Credito
Banche, è allarme rosso
di Maurizio Maggi e Luca Piana
Da Intesa Sanpaolo a Monte Paschi a Unicredit. Le giornate nere in Borsa si susseguono.
A pesare sono le prospettive sempre più negative sui Btp e non solo italiani.
Perché ora le tensioni hanno raggiunto anche la Francia.
Un problema in più per i nostri istituti di credito, che nel loro patrimonio hanno ingenti investimenti in titoli di Stato
(21 novembre 2011)
Tempi duri per le banche. Da Wall Street all'Italia i manifestanti le prendono continuamente di mira. I consumatori le criticano. E diversi partiti politici, alla ricerca di un capro espiatorio per la crisi che sta tartassando l'Europa, scaricano su di loro la responsabilità del tracollo dei titoli di Stato. A dispetto di tutte queste tensioni, tuttavia, per gli istituti di credito la maggiore fonte di preoccupazione restano i mercati finanziari, a cominciare dalle vendite sui titoli di Stato che, dopo quelli italiani, stanno ora colpendo quelli francesi. Un problema in più per le banche, che hanno investito quote considerevoli dei loro patrimoni in titoli dell'area euro. E così, oggi, in Borsa le vendite stanno penalizzando un po' tutte le azioni bancarie, a cominciare da quelle degli istituti più piccoli. Un nuovo segnale di debolezza che in prospettiva rischia di mettere ulteriormente sotto pressione quegli azionisti che, a partire dalle Fondazioni bancarie, hanno finora garantito l'italianità del controllo delle banche maggiori.
Lo choc ha travolto le banche italiane lunedì 14 novembre. Unicredit, il secondo istituto nazionale per grandezza e il più ramificato oltre confine, ha annunciato di avere bisogno di un aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro. I quattrini servono per mettersi alle spalle una valanga di perdite straordinarie e, soprattutto, per rispondere alle nuove regole imposte dall'Eba, l'authority delle banche europee. Regole che spaventano non solo i manager degli istituti tricolori ma soprattutto i loro soci italiani. Se c'è ancora qualcosa di nazionale nell'azionariato di Unicredit - dove abbondano fondi arabi, enti governativi cinesi e casse pensionistiche di mezzo mondo - il merito va alle fondazioni bancarie. Che hanno sostenuto la banca di piazza Cordusio in questi anni difficili e che ora, per effetto del nuovo aumento, sono chiamate dall'amministratore delegato Federico Ghizzoni a mettere di nuovo mano al portfoglio. Sborsando, tutte insieme, la bella cifra di 1,2 miliardi, un sesto del totale. Soldi che alcune di loro, però, non hanno nella loro attuale disponibilità.
Il problema è tutto qui. Garantire il controllo italiano di Unicredit, alle fondazioni è costato lacrime e sangue. Il prezzo del loro sforzo salta bene all'occhio osservando la tabella qui sopra: il 15 per cento di Unicredit in mano alle fondazioni, in Borsa vale oggi 4,8 miliardi in meno rispetto a quanto c'è scritto nei loro bilanci. Se la situazione non migliora in fretta e il tempo le costringerà a far emergere l'enorme minusvalenza, verrebbero travolte da perdite contabili straordinarie. E rischierebbero di non avere più il becco di un quattrino per mandare avanti la loro attività, che va dal restauro di musei e ospedali al sostegno finanziario delle università nelle regioni d'origine.
Prospettiva inquietante, che preoccupa ancor più quelle fondazioni che temono di doversi indebitare per poter partecipare alla ricapitalizzazione della banca, per conservare la propria quota e, soprattutto, non perdere l'ambito peso decisionale sull'istituto. Alcuni presidenti - da Paolo Biasi della Cariverona ad Andrea Comba della torinese Crt, rappresentata da Fabrizio Palenzona alla vice-presidenza di Unicredit - non vogliono diluire la cospicua influenza che si sono ritagliati nel tempo.
A tre anni dal fallimento della Lehman Brothers, la crisi sta mettendo a nudo la debolezza del sistema di controllo delle banche. C'è chi teme che il crollo dei prezzi dei titoli di Stato italiani, con la loro tragica ricaduta sui conti delle banche, possa fornire infatti un'occasione d'oro a chi voglia far razzie. "Si sta preparando il grande saccheggio dei Lanzichenecchi", ha detto l'economista Giulio Sapelli, senza usare mezze parole, criticando aspramente le nuove regole imposte dall'Eba, guidata dall'italiano Andrea Enria, che ha ordinato agli istituti tricolori di mettere da parte riserve di capitale definite "temporanee" per ben 15 miliardi. Un cuscinetto di liquidità che dovrebbe servire per attutire le perdite sui titoli di Stato presenti nei portafogli delle banche.
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