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Autore Discussione: Viaggio di 5 mila Km della strada che attraversa "nel nulla" l’intera Argentina.  (Letto 2637 volte)
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« inserito:: Settembre 17, 2007, 12:30:01 pm »

17/9/2007 (8:7)

Ruta 40, là dove finisce il mondo
 
Viaggio lungo i 5 mila chilometri della strada che attraversa "nel nulla" l’intera Argentina

MEMPO GIARDINELLI


E’ ancora presto. Il mattino risplende lentamente, con il sole che si riflette sulle montagne. Le Ande del sud, là dove finisce il continente americano, sono di una bellezza assoluta, fredda e perfetta. Stamattina le guardo da uno degli angoli più inospitali: la mitica Ruta 40, che attraversa tutta l’Argentina, dall’estremo nord fino al «finis terrae» del sud, come una gigantesca colonna vertebrale lunga più di 5 mila chilometri.

La Ruta 40 è un’interminabile linea irregolare, che le autorità hanno sempre preteso che fosse una strada, ma che in realtà è solo una pista che non meriterebbe nemmeno di essere chiamata così, perché è solo un tracciato, ampio, con milioni di pietre ammonticchiate sui lati. Penso a una delle lingue del Diavolo che accompagna le montagne come se ne fosse la sposa.

È quasi tutta di pietra, proprio pezzi di montagna. Pietra su pietra, pietre enormi che potrebbero sfasciare la nostra automobilina da sotto se non fosse che avanziamo a passo d’uomo, qui a cinque chilometri l’ora, lì a dieci, schivando l’impossibile; si frena e si mette la prima, si frena di nuovo, si schiva di qua, si accellera, di nuovo la prima, la seconda, si frena, si schiva e così fin quando non si diventa matti e ti tremano le mani sul volante.

E la bellezza più imponente, eccola davanti a noi. Alta nel cielo come un paesaggio dipinto da artisti sublimi, un Raffaello, un Rubens. Tutto a portata di mano, anche se non c’è mano che possa toccarla. Come succede con le massime bellezze di questo mondo.

Ogni tanto freno e guardo di lato, verso quell’oriente che mi abbaglia con tante vette aguzze, di 3 mila metri o più, che ci guardano dall’alto come i condor. Il motore, stanco ma leale, non si ferma, non molla e risponde come un canto ripetuto e meccanico che scivola sulle pietre e ci porta nel paesaggio, ostinatamente, dando delle sbandate, come se stessimo ballando una cumbia delirante.

Pietra su pietra, la strada - per modo di dire la strada - è una grande pista dal fondo irregolare, una specie di groppa di iguana schiacciata in qualche punto dalle macchine della Viabilidad Nacional che passano ogni morte di Papa, come si dice, e per tutto il resto è un tappeto rugoso che sembra che nemmeno il piede di Dio potrebbe calpestarlo.

Tutto è uguale, pietra su pietra. Ed è vero che è pietra su pietra che si costruiscono le civiltà, ma qui non è successo. E ora pietra su pietra è appena lo sballottolamento di un’automobilina rosso sangue che attraversa il niente-niente. Il Nulla più assoluto, il centro preciso del niente. Perché i paesi più vicini a questo posto inconsueto sono a circa 300 chilometri a sud e a 300 chilometri a nord. Verso est, l’invalicabile Cordillera e, ad Ovest, il mare, ma a 500 chilometri di distanza. Questo è il vero e proprio centro geografico della Patagonia e qui l’unico punto di riferimento si chiama Bajo Caracoles, qualche casa intorno a un antico distributore di benzina.

Lo superiamo. Abbiamo messo tra noi più di 30 chilometri di pietra su pietra. Questa è una pampa infinita disegnata con un tratto grosso. Il succedersi degli altipiani sembra che porti con sé, trascinandolo, l’orizzonte. Come se per loro fosse un orizzonte portatile. Gli altipiani formano tutti un unico altipiano e a loro volta ognuno è a sé. Sparsi sulla superficie patagonica come tappeti colossali, si impongono nei miei pensieri. Li condizionano.

Nel vastissimo nulla è impossibile non avvertire che la ricchezza della Patagonia, agli albori del secolo XXI, non viene più dall’industria, né dal petrolio, né dal bestiame, né dai porti, ma dal turismo. Santa Cruz è una provincia enorme, grande esattamente come quasi tutta la Gran Bretagna, ma con meno di 200 mila abitanti, dispersi e impossibilitati a comunicare. E il turismo che riceve, anche se è ancora minimo, ha delle possibilità infinite come è infinito quello che si potrebbe fare qui. Di fatto è un territorio molto più ricco di quello che si pensa. Ha mare e montagne, ha la sabbia e la neve, ha laghi e deserti, ghiacciai e pampas, una fauna esotica e unica sia in terra sia in mare. Per ora arrivano solamente degli europei discreti e silenziosi, stupiti dalla dimensione e direi cultori della tranquillità. Ma un giorno verranno gli americani del nord e qui tutto si trasformerà in un carnevale di dollari. Bisognerebbe prepararsi per ricevere la ricchezza che sono in grado di spargere. E anche per controllare i disastri che inesorabilmente provocano.

Come sempre, guido divagando. Procediamo a non oltre 15 chilometri l’ora. È impressionante quante pietre ci sono. Non c’è nemmeno polvere: solo pietre dalle più svariate misure. Credo che la pietra di dimensioni medie dovrebbe avere un diametro di circa 5 centimetri. Non si potrebbe nemmeno andare a piedi e tuttavia l’automobilina rossa, eroicamente, sale e scende, salta e si incurva, avanza e rallenta, una meraviglia di comportamento che non smette di stupirci. L’andatura lenta mi permette di contemplare il paesaggio mentre guido: vedo in lontananza una montagna enorme, come un grosso altipiano che sporge, ripido sul paesaggio ripetuto. Fernando guarda la mappa e dice che deve essere il Cerro Chato e che è quello che scaleremo. La parsimonia dell’andatura scatena anche le mie speculazioni filosofiche, letterarie, esistenziali. Vedere la montagna da sotto, immaginare che tra qualche ora saremo in vetta, mi eccita come una amante. Arriviamo.

(traduzione di Patricia Martelli Castaldi)


L'autore

Mempo Giardinelli è nato nel 1947 nell’Argentina nordorientale. Giornalista e scrittore, è stato costretto all’esilio dalla dittatura degli Anni Settanta. Attualmente è commentatore per diversi quotidiani e periodici argentini come Página 12, Clarín, La Nación. La sua opera letteraria è stata tradotta e pubblicata in una ventina di lingue: fra i romanzi, La revolución en bicicleta (1980), El cielo en las manos (1981), Luna Caliente (1983). Giardinelli ha ricevuto sabato al Forte di Vinadio (Cuneo) il premio «Grinzanemontagna» per l’opera completa e per la sua testimonianza sulla Patagonia.

da lastampa.it
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