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Autore Discussione: Sicurezza, Domenici e Cofferati "Poteri di polizia ai sindaci"  (Letto 3060 volte)
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« inserito:: Settembre 06, 2007, 05:19:12 pm »

POLITICA

I sindaci di Firenze e di Bologna hanno partecipato a un forum sul degrado nelle città

L'ex sindacalista: "Quando mi paragonano a Tex, ricordo che è amico degli indiani"

Sicurezza, Domenici e Cofferati "Poteri di polizia ai sindaci"

Ma la sinistra radicale attacca ancora. Cauto anche Follini: "Non inseguire la destra"

Manuela Palermi, Pdci: "Indecoroso e reazionario. Può essere votata solo da An"

 
ROMA - "Che ai sindaci e alla polizia municipale possano essere assegnate funzioni di polizia giudiziaria è, in determinate situazioni, di qualche utilità". Parola del primo cittadino di Bologna Sergio Cofferati che, insieme al sindaco di Firenze e presidente dell'Anci, Leonardo Domenici, ha partecipato a un forum sui temi del degrado nelle città organizzato dal QN. Ma nella maggioranza le polemiche sono sempre più aspre.

Il forum. Sergio Cofferati, nel corso del forum, ha spiegato meglio la sua idea di dare più potere ai sindaci: "Parlo di pochissimi compiti, definiti con molta precisione, per non cambiare la natura al ruolo dei sindaci", ha precisato il 'Cinese', che poi ha scherzato: "Ma una volta, quando eravamo piccoli, gli sceriffi non erano i buoni? E anche quando mi paragonano a Tex Willer, ricordo che Tex è amico degli indiani...".

Anche Domenici è d'accordo. "Non sono contrario a interventi di polizia giudiziaria", ha affermato. "Giusto che anche i sindaci, in casi limitati, possano fare ricorso a provvedimenti per allontanare alcune presenze indesiderate. Norme precise devono garantire, a italiani e stranieri, che naturalmente siano rispettati i diritti fondamentali della persona. Il foglio di via può anche andare bene. Se posso farlo come la questura, allora ho un problema: bisogna indicare i casi in cui la polizia municipale può intervenire con poteri analoghi a quelli delle forze dell'ordine".

La polemica. Non si placano, intanto, nella maggioranza le prese di posizione pro e contro il pacchetto Amato: "Cogliere i problemi di sicurezza dei più deboli è di sinistra", ma, ammonisce, il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, "noi non siamo quelli del bastone: il tema deve essere assunto con un menù di strumenti che vanno dai servizi sociali alla giusta dose di repressione".

Intanto la sinistra della coalizione insiste: "Non possiamo inseguire le destre sul loro terreno", ha ribadito il segretario di Prc Franco Giordano. "Condivido le parole del magistrato Caselli che di sicurezza se ne intende", ha aggiunto il segretario del Prc che sottolinea "bisogna distinguere la criminalità da chi ha invece delle difficoltà come ad esempio i lavavetri".

E ad Amato che in una intervista ieri avvertiva: "Attenti a una svolta fascista" e ammoniva i democratici di stare attenti a "non svegliare la tigre della reazione", risponde il capogruppo della Sinistra Democratica al Senato, Cesare Salvi: "Quando vedo che si dileggiano le idee di Cesare Beccaria e i principi dello Stato di diritto e di equità sociale, mi sembra che la svolta reazionaria rischi di essere già in atto".

"Condivido totalmente quanto oggi detto dal magistrato Caselli che non si può ritenere tenero contro la criminalità", aggiunge il ministro dell'Università Fabio Mussi. "Non è semplicemente digrignando i denti che si risolve il problema".

Più cauto il segretario del Pdci Oliviero Diliberto: "Aspetto di vedere il testo del provvedimento", anche se Manuela Palermi, capogruppo Verdi-Pdci a palazzo Madama, tira un fendente, definendo il pacchetto Amato sulla sicurezza "indecoroso, roba reazionaria che può essere votata solo da un'altra maggioranza di cui faccia parte a pieno titolo An".

Il pacchetto sicurezza non piace nemmeno a Marco Follini: "Stiamo attenti a non inseguire la destra sul suo terreno", dice il leader dell'Italia di mezzo e membro del comitato dei 45 del Partito democratico, in un intervento su 'Il Riformista'.

L'opposizione. E nel centrodestra si guarda con scetticismo al pacchetto sicurezza e alle polemiche nella maggioranza. "Mi auguro che quanto annunciato dal governo in questi giorni in tema di sicurezza non si riduca ad uno spot, ma mi sembra che purtroppo sia così. Mi sembra che lo scontro tra la sinistra radicale, la sinistra riformista ed il presidente del Consiglio dimostri quanto il discorso della sicurezza non stia a cuore al governo", afferma Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc.

(6 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 07, 2007, 11:21:46 pm »

Le manette della paura

Gian Carlo Caselli


Faccio fatica ad orientarmi. Da qualche tempo andavo «predicando» che di legalità - in Italia - è sempre più difficile parlare. Roba fuori moda. Favolette per ingenui. La «filosofia» dominante, da circa un lustro a questa parte, mi sembrava infatti quella che le regole van bene finché si proclamano, ma di fatto... fesso chi ci crede; perché in fondo così fan tutti e chi sbaglia (soprattutto se può e conta) non paga; in caso di necessità, poi, si poteva sempre sperare in un condono - magari tombale - o in qualche legge mirata «ad personam» o in una prescrizione anticipata da una legge tipo la (ex) Cirielli. Nello stesso tempo, chi forniva questi cattivi esempi poi lo si trovava quasi sempre piazzato in prima fila nel chiedere «tolleranza zero»... per gli altri. Il modello vincente prevedeva severità, se non spietatezza, verso gli altri (soprattutto se «diversi»), e nel contempo un bel po’ di indulgenza nei propri confronti. Con la conseguenza - sul piano giudiziario - della compresenza di due distinti codici: uno per i «galantuomini» (cioè le persone giudicate, in base al censo, comunque «per bene»...), congegnato per favorire il trascorrere del tempo finché al giudice si sostituisca - nel definire i processi - la mannaia della prescrizione.

Mentre per tutti gli altri il processo (pur con le sue lentezze) segna la vita e i corpi delle persone, a volte stritolandole. Ecco allora che parlare di legalità - interfaccia di uguaglianza - stava davvero diventando sempre più difficile. Ovviamente, come tanti altri continuavo a ripetermi che di legalità - invece - bisognava continuare a parlare. Anzi, ostinarsi a pretenderne sempre di più, nonostante l’aria di sufficienza o fastidio dei furbi e «benpensanti» che considerano questi discorsi non abbastanza moderni. Perchè senza regole non c’è partita, o la partita è truccata. Nel senso che solo il rispetto delle regole può disegnare un quadro riferibile all’interesse generale, che perciò offra a tutti almeno speranze di vita migliore e di crescita ordinata e comune. Senza di che a prevalere saranno - inesorabilmente - i rapporti di forza, gli interessi particolari di questo o di quello (singolo, famiglia, gruppo, lobby, cordata, clan, organizzazione criminale...).

Mi ripetevo tutto questo nella convinzione che prima o poi la tendenza si sarebbe invertita. Che concreti segnali di discontinuità si sarebbero avuti anche sul versante della giustizia penale e del controllo di legalità. Ed è per questo che oggi fatico ad orientarmi. Perché le differenze fra le opzioni culturali (e quindi le prospettive di cambiamento) sembrano affievolirsi, nel momento in cui è tutto un rincorrersi, un appiattirsi gli uni sugli altri sui temi della sicurezza, facendo a gara a chi più riesce a ridurli a problemi esclusivamente di ordine pubblico, senza più spazio (o quasi) per i diritti sociali e le garanzie, che della sicurezza finiscono per diventare ostaggi.

Paure e insicurezze crescono, fra i cittadini. Spesso, purtroppo, per cause obiettivamente fondate. Ma ancor più spesso per una percezione soggettiva esasperata di problemi che sono enfatizzati da pulsioni populistiche. Sarebbe opportuno cercare di arginare paure ed insicurezze. È invece pericoloso farvi da sponda, senza prendere le distanze dalle generalizzazioni catastrofico-apocalittiche che vanno diffondendosi. In questo modo si innesca un corto circuito: paure ed insicurezze, invece di porsi come mali da ridurre, si trasformano in parametri cui improntare le scelte di governo. Con la conseguenza che gran parte della politica (senza troppe distinzioni, ormai, fra i diversi schieramenti) sembra soffrire di una sorta di autismo: sembra cioè assorbita completamente dalla preoccupazione di compiacere senza riserve un’opinione pubblica sempre più inviperita, col rischio di perdere di vista la realtà effettiva dei problemi e quindi le soluzioni più opportune.

L’esempio dei lavavetri è emblematico. Quel che importa è farli sparire dalla vista, espellendoli dal centro delle città verso le periferie o addirittura spedendoli in carcere. Come se non fosse una mera illusione (oltre tutto assolutamente impraticabile, stante la materiale impossibilità degli apparati di reggere un carico simile) pensare di risolvere i problemi sociali con le manette.

Pubblicato il: 07.09.07
Modificato il: 07.09.07 alle ore 9.25   
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