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Autore Discussione: Goffredo FOFI, Se in Italia tornano i forcaioli  (Letto 2758 volte)
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« inserito:: Ottobre 24, 2011, 05:25:53 pm »

Se in Italia tornano i forcaioli

Goffredo FOFI

Ci sono parole del linguaggio politico di un tempo che sono scomparse dal vocabolario anche se, si spera, non dal sentire comune.
Una di queste è «forchettoni», inventata più di mezzo secolo fa da qualche buontempone del Pci per indicare i boss della Dc, ma che oggi potrebbe avere un valore universale, almeno in chiave metaforica, per indicare i super-ricchi e la classe dirigente palese e quella occulta (la finanza). Un’altra che mi è tornata in mente leggendo i commenti di politici e giornalisti sugli scontri di Roma di otto giorni fa è «forcaioli».

Ma prima di affrontare questa bassa materia, sarà meglio aggiungere qualche considerazione, cercando di farlo a freddo, sui manifestanti del 15 scorso. C’ero anch’io, per un primo tratto e mi ha impressionato, anche se a distanza, la violenza organizzata, organizzatissima, di un’infima minoranza di «arditi» che non mi sembra abbiano molto a che vedere con la tradizione storica dei violenti di sinistra, anarchici e autonomi compresi. Anche se molti degli ex sono pronti a metterci su la bandierina, e ho sentito persino paragonare i «violenti» a quelli di piazza Statuto, Torino 1962, ma lì io c’ero e posso testimoniare (se si vedano gli atti processuali e il bel libro di Dario Lanzardo) che i moti nacquero dall’incontro tra i giovani della Fgci e i giovani operai immigrati delle piccole fabbriche. I manifestanti violenti di oggi sono, mi sembra, un fenomeno nuovo e non solo italiano, frutto di un’epoca radicalmente nuova che mi pare solleciti, più che risposte di sinistra, risposte più o meno apocalittiche che concentrano in sé una mescolanza di idee di destra e di sinistra. È questa una tendenza che richiede analisi approfondite e accorte per poter essere compresa e, quando necessario, adeguatamente combattuta. Certamente non si tratta di «compagni che sbagliano», anche se sono cresciuti sull’assenza di idee di sinistra credibili e adeguate ai bisogni dell’epoca. Perché, che cosa vuol dire essere di sinistra, fuori dalle retoriche dei salottini benestanti e dei residui burocratici, e solo tali, del passato? Una cosa molto semplice e molto disattesa: è sinistra l’organizzazione degli oppressi, variamente oppressi, per una società giusta, e di questo non c’è per ora segno in Italia, e l’adesione alle loro lotte e ideali di gruppi di persone che, per amore di giustizia, si mettono dalla parte degli oppressi, ritenendosi in qualche modo oppressi essi stessi, dall’ingiustizia subita da altri.

È un discorso antico che l’epoca in cui viviamo prospetta in termini certamente nuovi anche se i «teorici» della sinistra vecchia e nuova non sembrano essersene accorti, ma non diversi da quelli di ieri nella sostanza e nella spinta etica, che è quella della ribellione
all’ingiustizia subita o vista subire da altri. Il problema non è solo quello di un manipolo di violenti, che hanno dalla loro una radicalità e una capacità di organizzazione che non hanno le maggioranze degli «indignati», ma cosa opporre di più saldo e forte che sia adeguato ai bisogni del tempo, alla crisi che ci è stata imposta, da un manipolo di criminali in grado di condizionare e far schiava la politica, che sono loro i primi responsabili di ogni violenza, distruttori del pianeta e nemici di ogni giustizia.
Il problema è la stragrande maggioranza degli «indignati» incapace per ora di organizzarsi e di reagire con modi nuovi, come altrove già succede, alle violenze del sistema e a quelle di una minoranza organizzata.

Faceva impressione nel corteo romano l’andamento iniziale da passeggiata dimostrativa o da marcia della pace, l’assenza pressoché assoluta di servizi d’ordine e perfino di cordoni, l’impreparazione all’eventualità di scontri: un’impreparazione dovuta al mancato trasferimento di modelli, esperienze, riflessioni da una generazione all’altra, a questi «nuovi» sia da parte della vecchia sinistra che da quella che si proclamava nuova.

Un vuoto scandaloso.

La via d’uscita ci sarebbe ma è appunto quella che non va bene a nessuno dei partiti e gruppi, dei nuovi e vecchi ideologi, e che si chiama disobbedienza civile, una proposta che evidentemente non appare consona alle mistificazioni italiche dei violenti, come dei nonviolenti, dei politici e dei fedeli servitori del potere economico. Torniamo ai «forcaioli». Uomini politici e giornalisti hanno dato prova di un coraggio da leoni nel gridare al lupo sulle loro gazzette e nell’invocare le maniere forti, leggi liberticide e abusi polizieschi.
 
Sono tanti e tutti eroici, costoro, nel chiedere e nell’invitare il potere a innalzare forche per i dissidenti, per i non-accettanti.

E sono loro, io penso, tra i principali nemici della democrazia e della giustizia oggi in Italia, e non solo dei movimenti che ineluttabilmente, buoni o cattivi, verranno.

22 ottobre 2011
da - http://www.unita.it/commenti/goffredofofi/se-in-italia-tornano-i-forcaioli-1.344875
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