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Autore Discussione: La Spesa che scotta  (Letto 2322 volte)
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« inserito:: Settembre 15, 2007, 10:44:46 pm »

La Spesa che scotta

Alfredo Recanatesi


Ora non sono più le sensazioni soggettive delle massaie, le polemiche più o meno pretestuose, o la presunta fallacia delle rilevazioni dell’Istat. Ora sono due tra le principali istituzioni dell’Unione europea, la Commissione e la Banca centrale europea, a suonare l’allarme sui rincari dei beni alimentari. Pane, pasta, latte, uova: queste e altre voci della spesa quotidiana di tutte o quasi le famiglie sono rincarate mediamente negli ultimi sei anni del 30 e più per cento, nella maggior parte dei casi con una accelerazione negli ultimi dodici mesi. La spesa alimentare assorbe del reddito disponibile una quota inversamente proporzionale al livello del reddito stesso.

Ossia incide poco - il 10% e anche meno - su chi ha redditi elevati; incide parecchio, per il 50% e anche più, sulle classi di reddito più basse. Un suo rincaro, quindi, produce un effetto che gli economisti definirebbero regressivo: pesa di più su chi ha già difficoltà ad arrivare a fine mese, e meno su chi da questo problema è per sua fortuna molto lontano. Ha dunque un forte effetto sulla distribuzione del reddito reale, così acquistando una altrettanto forte rilevanza politica.

Del resto, non si sta qui parlando di fenomeni di mercato; tutt’altro. I settori dell’agricoltura e dell’allevamento sono dirigisticamente guidati dalla Commissione dell’Unione europea allo scopo ben preciso di difendere i redditi degli agricoltori soprattutto francesi olandesi e tedeschi (meno italiani) a spese - neanche a dirlo - di tutti quanti agricoltori non sono. Questi redditi sono difesi proteggendo prezzi alti limitando sia la produzione interna all’Unione, sia le importazioni che potrebbero avvenire a prezzi ben inferiori. All’ombra di questo sistema di protezione, poi, si autoprotegge la lunga ed esosa catena della distribuzione a causa della quale il prezzo dei beni alimentari, già protetto alla fonte, si moltiplica come ben si sa, prima di arrivare alla portata del consumatore finale.

È un meccanismo assai complesso in mano, a quel che sembra, ad apprendisti stregoni.

Ora, infatti, la Commissione di Bruxelles lancia l’allarme sull’impennata dei prezzi, ma i rincari sono guidati da pane, pasta e dagli altri derivati dalla farina il cui prezzo è letteralmente saltato in quanto la stessa Commissione da ben quindici anni paga i coltivatori perché mantengano obbligatoriamente improduttivi milioni di ettari precedentemente coltivati a grano. Si ha un bel dire che nel mondo la coltivazione del grano è stata ridotta per produrre i cereali che vengono trasformati in biodiesel, e che sulla domanda di farina premono Paesi dell’Asia che finora non se la potevano permettere, ma questi sono fattori che potevano, anzi dovevano, essere previsti già da anni, mentre solo ora, a prezzi vistosamente rincarati, si ha notizia da Bruxelles che alcuni milioni di ettari verranno sbloccati per poter essere seminati tra questo autunno e la prossima primavera. Intanto noi tutti, consumatori di pane e di pasta, paghiamo non solo la difesa del reddito degli agricoltori, ma anche i pasticci combinati a Bruxelles nella gestione di questo ormai ingovernabile meccanismo.

Se all’incidenza del rincaro della spesa alimentare si uniscono il rincaro dei mutui a tasso variabile ed altri rincari già verificati o annunciati, come quello del riscaldamento per il prossimo inverno con il petrolio ad 80 dollari e più e la disponibilità di gas quanto meno a rischio, si definisce una congiuntura che perpetua ed accentua tendenze di fondo del nostro tempo. Abbiamo già portato in evidenza come possa essere occasione di rincari la perdurante difficoltà nel misurare il valore delle cose, soprattutto delle piccole cose, con i centesimi di euro (e guarda caso, la farina è rincarata dell’11%, ma pane e pasta, con i centesimi che ci aggiungono produttori, distributori e commercianti, sono rincarati del 17 e del 27% rispettivamente, malgrado il costo della materia prima costituisca solo una piccola parte del prezzo finale). Così come abbiamo già portato in evidenza i dati del Fondo monetario che hanno quantificato la svalutazione del lavoro quando si tratta di ripartire la ricchezza generata dalle attività produttive.

Se in una grande democrazia industriale dell’Europa continentale com’è e come vuole essere l’Italia tutto questo non costituisce un primario tema della politica, quella che deve coinvolgere e responsabilizzare la gente, la Politica, quella con la P maiuscola, cos’altro è?

Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 13.11   
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