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Autore Discussione: Lucian Freud poteva permettersi ogni licenza e lo sapeva  (Letto 3110 volte)
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« inserito:: Luglio 22, 2011, 04:15:45 pm »

22/7/2011



ALAIN ELKANN

Ho visto per l’ultima volta Lucian Freud due mesi fa a Londra in una brasserie di Piccadilly. Malgrado fosse primavera inoltrata, portava sopra la camicia un cappotto di tweed. Indossava sovente pantaloni di cotone chiari imbrattati di colore, scarpe alte come da montagna e un foulard sottile legato attorno al collo. Si guardava sempre intorno con occhi da sparviero sospettoso ed era quasi impossibile avvicinarlo, avvolgeva la sua vita e la sua persona di mistero.

Dopo una lunga conversazione a Madrid con il critico d’arte australiano Robert Hughes, suo grande ammiratore, cominciai a interessarmi a lui e al suo modo metodico e nevrotico di vivere il suo lavoro, ai suoi orari precisi, alla sua irriverenza verso la società, ai suoi amori notevoli ai suoi numerosissimi figli legittimi e illegittimi.

Si era permesso di fare un ritratto piccolissimo della regina Elisabetta e uno grandissimo del suo scudiero, il primo marito di Camilla Parker-Bowles: era un modo di vendicarsi di essere stato un bambino ebreo-tedesco costretto da Hitler a emigrare in Inghilterra e obbligato a diventare inglese. Freud era consapevole del suo talento e di potersi permettere ogni licenza.

Sapeva benissimo, anche se non mi aveva mai detto nulla, che mi ero ispirato a lui per creare il personaggio di Julian Sax, protagonista del mio romanzo L’invidia (Bompiani). Confesso di averlo seguito da lontano, di essere stato varie volte da Clarke’s, il ristorante di Kensington dove faceva ogni giorno la prima colazione e dove pranzava all’una in punto con una delle sue figlie o con giovani amiche. È stato un artista di carattere difficile, violento e provocatore. La storia ci dirà se è stato un maestro del suo tempo.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9009
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 22, 2011, 04:16:49 pm »

News

22/07/2011 -

Lucian Freud i colori dell'angoscia

Il grande pittore è morto a Londra, a 88 anni

Un realismo inquietante, crudo e impietoso

FRANCESCO POLI

Lucian Freud, che era considerato come «il più grande pittore realista vivente», è morto a ottantotto anni a Londra. Nato a Berlino nel 1922, si era trasferito a Londra con la famiglia nel 1933, per sfuggire al nazismo. Suo padre Ernst, architetto, era il figlio minore di Sigmund Freud.

Più interessato ai cavalli che agli studi, Lucian sognava di diventare un fantino, e proprio una scultura in pietra di un cavallo gli permise di entrare alla Central School of Arts and Crafts di Londra. Successivamente continuò la sua formazione alla Anglian School of Drawing and Painting a Dedham. Inizia la sua attività come disegnatore e illustratore e solo a partire dagli anni Cinquanta decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura, diventando, assieme a Kossloff, Auerbach e Bacon, uno degli esponenti britannici di una tendenza figurativa con forti valenze espressive e esistenziali. «Io non potevo mettere nel quadro niente che non fosse effettivamente davanti a me»: questa è la disarmante spiegazione della sua scelta realista.

L’amicizia con Bacon, che dura fino agli anni Settanta, è fondamentale per la messa a fuoco della sua ricerca incentrata sulla rappresentazione ossessiva della figura umana nei suoi aspetti fisicamente più crudi e impietosi. Ma la sua pittura, anche se «freudianamente» inquietante, è lontana dalla tragica e geniale visione deformata di Bacon, e si caratterizza in modo più veristico attraverso un’enfatizzazione allucinata dei volti e delle figure, influenzata in particolare dalla Nuova Oggettività tedesca (Dix, Grosz, Schlichter, Hubbuch) e anche dal pittore inglese Stanley Spencer.

Fino agli anni Ottanta la sua opera è apprezzata soprattutto da chi difende la pittura «vera», intrisa di autentico vissuto (per intenderci, critici come Giovanni Testori o Jean Clair), ma la tendenza del gusto cambia in Gran Bretagna a partire da una mostra come «The New Spirit in Painting» alla Royal Academy di Londra (1981), che propone una lettura in termini postmoderni anche del suo lavoro, e soprattutto con il successo negli anni Novanta della Young British Art, con alcuni esponenti come Jane Saville e Ron Mueck che sono chiaramente influenzati dalla ipertrofica e impressionante «fleshness» dei suoi enormi nudi maschili e femminili, come quelli della «Big Sue» (Tilley).

Ed è così che Freud diventa (sostenuto da mercanti come Anthony D’Offay, da direttori di musei e da potenti operazioni mercantili internazionali) un maestro anche per le nuove generazioni, e uno dei più quotati artisti presenti sul mercato.

da - http://www3.lastampa.it/arte/sezioni/news/articolo/lstp/412561/
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