31-08-2007
Le regole di Bruxelles per il mercato sociale
Andrea Carinci
Thomas Tassani
L’animato, quanto confuso, dibattito che negli ultimi giorni si è acceso sul tema delle agevolazioni fiscali per gli enti non commerciali – e tra questi, quelli ecclesiastici – sollecita l’interesse ad affrontare la questione in termini il più possibile rigorosi dal punto di vista giuridico.
La norma oggetto di contestazione
L’oggetto del contendere è costituito dall’esenzione Ici, ex articolo 7 del decreto legislativo n. 504/92, a favore degli enti non commerciali (1), relativamente agli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, religiose o di culto.
In discussione, peraltro, non è tanto l’articolo 7 citato, quanto l’interpretazione autentica che ne è stata fornita, con il Collegato alla Finanziaria 2006 e con il decreto legge Bersani-Visco.
Prima di questi due interventi, la norma di esenzione era interpretata dalla giurisprudenza (2) in modo assai rigoroso: accanto ai prescritti requisiti, soggettivo e oggettivo, ne era stato inserito un terzo, che riservava l’esenzione alle sole attività di tipo non commerciale. Sicché, per poter usufruire dell’esenzione, occorreva che negli immobili non fosse esercitata in nessun modo attività d’impresa. Ebbene, è proprio per "correggere" questa lettura giurisprudenziale, che il legislatore è intervenuto: prima con il Collegato alla Finanziaria 2006, che ha "interpretato" l’articolo 7 rendendolo applicabile alle attività indicate "a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse"; poi, in sostituzione di questa interpretazione, con il Dl n. 223/06 (cosiddetto Bersani-Visco), che ha invece reso applicabile l’esenzione alle "attività che non abbiano natura esclusivamente commerciale".
Senza entrare nel merito delle due soluzioni, resta acquisito un dato: certamente con la prima, ma chiaramente anche con la seconda "interpretazione", l’agevolazione è stata estesa alle attività di tipo commerciale. Ma solo a quelle esercitate, nei settori indicati dall’articolo. 7, da enti non commerciali.
La questione comunitaria
È specificatamente su questo profilo che si gioca il tema della compatibilità comunitaria della previsione.
Ai sensi del Trattato dell’Unione Europea (articolo 87) sono vietate le agevolazioni fiscali che vadano ad avvantaggiare solo alcune tra le imprese che operano sul mercato, che si presentino, dunque, come agevolazioni selettive.
È però l’approccio "pragmatico" della Commissione europea e della Corte di giustizia a venir qui in considerazione. Perché, alla stregua di questo, la compatibilità degli aiuti va valutata, non già in ragione delle forme che assumono, bensì degli effetti che producono sulla posizione delle imprese. Ed ecco allora che, nella nozione di aiuto di Stato, va compreso anche quello concesso nella forma di una minore tassazione (cosiddetti aiuti fiscali), mentre, nella nozione di impresa, va ricondotto qualunque soggetto o ente che eserciti un’attività economica, che offra cioè beni o servizi su un determinato mercato. Risulta poi del tutto irrilevante lo status giuridico, l’assenza dello scopo di lucro soggettivo, così come valutazioni relative alla meritevolezza delle finalità perseguite.
Con un simile quadro di riferimento, diviene inevitabile interrogarsi circa la compatibilità dell’agevolazione Ici. E appare evidente che, se nell’originaria interpretazione avvallata dalla giurisprudenza, un problema di compatibilità non si poteva porre, dal momento che l’esenzione era riservata agli immobili non destinati all’attività d’impresa, a diversa conclusione si deve pervenire oggi, dopo l’interpretazione autentica fornita dal Dl n. 223/06.
Alla stregua di quest’ultima, infatti, l’agevolazione interessa sicuramente anche immobili utilizzati per attività di impresa. Peraltro, il requisito è stato strutturato in termini di non esclusività dell’utilizzo del bene e non di prevalenza: sicché, è sufficiente una, del tutto marginale, destinazione non d’impresa del bene per ritenerlo soddisfatto. Vale poi considerare che gli enti non commerciali possono pacificamente esercitare attività di impresa, purché questa non sia prevalente: e le attività "sociali", che debbono essere esercitate negli immobili, possono certamente essere svolte in forma di impresa. Anzi, l’esperienza degli ultimi venti anni del cosiddetto terzo settore dimostra come l’impresa sia lo strumento privilegiato per le attività assistenziali, sanitarie, didattiche, eccetera.
L’agevolazione, inoltre, si presenta come selettiva, se si considera che sul "mercato sociale" operano altri soggetti (tra cui, imprese individuali ma anche società) che non possono accedere all’agevolazione in questione.
I vantaggi degli enti ecclesiastici
Vi è poi un altro profilo da valutare, che interessa più direttamente gli enti ecclesiastici. L’ente ecclesiastico è considerato, fiscalmente, sempre e comunque non commerciale, in quanto sottratto a quel giudizio di prevalenza dell’attività non commerciale su quella commerciale, contemplata invece per tutti gli altri soggetti. (3) Non solo, allora, gli enti ecclesiastici possono esercitare attività d’impresa perseguendo finalità accessorie a quelle di religione e di culto (si pensi alla gestione di case di cura, strutture ospedaliere, attività editoriali e così via), ma è anche possibile che tali attività risultino in concreto "prevalenti", senza che ciò comporti una riqualificazione degli enti stessi e la perdita dell’agevolazione.
La posizione degli enti ecclesiastici, di qualunque confessione, risulta pertanto di ulteriore privilegio all’interno della normativa agevolativa prevista per tutti gli enti privati non commerciali.
La questione delle Onlus
L’esenzione Ici, come attualmente configurata, non appare dunque legittima alla luce del divieto di aiuti di Stato. Si potrebbe invocare, a parziale giustificazione, la scarsa incidenza dell’agevolazione sul mercato comunitario (4), ma non sembra immediato. L’esperienza comunitaria è infatti rigorosa nel ritenere sufficiente il mero rafforzamento della posizione dell’impresa beneficiata rispetto all’inserimento sul mercato nazionale dei concorrenti comunitari. (5)
Ma, a ben vedere, il problema dell’esenzione Ici è destinato a impallidire rispetto a una questione che presto potrebbe interessare gli organi comunitari: le agevolazioni Onlus. Un regime, questo, che detassa completamente il reddito d’impresa realizzato da soggetti che operano in settori di rilievo sociale.
Pesanti sono quindi le nuvole che vengono da Bruxelles e che muovono verso la welfare society italiana. Ma sono nuvole cui non interessa la natura laica o religiosa dei soggetti su cui si abbatteranno, bensì solo la tutela del mercato e della parità concorrenziale. Valori forse aridi, sterili e prosaici, ma che l’Italia ha scelto di condividere con gli altri partner comunitari, al punto di accettare una limitazione della propria sovranità, secondo la formula dell’articolo 11 della Costituzione. E per la patria del diritto, dura lex sed lex.
(1) Stando alle dichiarazioni del portavoce della Commissione Europea riportate dalla stampa (mentre gli atti di richiesta di informazioni al governo italiano, così come di risposta da parte di quest’ultimo, non sono pubblici, allo stato attuale), le valutazioni della Commissione riguardano anche l’agevolazione dell’art. 6 del Dpr n. 601/73 (riduzione a metà dell’aliquota Ires) a enti non commerciali, con personalità giuridica, che operino in determinati settori di attività. Di questo aspetto non abbiamo voluto occuparci in questa sede, per esigenze di brevità, ma le questioni che si pongono presentano indubbie affinità con il tema affrontato.
(2) Cassazione n. 20776/05
(3) L’art. 149 del Tuir preclude all’Agenzia delle Entrate quello che è invece possibile in via ordinaria: indagare sulla effettiva natura, commerciale o meno, dell’attività dell’ente. Così, acquisita la qualifica di ente ecclesiastico (che per alcuni enti è presunta, mentre per altri è in funzione di un riscontro della natura religiosa e di culto delle finalità perseguite, non incompatibile peraltro con l’esercizio di attività diverse, anche commerciali), che per legge equivale alla non commercialità, quest’ultima non può essere messa in discussione.
(4) Argomentare, cioè, che una agevolazione concessa a un ente, che non ha come attività prevalente quella di impresa (dovendo questa essere marginale rispetto al fine principale non commerciale), relativamente a un immobile non destinato esclusivamente all’attività di impresa, abbia un impatto irrilevante in termini di "distorsione" del mercato.
(5) CG C-102/87, punto 19. In ogni caso, "la Commissione è tenuta a dimostrare non un’incidenza effettiva di questi aiuti sugli scambi tra gli Stati membri e sulla concorrenza, ma se i detti aiuti siano idonei a incidere su tali scambi" (CG C-298/00, punto 49).
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