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« Risposta #1 inserito:: Giugno 27, 2007, 06:28:17 pm » |
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CRONACA
L'inchiesta di Repubblica. Una vittima: "Picchiato davanti a mia figlia"
Le urla di un cravattaro: "Ti do due coltellate al cuore"
"Otto anni di minaccce e pestaggi Così gli usurai mi hanno distrutto"
di ATTILIO BOLZONI E FRANCESCO VIVIANO
ROMA - Quando i soldi non tornano indietro non c'è carogna più carogna di un usuraio. Diventano feroci. Torturano le loro vittime. Le umiliano davanti a mogli e figli. Rompono gambe, spezzano braccia. Le costringono a barricarsi in casa per settimane o anche per mesi. Come topi in trappola. L'ha fatto intendere anche Paolo, lo strozzino del bar di Trastevere che voleva prestarci soldi a un tasso di interesse del 20 per cento al mese. Anche lui - come abbiamo documentato nella prima parte della nostra inchiesta - ha lanciato i suoi avvertimenti: "Voglio dirvi una cosa, se non incasso quest'assegno è un problema".
Per capire di cosa sono veramente capaci i "cravattari" di Roma basta ascoltare la tragedia di Mario, imprenditore edile di Centocelle. Per qualche milione di vecchie lire chiesti in un momento difficile, ha perso tutto. È rimasto prigioniero di un usuraio come quel Paolo, per otto anni nelle sue grinfie. È stato spolpato, minacciato, picchiato, deriso. "La prima volta mi hanno trascinato nella cucina di una rosticceria, mi hanno massacrato per un quarto d'ora lasciando apposta la porta aperta perché mia figlia di 11 anni potesse vedere tutto. La bambina era tanto terrorizzata che non riusciva neanche a piangere", ricorda. La bimba oggi è un'adolescente anoressica.
Le violenze sono cominciate quando Mario non ha pagato la seconda rata del prestito. Lo aspettavano sotto casa. Un'imboscata dopo l'altra: "Quasi ogni sera si facevano trovare davanti al cancello. Ero sempre pieno di segni, ferite e cicatrici. Questa vita è andata avanti dai primi mesi del 1999 fino al 15 febbraio del 2007". È il giorno che Mario ha denunciato il suo strozzino.
Mario è un romano di Centocelle e ha appena compiuto cinquant'anni. Aveva un'impresa con una quarantina di operai, tanti piccoli appalti, ristrutturazione di interni. Qualche cliente poi ha cominciato a non onorare i pagamenti, lui aveva addosso il fiato dei fornitori, il suo conto in banca è andato sempre più in rosso. Dopo un anno gli hanno chiuso anche i fidi: "Così un giorno, nel bar dove andavo sempre a mangiare per pranzo, un amico mi presenta un altro amico che si era offerto di darmi una mano". Era disposto a cambiare gli assegni di sua moglie, però si tratteneva il 10 per cento al mese. Per un altro anno Mario ha resistito, poi in banca hanno chiuso anche il conto di sua moglie. È stato l'inizio della fine: "Non riuscivo più a pagare quel 10 per cento di interessi al mese e così mi facevano pagare gli interessi sugli interessi non pagati". Da una ventina di milioni di lire di debito iniziale, in tre anni gli avevano già scavato un buco di oltre 200 mila euro.
Dopo le minacce le aggressioni, dopo le aggressioni ancora altre minacce: "Cominciarono a dirmi che avrebbero ucciso mia moglie e i miei figli, che avrebbero fatto arrivare gente da fuori: mi dicevano che era un certo Pippo il calabro, mi facevano capire che era gente della 'ndrangheta...". E intanto lo riempivano di legnate.
È a quel punto che Mario si chiude a casa. Sbarra la porta, tiene le persiane sempre abbassate. La moglie cade in depressione, il figlio abbandona gli studi, la bimba non mangia più. Tutti sepolti vivi nel loro appartamento a Centocelle. Mario si è deciso a denunciare il suo aguzzino dopo che gli volevano ammazzare i ragazzi. Dice: "Non avevo più neanche i soldi per comprare il pane, li andavo a chiedere al prete della mia parrocchia. Fra morire io e far morire i miei figli, ho scelto il male minore". Il 15 febbraio hanno arrestato il suo strozzino. Quella sera Mario se la ricorda bene: "Appena sono uscito dalla squadra mobile ho fatto quello che avevo sognato di fare da otto anni: una passeggiata sotto casa, libero e senza paura che qualcuno mi scivolasse alle spalle". A fine aprile, appena due mesi dopo la sua denuncia, quei due però erano già fuori. E fuori, ancora oggi, continuano a fare gli strozzini a Centocelle.
Ci vanno poco in carcere gli strozzini. E quando ci vanno, ci stanno poco. La pena prevista per l'usura è da 1 a 6 anni. I processi però sono troppo lunghi, si imballano fra procure e tribunali. Nel 44 per cento dei casi il rinvio a giudizio c'è dopo due-quattro anni, il 70 per cento delle sentenze di primo grado arriva dopo 4 anni e mezzo, il 14 per cento dopo sette anni, il 3 per cento dopo nove anni. Il 20 per cento dei procedimenti finisce in prescrizione, l'80 per cento dei condannati resta comunque sempre a piede libero. Come il boia di Mario.
La storia della sua vita in rovina l'abbiamo ascoltata all'Ambulatorio Antiusura di Roma, un avamposto dove hanno bussato altre 4200 vittime. È dietro piazza Fiume, tre stanze, una dozzina di volontari fra penalisti e civilisti, psicologi, esperti bancari, commercialisti. "Prima erano artigiani o negozianti o piccoli imprenditori come Mario quelli che arrivavano da noi, da qualche tempo però sono soprattutto impiegati, operai, pensionati, tutte persone che non ce la fa ad arrivare a fine mese con lo stipendio", spiega l'avvocato Luigi Ciatti, il presidente dell'Ambulatorio. Lì dentro gli strangolati dai "cravattari" vengono "ricostruiti" pezzo per pezzo. Assistiti.
Accompagnati nel cammino per uscire dal loro incubo. "Quando si presentano prima li invitiamo a denunciare, poi cerchiamo di fare capire loro quali passi falsi hanno fatto, se ci sono le condizioni alla fine li aiutiamo economicamente con il Fondo di solidarietà del ministero dell'Economia che gestiamo", dice ancora l'avvocato Ciatti mentre parla della legge 108 - quella a sostegno delle vittime dell'usura - e delle modifiche che servirebbero a farla funzionare meglio.
Le sofferenze di tanti si incrociano tutte nell'Ambulatorio. Alcuni di loro ce la fanno anche a confessare, a svelare il loro dramma a polizia o carabinieri. Sono le donne che di solito denunciano più degli uomini. Sono loro che si ribellano più dei loro mariti alla morsa degli strozzini. E quando quelli si ritrovano sotto scacco, quando non riescono neppure a recuperare i soldi prestati, allora si vendicano, ordinano rappresaglie. Schiumano di rabbia quando perdono anche un centesimo.
Come quell'uomo che abbiamo incontrato al Prenestino. Il suo nome è Arturo, abita in fondo a una via stretta che finisce su una muraglia di filo spinato. Arturo un "cravattaro" che è stato denunciato dalla sua vittima. Bussiamo alla sua porta, la telecamera è accesa.
"Chi vi manda?", domanda sospettoso. "Ci manda Nicola". La porta è socchiusa, nella penombra spunta solo la sua testa. Comincia a ringhiare: "Quello mi ha truffato, mi ha levato un sacco di soldi...". Gli chiediamo se ci può concedere un piccolo prestito, la porta improvvisamente si spalanca e qualcosa luccica nel buio. È una lama. Lui si scaraventa giù dalle scale urlando: "Te do due cortellate ar core...". Gli amici di Nicola non sono più amici di Arturo da quando non è riuscito a riprendersi i suoi 12 mila euro di interessi. Ne aveva prestato 6 mila e ha perso anche quelli. L'hanno fregato. A volte capita anche gli strozzini.
In ogni quartiere ce n'è una schiera. Quello più famoso del Tuscolano è "il signor G.", prima lavorava in un negozio di elettrodomestici, adesso ha aperto un ufficio con una grande insegna: "Prestiti". Diciamo anche a lui che abbiamo bisogno di soldi, ci risponde: "Prendere assegni post datati di questi tempi è un bel problema, l'unico consiglio che posso dare è quello di andare dagli usurai". Da lui stesso.
Dietro ogni vicenda di strozzinaggio comunque c'è sempre una banca. Che nega un prestito. Che chiude un conto corrente.
"L'usura deve essere colpita come il riciclaggio ed è ora di dare la sveglia agli istituti di credito", accusa Tano Grasso, il presidente onorario della Federazione antiracket e antiusura italiana e portabandiera di quei commercianti siciliani che quasi venti anni fa si rivoltarono contro i signori del "pizzo". E aggiunge Grasso: "È necessario introdurre una norma che obblighi le banche a segnalare le operazioni sospette di usura, così come oggi fanno con quelle di riciclaggio. Avremmo una svolta radicale sul terreno di contrasto agli strozzini. Purtroppo le banche rappresentano ancora il punto più debole delle responsabilità pubbliche dell'usura".
Si appostano proprio davanti alle banche delle borgate i "cravattari". È sempre poco prima dell'ora di pranzo che aspettano le ultime notizie dall'imprenditore disperato che esce con un prestito non concesso, dal commerciante che ha sfondato lo "scoperto". Poi si avvicinano, parlottano. Poi c'è sempre scambio di soldi. È quello che fa ogni giorno Alvaro, strozzino di via Olevano Romano. Lascia il suo bar verso l'una e comincia a bivaccare da una filiale all'altra intorno a Villa Gordiani. A volte tira fuori soldi e dà. E a volte va là a riscuotere. Segna tutto con la matita. Su un fogliettino di carta che infila e sfila dal taschino della giacca.
(2 - fine. La prima puntata è stata pubblicata il 26 giugno)
(27 giugno 2007)
da repubblica.it
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