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Autore Discussione: Ippazio Stefàno: «I lavavetri? A Taranto sono poveri socialmente utili»  (Letto 2384 volte)
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« inserito:: Settembre 19, 2007, 12:25:18 am »

Ippazio Stefàno: «I lavavetri? A Taranto sono poveri socialmente utili»

Marcella Ciarnelli


Primi cento giorni di un sindaco di frontiera. Ezio Stefàno (all’anagrafe Ippazio) governa Taranto da poco più di tre mesi e si presta ad un bilancio. Lo fa in una piccola stanza che guarda il mare. Un ufficio come tanti. Non ha voluto usare il pomposo studio in cui i suoi predecessori pensavano più ai propri interessi che a quelli di una città che detiene il record negativo di comune più indebitato d’Italia. Alle spalle del palazzo comunale si intrecciano i vicoli di un centro storico bello e disastrato, che non ha avuto il bene di vedere investiti nel necessario risanamento fondi pur stanziati ma che poi hanno preso altre strade più redditizie. Ormai i palazzi sono quasi tutti disabitati. Un problema tra i problemi. Che sono tanti. Per risolverli, racconta il sindaco, bisogna impegnarsi in «un lavoro disumano a cominciare dal tempo. Non è che io voglia stare sempre qui. Ma l’impegno di dodici, quattordici ore al giorno è indispensabile anche se c’è l’amarezza di riuscire a produrre per non più di due ore. Il ritmo è tale che arrivi alle cinque del pomeriggio senza prendere un caffè. E non te ne accorgi neanche. E questo vale anche per tutte le persone che collaborano con me». Tanta fatica ma qualche risultato positivo si sarà pure visto. «La maggiore soddisfazione è quella che finora siamo riusciti, pur con grandi sacrifici, a non perdere posti di lavoro. Non è stato facile ma abbiamo ottenuto il risultato. La città ha capito che abbiamo bisogno di tempo per cambiare le cose. I guasti di tanti anni di saccheggio non si possono riparare in poco tempo. Oltre al disastro economico qui si è perso il senso di appartenenza, del dovere, della solidarietà. Dobbiamo metterci riparo. Giorni fa è venuta da me una famiglia disperata, sei persone senza casa, padre, madre e figli malati mi hanno chiesto un tetto. Dormire la notte senza dare risposte a queste persone è difficile. Ma la burocrazia è troppo lenta. A richieste drammatiche come questa non si può rispondere dicendo: presenta la domanda e mettiti in graduatoria. E nel frattempo che fanno? Bisogna, invece, dare rapidi riscontri. Rispettando le regole, questo è chiaro. In questi mesi siamo riusciti a dare risposte di grande attenzione sui problemi del lavoro e quelli dei bisogni della gente svolgendo un ruolo, direi proprio, di assistenza sociale. Ma senza perdere di vista la necessità di riprogettare la città. L’errore che è in agguato in queste situazione è quello di essere travolti dai problemi urgenti e non impegnarsi nel disegno del futuro, che è poi il vero ruolo di un’amministrazione».

Casa, lavoro, infrastrutture, traffico. Ma c’è anche l’approccio con i problemi che hanno fatto diventare “sceriffi” alcuni sindaci? «Da noi lavavetri o parcheggiatori abusivi non sono vissuti con fastidio. In fondo, nel loro piccolo offrono una prestazione di lavoro. Se lo fanno con simpatia ed educazione non c’è nessuna forma di rigetto da parte dei cittadini. E quando ci sono state segnalate forme troppo aggressive di rischiesta, siamo intervenuti e tutto è rientrato. In questi mesi ho dovuto fare i conti con gli operai che hanno occupato il ponte per difendere giustamente il loro posto di lavoro. Ci sono andato sul ponte a chiedere che senso ha manifestare contro un amministratore che sta dalla tua parte e, intanto, creare disagi a tanta gente che tornava a casa dopo una giornata faticosa, ai lavoratori che uscivano dagli altiforni dell’Ilva dove il lavoro è duro e si rischia di morire. La battaglia l’abbiamo vinta e non abbiamo perso un solo posto di lavoro». Allora la ricetta di un buon amministratore può essere «più dialogo che delibere». «Certamente» conferma il sindaco che con le ricette nella sua lunga carriera di pediatra ci ha convissuto per anni, con un sorriso sotto i baffoni ed un lampo negli occhi dallo sguardo sornione. «La delibera è un pezzo di carta e non abbiamo neanche i mezzi per attuarla. Si ottiene molto più con la ragionevolezza. La gente non vuole assistenza, vuole un lavoro. Per questo stiamo mettendo a punto una Banca della solidarietà per dare una risposta parziale ma immediata. Spiego meglio. Viene da me una persona che non ha di che mangiare, io non gli posso dire presenta una domanda. Ma posso invece dare quello che è possibile dare, in cambio di un lavoro, anche di poche ore. Ti do tot euro, e tu mi pulisci un giardino. Questa è solidarietà senza assistenza. Così possiamo conservare risorse per chi non può darci nulla in cambio, i bambini, gli anziani. Il volontariato finora ci ha dato una mano. Ma ora vogliamo istituzionalizzare questa sorta di scambio attraverso una delibera veloce, rapida. Non una delibera che vieta ma piuttosto una delibera che ci consenta di non dire di no, ed in molti casi di aprire una strada con uno sbocco certo. Una risposta immediata prima di trovare una proposta più stabile». Anche rivolta agli immigrati? «Ce ne sono pochi. C’è tanta disoccupazione nostra, non ne arrivano. C’è qualche mendicante, suonano uno strumento. A me piace tanto ascoltare quelli che suonano la tromba. Non trasmettono un senso di insicurezza». Un bilancio onesto deve misurarsi con le parole dette dal sindaco appena eletto «voglio far rispettare con l’esempio le leggi della morale e dell’etica». Ci è riuscito? «Tutta la mia campagna elettorale si è basata sulla considerazione che alla gente chiediamo di comportarsi in un certo modo accettando che i politici si comportino al contrario. Di qui il distacco che c’è tra politica e cittadini. Io sono rimasto com’ero. Ho rinunciato allo stipendio, continuo ad andare a piedi, non ho il permesso per transitare nelle corsie preferenziali o per parcheggiare nel centro storico. Non ho voluto nessun privilegio. Vivo la mia città confrontandomi per strada con i problemi della gente. Non è un atteggiamento, è il mio modo di essere. Come fai a guardare negli occhi una persona per cui il sogno è guadagnare cento volte di meno di quanto guadagni tu, se non cerchi almeno di dar voce al suo disagio?» Sogni? Il sogno di Ezio era fare il sindaco? «Il mio sogno l’ho realizzato facendo il medico. Continuo a farlo un paio d’ore al giorno. E mi gratifica. Da medico faccio la diagnosi, dò le medicine, e dopo poco vedo i risultati. La vita politica a volte è frustrante. Allora, sindaco, meglio il camice che la stella da sceriffo? «Meglio, innanzitutto, il dialogo. È la medicina migliore». 2/continua


Pubblicato il: 18.09.07
Modificato il: 18.09.07 alle ore 8.34   
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