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Autore Discussione: JUAN CARLOS DE MARTIN. Le tre zavorre che frenano l'Internet tricolore  (Letto 2861 volte)
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« inserito:: Dicembre 30, 2010, 11:19:38 pm »

30/12/2010

Le tre zavorre che frenano l'Internet tricolore

JUAN CARLOS DE MARTIN

Il mattino del 1° gennaio 2011 l'Italia che naviga e innova in Rete si sveglierà un po' più libera. Dando, infatti, seguito ad una promessa del ministro Maroni del novembre scorso, affiancata da molteplici iniziative sia della maggioranza sia delle opposizioni, il governo ha inserito nel decreto Milleproroghe di fine anno l'abrogazione di quasi tutto l'articolo 7 del decreto Pisanu. Ciò in concreto significa che da inizio 2011 non sarà più necessario mostrare un documento d'identità prima di accedere alla Rete da un punto di accesso pubblico. Inoltre, chi offre l'accesso - caffè, albergo, biblioteca, università, eccetera - non dovrà più né fotocopiare i documenti degli utenti, né conservare i registri delle loro attività online. Rimane l'obbligo di richiesta di una licenza al questore per gli Internet café, come anche altri eventuali obblighi previsti dalla normativa sulle telecomunicazioni.

Dopo cinque lunghi anni, dunque, l'Italia finalmente abbandona una norma unica tra i Paesi sviluppati e torna alla normalità. E' una buona notizia, di cui bisogna dare credito al governo, il quale è come se avesse tolto, con ampio consenso politico, una palla di ferro dalle caviglie dell'innovazione digitale italiana. Tutto a posto, dunque?

Dal primo gennaio possiamo aspettarci Wi-Fi per ogni dove e una popolazione improvvisamente connessa? Ovviamente no, non esageriamo. Tolto il decreto Pisanu, infatti, alle caviglie rimangono diverse altre palle di ferro e, come non bastasse, le gambe del corridore sono molto gracili. E', quindi, giusto rallegrarsi per il fatto che tra pochi giorni sarà più facile offrire accesso alla Rete a chi partecipa a convegni, va in biblioteca o visita le nostre città, ma dobbiamo guardare avanti e più in grande, definendo quella che potremmo chiamare un'agenda digitale per l'Italia. Una strategia di ampio respiro che porti il nostro Paese, nell'arco di qualche anno, a camminare sicuro sulle proprie gambe, confrontandosi con le nazioni che meglio stanno affrontando il secolo della Rete.

Caviglie zavorrate e gambe gracili, dicevamo. L'Istat, infatti, con il recente studio «Cittadini e nuove tecnologie» conferma che l'Italia, pur migliorata rispetto al 2009 per quello che riguarda Internet, resta ancora tra gli ultimi Paesi dell'Europa a 27. Il 57% delle famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni, infatti, possiede un computer e il 43% accede a Internet a banda larga, ma tali cifre ci collocano in fondo alla classifica europea, davanti solo a Grecia, Bulgaria e Romania. I bassi valori medi italiani, tuttavia, nascondono una realtà molto differenziata su base territoriale, demografica e sociale, differenze che bisogna aver presenti per definire strategie di contrasto efficaci. Al divario Nord-Sud (rispettivamente 54% e 47% di famiglie con accesso a Internet) si affianca quello ancora maggiore tra città (58%) e piccoli centri (45%). Le famiglie di dirigenti, imprenditori e liberi professionisti hanno percentuali di possesso del computer e di accesso a Internet paragonabili alle medie del Nord Europa, ovvero, rispettivamente 90% e 71%. Un po' al di sotto si collocano le famiglie con almeno un minorenne, 82% e 63%, mentre le famiglie operaie scendono di molto, ovvero 67% e 49%. Infine gli anziani soli: meno del 10% ha un computer e meno del 7% è connesso a Internet, la qual cosa rappresenta un’importante occasione mancata, perché gli anziani potrebbero trarre grandi benefici dall'uso di Internet, dal rimanere maggiormente connessi al resto della società e ai propri cari all'usufruire di assistenza medica tempestiva, mirata e a costi più contenuti.

Queste differenze testimoniano la presenza di tre grandi divari che ostacolano la crescita dell'Italia digitale, ovvero un divario infrastrutturale, un divario economico e un divario culturale.

Il divario infrastrutturale, ovvero chi vorrebbe accedere a Internet ma non può perché dove abita la banda larga non c'è. E' un problema che riguarda soprattutto chi vive fuori dai grandi centri urbani. Il divario economico: quasi il 20% delle famiglie che non ha accesso a Internet trova troppo costoso il computer o l'accesso a Internet, o entrambe le cose. Il divario culturale: il 23% di chi non accede a Internet la considera inutile e non interessante, mentre il 41% vorrebbe accedere, ma non ritiene di averne le capacità. A queste percentuali dovremmo aggiungere coloro che accedono alla Rete, ma estraendone, per limiti culturali, solo una piccola parte dei potenziali benefici.

Un'agenda digitale Italia dovrebbe prevedere azioni incisive su tutti e tre i livelli. Un piano di investimenti infrastrutturali, con obiettivi concreti e una forte volontà politica di realizzarli in tempi certi, per portare la banda larga praticamente ovunque in Italia - con la fibra ottica dove possibile e tramite usi innovativi dello spettro elettromagnetico (il cosiddetto «Wi-Fi dopato») altrove.

Un piano di seri sostegni economici, per esempio tramite deduzioni fiscali, a chi vorrebbe accedere al computer e a Internet, ma non può permetterselo; in questo senso occorre anche rafforzare le opportunità di accesso gratuito a Internet presso biblioteche e altri spazi pubblici.

Infine, un piano di istruzione con tre obiettivi primari: formare chi vorrebbe accedere a Internet, ma ne è intimidito (per esempio, molti anziani); dotare gli scettici di elementi, spesso non ovvi per chi non ha dimestichezza con la tecnologia, per apprezzare appieno l'utilità della Rete; infine, dotare chi già accede alla Rete, ma in modo povero, degli strumenti culturali per sfruttarne al meglio il potenziale.

Con un'agenda di questo tipo potremmo svegliarci il 1° gennaio non solo lieti di poter muovere i piedi un po' più liberamente, ma anche ragionevolmente fiduciosi di potere tra non troppo tempo correre al fianco del gruppo di testa. A patto, naturalmente, che la politica abbia un sussulto e riesca ad alzare lo sguardo all'orizzonte.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8240&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 08, 2011, 04:08:13 pm »

8/6/2011 - LE IDEE

Sindaci, date un volto digitale alle vostre città

JUAN CARLOS DE MARTIN

I nuovi sindaci di città come Torino, Milano, Napoli e Bologna saranno i primi, almeno in Italia, a dover dedicare specifica attenzione a una nuova dimensione delle loro città. Oltre ad aspetti consueti la nuova leva di sindaci dovrà avere idee molto chiare in merito alla città digitale.

Chi, infatti, nel 2011 voglia assicurare sviluppo economico e civile ai propri cittadini deve assicurarsi come mai in precedenza che questi ultimi siano in grado di sfruttare in pieno i benefici del digitale, la tecnologia portante di questo secolo. Come? Innanzitutto capendo che la città digitale è molto più di una mera questione di cavi e di computer, per quanto l’infrastruttura sia importante, anzi cruciale. La città digitale infatti è, tanto per cominciare, fatta di cittadini a loro agio col digitale indipendentemente da età e classe sociale. Questo è senza dubbio l’obiettivo principale: perché senza cittadini digitali tutto il resto è in larga parte inutile. La città digitale sono poi cittadini e visitatori in grado di accedere alla Rete a casa come in albergo, in biblioteca come in piazza, grazie a un mix di iniziative pubbliche e private. La città digitale è servizi online, dall’anagrafe alla sanità, servizi particolarmente preziosi per chi fa fatica a muoversi o per chi lavora. La città digitale è servizi via Web alle imprese, particolarmente le piccole, sulle quali la burocrazia pesa di più. La città digitale è memoria e cultura rese disponibili online: un archivio storico digitale che ricordi a cittadini vecchi e nuovi le radici del loro vivere insieme; biblioteche civiche che si aprono alla Rete; cura di come la città viene rappresentata online, dai siti istituzionali a Wikipedia, da YouTube a Facebook, perché nell’età di Internet quella è l’unica città che la maggior parte del mondo vede. La città digitale è integrazione: con molti nuovi cittadini provenienti da altre culture, la Rete è opportunità di inserimento nella vita della città. La città digitale è partecipazione democratica: massima apertura e trasparenza da parte dell’amministrazione comunale, ma anche forme nuove di coinvolgimento della cittadinanza nel progettare il futuro comune e arrivare a scelte condivise. La città digitale è «open data», ovvero tutti i dati prodotti dalla macchina comunale resi disponibili online gratis affinché chiunque li possa usare per idee innovative, sia imprenditoriali sia civiche. Dati sui trasporti, sull’ambiente, sui rifiuti, sui parcheggi, sugli orari degli esercizi commerciali e molto altro ancora: la città digitale li libera tutti, lasciando spazio all’innovazione. La città digitale si dota di sensori, ovvero genera bit e poi li usa per ridurre i consumi, per migliorare i trasporti, per contenere la spesa, per abbattere l’inquinamento. La città digitale facilita la creazione dei migliori posti di lavoro del futuro, che, come raccontato di recente dalla rivista americana Wired, sono quasi tutti legati al mondo del digitale. Sapendo che per farlo non occorrono colate di cemento o capitali immensi, perché il digitale ha bisogno soprattutto di cervelli, di bit e di ambienti congeniali - inclusi spazi pubblici moderni, come la nuova biblioteca di Seattle o quella di Salt Lake City. La città digitale è quella che favorisce l’applicazione del digitale a tutti i settori produttivi, anche quelli apparentemente più lontani dai bit, come l’artigianato o la moda: lì risiedono prospettive di sviluppo importanti per l’Italia.

Insomma, cultura, infrastrutture, economia, alfabetizzazione, inclusione, democrazia, lavoro: la città digitale è trasversale, tocca tutte le attività. Ecco perché i nuovi sindaci farebbero bene a porsi subito l’obiettivo di definire un’ampia agenda digitale per le loro città. Identificando non solo azioni chiave e obiettivi concreti, su cui relazionare ogni anno alla cittadinanza, ma anche nominando un/una «chief digital officer» che mantenga la visione d’insieme, colga sinergie, identifichi ridondanze, si impegni per il rispetto degli obiettivi e dei tempi. Non sarà facile: in un recente rapporto dell’Università di Oxford, infatti, non c’era neanche una città italiana tra le prime 36 città più connesse al mondo. I nuovi sindaci hanno, però, una grande occasione: lavorando bene fin da subito potranno tra cinque anni dire agli elettori che la prima, vera città digitale d’Italia è proprio la loro. Contribuendo così non poco al rilancio dell’Italia nel suo complesso.

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