare, il Pd ha un problema. «È una questione che affronteremo alla fine del percorso indicato da Bersani», dice il responsabile Organizzazione Pd, Nico Stumpo, ma ai piani alti del Nazareno stanno già iniziando a ragionare sulle modifiche.
LA NORMA TRANSITORIA: LO SBARRAMENTO
La strada sembra appunto quella di una norma transitoria che permetta, oltre al segretario, anche ad altri candidati - ma con il supporto di un consistente numero di dirigenti - di partecipare. C’è chi ipotizza lo sbarramento al 10% e chi al 35% e sin da ora è chiaro che non sarà una passeggiata dentro il partito, motivo per cui oggi parecchi dirigenti - anche quelli che qualche mese fa sostenevano la modifica della norma e l’apertura a più candidati - alla luce dei nuovi scenari politici ne farebbero volentieri a meno. «Viviamo una situazione molto complessa - dice Beppe Fioroni - durante la quale stiamo cercando di costruire una coalizione partendo dalla nostra Carta di intenti ma se poi, per soddisfare la pruderie di qualcuno dobbiamo modificare il nostro Statuto si farà anche questo». Inevitabile il riferimento a Renzi, che già scalda i muscoli e ha contattato come braccio destro Roberto Reggi, l’ex sindaco di Piacenza, per curare l’aspetto più squisitamente politico della campagna elettorale, di cui si sta già occupando anche Giorgio Gori per il coordinamento dei comitato territoriali.
«Vedremo se il livello delle ambizioni personali di qualcuno sarà adeguato al delicato compito che si deve assumere chi si candida a governare il Paese», conclude Fioroni. La presidente del partito Rosy Bindi, ieri in un’intervista a l’Unità è stata chiara: «Per me il candidato premier deve essere il segretario», ma il vice, Ivan Scalfarotto, pensa che invece le primarie siano fondamentali. «L’ultima volta le abbiamo fatte - dice - nel 2009: il mondo da allora è completamente cambiato. Quindi fa bene Bersani a chiedere una nuova legittimazione anche se io avrei preferito le primarie di partito, come avviene in America, e non di coalizione. Siamo stati noi il primo partito in Italia a introdurre questa novità e non capisco perché dobbiamo ricorrere a primarie di coalizione».
Ma anche in questo caso ogni discorso sembra prematuro perché fino a quando non si conoscerà la legge elettorale sarà difficile anche delineare nitidamente il quadro delle alleanze e dunque tutto sembra rimandato a fine settembre. «Entro fine ottobre - dice Stumpo - dovremmo aver definito la modifica dello Statuto da sottoporre all’Assemblea e le regole delle primarie insieme agli altri partiti della coalizione» per arrivare alla consultazione entro dicembre.
RENZI & GLI ALTRI CANDIDATI IN PECTORE
E se sulla candidatura di Pier Luigi Bersani dubbi non ce ne sono, Matteo Renzi dovrebbe ufficializzare la sua a settembre, mentre l’attuale assessore alla Cultura al Comune di Milano, Stefano Boeri, ha annunciato che potrebbe scendere in pista perché il suo partito «non può rimanere schiacciato tra il conservatorismo di Bersani e il liberismo di Renzi». Nichi Vendola sarà il candidato di Sel, Riccardo Nencini per il Psi, e l’assessore al Bilancio del Comune di Milano, Bruno Tabacci per l’Api di Rutelli. Pier Ferdinando Casini non sarà della partita, neanche se dovesse annunciare prima del voto di governare con il centrosinistra, perché sul punto è sempre stato chiaro: no alle primarie. Ma basta fare qualche telefonata tra i dirigenti del partito per capire che nessuno avrebbe voluto dover passare per una modifica, seppur con una norma transitoria e dunque ad hoc, dello Statuto per aprire le primarie a più candidati del partito. Il sospetto che il sindaco di Firenze partecipi alla competizione più che altro per stabilire il suo peso specifico dentro il Pd, e poi rivendicarlo durante la formazione delle liste, è piuttosto forte.
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