11/7/2011
Cambia rotta la locomotiva del Nord-Est
DANIELE MARINI
Non ha più la corsa slanciata d’un tempo, la locomotiva d’Italia. Ha rallentato. Da diversi anni ne sono arrivate altre in grado di procedere più velocemente e sugli stessi binari. Ha corso velocemente, la locomotiva, ma non ha saputo nello stesso tempo adeguare il motore e le carrozze alle nuove esigenze della competizione internazionale.
La locomotiva non è diventata un treno ad alta velocità (anzi, è proprio l’infrastruttura di cui più sente la mancanza). E, in questa lunga crisi economica, è costretta a fare una doppia capriola: trasformare se stessa, mentre cambia il mondo. Parliamo del Nord-Est dell’Italia che ha progressivamente allineato le sue performance al resto del Paese. O, in qualche misura, ha nordestizzato l’Italia. Ciò non di meno, le sue performance continuano a essere migliori del resto d’Italia.
Come rilevato dall’Istat, insiste a centrare obiettivi importanti: il suo Pil è cresciuto del 2,1% nel 2010 (Nord-Ovest: 1,7%; Centro: 1,2%; 0,2%: Mezzogiorno). Una crescita trainata dalla presenza di medie imprese divenute leader a livello internazionale: le cosiddette multinazionali tascabili. Soprattutto, dalla grande propensione del sistema produttivo locale di proiettarsi sui mercati esteri e, quindi, di agganciare il vento della ripresa che soffia oltre i nostri confini. Ma non c’è solo economia. Il Nord-Est ha una società dove la coesione sociale presenta ancora caratteri importanti, a dispetto degli stereotipi che gli stessi nordestini non di rado alimentano. La presenza e l’arrivo dei migranti è ben sopra la media nazionale (nel 2010 oltre il 9%, mentre in Italia è il 7%).
Eppure, come testimoniano le ricerche Caritas-Cnel e Ismu, le province del Nord-Est primeggiano nella capacità di offrire un’integrazione lavorativa e abitativa agli immigrati. Complice una presenza capillarmente diffusa di mondi associativi e volontari che molto si sono spesi per accogliere questi nuovi cittadini. O degli stessi industriali – come nel caso di Treviso – che nella vicenda dei profughi hanno messo a disposizione le loro foresterie. Dunque, il Nord-Est nonostante le difficoltà continua a offrire risultati migliori della media italiana. In questo senso, questa parte orientale d’Italia continua a costituire un territorio che si caratterizza come un vero e proprio laboratorio. Un luogo, distante dal centro (Roma) e dai centri (Milano, Torino), ma non per questo periferico, dove avvengono processi innovativi. E poiché è nelle periferie che si genera il nuovo, è utile prestare attenzione a quanto si muove al suo interno. Lo è stato nel passato.
Pochi rammentano che l’industria italiana ha avuto proprio a Valdagno (Marzotto) e a Schio (Rossi), in provincia di Vicenza, le prime grandi esperienze dell’800. Studiosi (I. Diamanti, La Lega, Donzelli) e giornalisti (F. Jori, Dalla Liga alla Lega, Marsilio) ci ricordano come la Lega, oggi dominata ai vertici dai lombardi, abbia in realtà le sue radici in Veneto, nella marca trevigiana. I temi del federalismo e dell’autonomia, adesso così accettati, devono proprio alla Lega la loro affermazione nel dibattito pubblico. Per non dire della bilateralità nelle relazioni industriali che trovano nel Nord-Est le esperienze più avanzate: ancora negli Anni 70 nel campo dell’artigianato, prima, e industriale, poi, si strutturano in enti bilaterali. Non c’è stata assemblea degli industriali recente dove il presidente di turno non abbia pubblicamente ringraziato le organizzazioni sindacali (tutte) per l’atteggiamento responsabile tenuto nelle crisi aziendali. Con relativo scroscio di applausi da parte degli industriali partecipanti.
Non siamo alla cogestione in salsa teutonica, ma non siamo molto distanti. E anche oggi possiamo rintracciare fenomeni che sembrano anticipare quanto potrà avvenire in un prossimo futuro. Prendiamo solo due esempi in campo economico. Il primo riguarda una delle conseguenze della attuale crisi. Le imprese per continuare a essere competitive devono essere più solide, più grandi. Però tradizionalmente le aziende sono di natura familiare, tendenzialmente refrattarie a fondersi o ad aprirsi a nuovi soci. E qui scatta la ricerca di un percorso nuovo. Si può essere più grandi senza essere più grossi: alleandosi con altre imprese colleghe della filiera produttiva; innovando i propri prodotti assieme ai fornitori; imprese più grandi che comprano i macchinari più innovativi e li affidano ai propri terzisti; entrando reciprocamente nei consigli di amministrazione, rafforzando le alleanze; formando consorzi fra imprese. In questo modo, ognuno rimane della stessa dimensione d’impresa, padrone a casa propria, ma cresce per linee orizzontali, dando vita a un reticolo stretto di relazioni produttive e commerciali. Sarà una possibile nuova via per la crescita delle imprese italiane? Il secondo esempio riguarda una domanda nuova alle istituzioni e alla politica.
Recentemente, la marcia silenziosa degli industriali di Treviso, passando per i dibattiti a Padova e Venezia, fino a quello di Vicenza dove non sono stati invitati sul palco esponenti politici, nelle assemblee degli industriali è emersa con forza la disillusione nei confronti dell’attuale stagione politica. Sbaglierebbe chi pensasse a una riedizione degli Anni 90 dove gli imprenditori, dopo l’esperienza di Tangentopoli, ritenevano che l’economia e la società avrebbero potuto fare a meno della politica. Che la loro discesa in campo avrebbe dato una sferzata e una guida al Paese. Non è così oggi. Non sta avanzando nuovamente un contrasto alla politica. Tutt’altro: è netto, invece, il bisogno di politica. Nel senso di una politica in grado di interpretare il futuro, di prefigurarne i percorsi, di regolare lo sviluppo assieme agli attori sociali ed economici.
È la domanda di una politica dove la coesione sociale, il merito e il senso di responsabilità verso le nuove generazioni devono fare premio. Non è la richiesta di avere professionisti della politica, ma politici che sappiano fare bene la propria professione. Se il Nord-Est continua a essere un laboratorio per l’intero Paese, i segnali sono positivi.
*Università di Padova
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