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Autore Discussione: JASWANT SINGH - Birmania al voto, il paese crocevia per India e Cina  (Letto 2065 volte)
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« inserito:: Aprile 01, 2012, 12:17:14 pm »

1/4/2012

Birmania al voto, il paese crocevia per India e Cina

JASWANT SINGH*

Isolato e impoverito da decenni di sanzioni internazionali, il Myanmar (Birmania) è emerso negli ultimi mesi sia come un faro di speranza sia come un potenziale nuovo focolaio di conflitto in Asia. Con il premio Nobel Aung San Suu Kyi liberata dopo due decenni di arresti domiciliari e ora in piena campagna elettorale per conquistare un seggio in Parlamento nell’elezione speciale che si terrà oggi, il Burma sembra credibilmente impegnato nello sforzo per rientrare nella comunità internazionale. Ma quest’apertura ha altre conseguenze e, soprattutto, pone le basi per un nuovo «grande gioco» nella competizione strategica.

Non dovrebbe stupire che la Birmania sia un luogo d’interesse per le grandi potenze. Dopotutto, è più grande della Francia e con una popolazione confrontabile. Nel suo nuovo libro «Monsoon», Robert Kaplan osserva che nel Medioevo tre regni si estendevano tra la Thailandia (allora chiamata Siam) e l’India. Uno era il Myanmar, che significa «ciò che è centrale». Secoli dopo la Birmania resta centrale, non solo in materia di sicurezza asiatica ma anche per la grande ricchezza naturale del Paese, in gran parte non ancora sfruttata.

L’importanza strategica della Birmania riflette, in primo luogo, la sua posizione geografica tra India, Cina, Thailandia e Sud-Est asiatico. La collocazione geografica della Birmania, circondata a Nord dalle creste meridionali dell’Himalaya, a Est dai contrafforti delle colline ricoperte di foreste di teak, affacciata a Ovest e a Sud sul Golfo del Bengala e sull’Oceano Indiano, ha sempre plasmato la storia del paese e la sua politica.

Nel 1885, durante la precedente epoca di grande competizione per il potere in Asia, Lord Randolph Churchill, il padre di Winston Churchill, dopo la Terza guerra anglo-birmana impulsivamente annesse la Birmania al Raj britannico dell’India. Thant Myint-U, uno tra i più importanti storici della Birmania contemporanea (e figlio dell’ex segretario delle Nazioni Unite, il generale U Thant), ha paragonato la mossa di Churchill a «gettare la Birmania da un dirupo».

Solo nel 1937, per decreto del viceré britannico, la Birmania fu finalmente separata dall’India britannica. Ma l’invasione giapponese, cinque anni dopo, sottomise ancora una volta la Birmania e il suo popolo al dominio coloniale e l’assalto dell’esercito imperiale giapponese fu bloccato solo a Imphal, nello stato indiano di Manipur.

La fine dell’impero britannico nel 1947 restituì alla Birmania la sua libertà, ma non pose fine alle sue tribolazioni. L’assassinio di Aung San (padre di Suu Kyi e leader del movimento per l’indipendenza della Birmania), destabilizzò il Paese, spianando la strada alla presa di potere dell’esercito. Sotto il lungo dominio della giunta militare la Birmania si è chiusa al mondo, ha interiorizzato i suoi problemi ed è rimasta immobile mentre il resto dell’Asia era in piena espansione economica. Il mondo ha ricambiato, isolando la Birmania sia economicamente sia sotto il profilo diplomatico.

In questa Birmania sono arrivato da Imphal circa 10 anni fa, primo ministro degli Esteri indiano a viaggiare via terra verso il suo vicino dopo l’indipendenza. L’India’s Border Roads Organization aveva da poco completato la prima strada aperta tutto l’anno che collegava i due Paesi dai tempi della seconda guerra mondiale. Percorrere questa «strada per la leggendaria Mandalay», scrissi nel mio diario, fu il culmine di «una delle più memorabili, soddisfacente e felici missioni estere nella mia esperienza come ministro degli Esteri».
Anche la Cina ha cercato per secoli di tenersi legata la Birmania, principalmente per avere una rotta aperta per l’India meridionale e l’Oceano Indiano. Negli ultimi decenni la Cina ha approfittato della messa al bando della Birmania da parte della comunità internazionale per soddisfare i propri interessi strategici, costruendo autostrade, ferrovie, porti e gasdotti che collegano la Cina meridionale e occidentale all’Oceano Indiano.

Ma il commercio non è stato l’unica motivazione della Cina per investire in modo massiccio sulla Birmania. La Cina vede la Birmania come vitale per la sua ricerca di sicurezza, nonché per l’espansione regionale del potere cinese.

Riflettendo i suoi timori sul rischio di accerchiamento da parte della Cina, l’India democratica, dopo le iniziali esitazioni, ha accantonato i suoi scrupoli riguardo al regime militare birmano. I legami culturali, economici, sociali e, talvolta, militari dell’India con la Birmania - anzi, con l’intera regione - sono più antichi di quelli cinesi. Quindi, per ragioni di Realpolitik, nel corso degli ultimi due decenni di governo della giunta, l’India ha ampliato le sue attività e gli investimenti in Birmania.

A volte la competizione con la Cina è diretta. Nei campi di gas di Shwe, lungo la costa birmana, stimati tra le più grandi riserve del mondo, devono essere realizzati due gasdotti: uno verso la Cina, dal vicino porto di Kyauk Phru, e l’altro verso l’India dal porto di Sittwe.
Per Thant, questa competizione strategica è preoccupante. Il «crocevia attraverso la Birmania», sostiene, non può essere «una semplice unione di Paesi», perché le regioni di «Cina e India che sono messe in comunicazione tramite la Birmania, sono tra le più remote dei due Stati giganti, regioni di diversità etnica e linguistica senza pari... società montane isolate che erano, fino a poco tempo, fuori del controllo di Delhi o Pechino».

Mentre la Cina cerca una strategia di lungo corso in Birmania, gli interessi indiani sono ora rilanciati dall’apertura della comunità internazionale a un Paese che sembra desiderare le stesse libertà democratiche possedute dagli indiani. E, in Aung San Suu Kyi, che ha studiato a New Delhi (come già sua madre, Daw Khin Kyi, che nel 1960 fu ambasciatore in India e in Nepal), la Birmania trova un leader morale carismatico che agli indiani ricorda i fondatori del loro Paese.
Il risultato è che la Realpolitik e l’interesse economico da soli non sono più i soli arbitri del «grande gioco» sulla Birmania. Anche gli ideali e la ricerca di libertà ora rivestono un ruolo chiave.

*Ex ministro indiano delle Finanze, degli Esteri e della Difesa, è l’autore di «Jinnah: India - Partition – Independence».

Copyright: Project Syndicate, 2012.
www.project-syndicate.org

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9953
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